Essere Turchia Queer
Cosa significa essere LGBTI+ in
Turchia? In che modo le persone LGBTI+ possono dire “esistevamo, esistiamo ed
esisteremo” di fronte all’oppressione quotidiana? Come è percepito e articolato
il queer, e cosa c’è di queer in Turchia?
Queste sono le domande che si è posta la studiosa e attivista Deniz Nihan Aktan
(nata in Turchia ma in Italia dal 2017, che attualmente sta svolgendo un
dottorato di ricerca in Scienze Politiche e Sociologia presso la Scuola Normale
Superiore) nel suo saggio Turchia Queer (Astarte Edizioni, in uscita il 26
giugno) il cui primo obiettivo è riconoscere e raccontare la peculiare
posizione della comunità LGBTI+ in Turchia, e all’interno della comunità LGBTI+
transnazionale.
A causa della sua collocazione geografica, la Turchia è spesso descritta come
ponte fra Asia ed Europa. Il concetto di ponte suggerisce un senso di
connessione, una connotazione positiva: ha lo scopo di collegare terre,
intrattenere relazioni e consentire alle persone di attraversare i confini.
L’immagine del ponte è un’immagine ricorrente e significativa, e la narrazione
ha infatti avvio nell’introduzione con la data del 22 giugno 2014, quando sono
stati appesi sul Ponte sul Bosforo una bandiera arcobaleno e uno striscione con
la scritta “Gli omicidi trans sono omicidi di Stato”. Nonostante siano stati
rimossi dalla polizia poco dopo, un arcobaleno è comunque apparso nel cuore di
Istanbul e sulle acque turbolente del Bosforo. Lo stesso arcobaleno, che nel
2017 è tornato sul ponte grazie all’illuminazione voluta dalla Municipalità Metropolitana,
per poi essere rimosso quasi subito a causa delle proteste.
Ma cosa ne è quindi del ponte stesso? Cosa succede sul ponte? Dice l’autrice,
sempre nell’introduzione, che “Le persone LGBTI+, che lottano per avere il loro
spazio sul ponte e in molte piazze della città, si vedono costrette ad
affrontare una serie di ingiustizie che vanno dalla chiusura dei luoghi
d’incontro alla cancellazione di eventi, dalla censura dei media ai crimini
d’odio, dalle detenzioni ingiuste alle vessazioni continue. I cambiamenti
sociali e politici che hanno avuto luogo nel Paese negli ultimi dieci anni
hanno colpito negativamente una parte consistente della società, tra cui molti
movimenti sociali e di difesa dei diritti umani. È arrivato il momento di
fermarsi e guardare alla storia queer della Turchia.”
Anche la costruzione di una solidarietà queer transnazionale può essere intesa
come un atto di collegamento. Turchia Queer invita chi legge a essere parte del
ponte, a solidarizzare e a unirsi all’azione.
Dalla prefazione di Maya De Leo
“Sono tante le ragioni che rendono questo libro una lettura interessante e a
tratti avvincente e illuminante: lo è la storia che racconta, ma anche, in modo
particolare, quello che questa storia è in grado di mostrare sul tempo
presente, dal momento che il focus sulla storia LGBTI+ della Turchia offre una
prospettiva transnazionale sulle politiche LGBTI+, e anti-LGBTI+, che negli
ultimi decenni hanno contribuito a ridisegnare i confini non tracciati – ma non
immateriali – degli schieramenti politici e geopolitici internazionali.
L’intreccio di queste due dimensioni consente a chi legge di ripercorrere le
vicende della storia politica, sociale, culturale della Turchia, osservando da
una prospettiva privilegiata l’emergere delle questioni sollevate dalle
rivendicazioni della popolazione LGBTI+ come temi politici, sempre più
centrali nel dibattito pubblico e nello scontro politico sullo scenario
globale.”
Tanto significativa quanto l’immagine del ponte è quella dell’arcobaleno, che
dà il titolo al saggio conclusivo di Valentina Marcella, “Un arcobaleno sulla
mezzaluna: Turchia queer oltre gli specchi deformanti”, che si apre così:
“A Istanbul l’arcobaleno incornicia piazza Taksim, noto punto di riferimento
della città divenuto celebre a livello globale nell’estate 2013 in quanto
teatro principale delle proteste di Gezi. A differenza dell’arcobaleno che
spunta alto in cielo al ritorno del sole dopo la pioggia, in questo caso la
serie di archi colorati è bassa, appena sopra la testa della moltitudine di
persone che riempie la piazza. A provocarla è infatti l’incontro della luce
con l’acqua dei TOMA, i famigerati blindati provvisti di cannoni ad acqua che
negli ultimi anni la polizia turca ha utilizzato a dismisura per disperdere le
manifestazioni. È piuttosto ironico che sia proprio l’azione repressiva della polizia
a generare l’arcobaleno, simbolo universale della comunità LGBTI+, in quanto
l’intervento è diretto esattamente contro il Pride. Siamo nel 2015 ed è
l’ultima domenica di giugno, giorno scelto ormai da dodici anni per la marcia
dell’orgoglio LGBTI+ di Istanbul. Per la prima volta dal 2003 la marcia è stata
vietata, con una comunicazione giunta poche ore prima del concentramento e
motivata dalla concomitanza con il mese di Ramadan, coincidenza verificatasi
anche l’anno prima ma senza comportare divieti. Il tentativo di marciare
ugualmente si scontra con il violento intervento della polizia che tra gas
urticanti, proiettili di gomma e cannoni ad acqua regala a piazza Taksim
l’iconico arcobaleno.”