Evitare che la crisi dell’Unione Europea travolga la sinistra
Le elezioni europee hanno confermato, al di là del dato
numerico, l’egemonia della destra. Il loro esito, inoltre, ha assunto una
rilevanza che va oltre il nuovo assetto dell’Europa. Lo senario politico ne
esce, anche sul versante nazionale, profondamente segnato. All’analisi dei
risultati abbiamo dedicato, nell’immediato, due ampie analisi di Marco
Revelli (https://volerelaluna.it/commenti/2024/06/13/elezioni-a-che-punto-e-la-notte/ e https://volerelaluna.it/commenti/2024/06/19/europa-occidente-il-canto-stonato-delle-anatre-zoppe/) e
un primo intervento di Livio Pepino (https://volerelaluna.it/controcanto/2024/06/17/dopo-le-europee-la-necessita-di-un-dibattito-senza-reticenze/) teso a
mettere sul tappeto alcune questioni aperte. La situazione interpella,
peraltro, anche noi di Volere la Luna e i gruppi e movimenti che compongono il
variegato arcipelago che ci ostiniamo a chiamare sinistra alternativa. Che
fare? La domanda di sempre richiede oggi analisi particolarmente accurate
e risposte all’altezza dei tempi bui che stiamo vivendo, in cui all’ormai
consolidata vittoria del mercato si affiancano, in Italia, il
consolidamento di una svolta autoritaria che non tollera dissenso e, sul
piano internazionale, una guerra mondiale “a pezzi” che rischia di degenerare
in guerra nucleare. Abbiamo, dunque, deciso di aprire, sul punto, un dibattito
franco e – lo speriamo – capace di non fermarsi all’esistente e di individuare
nuove modalità e nuove strade da percorrere. Le analisi e le proposte
pubblicate rappresenteranno uno sforzo collettivo ma saranno tra loro assai
diverse e impegneranno, per questo, solo i loro autori. Poi, a suo tempo, forti
del confronto realizzato, proveremo a trarre delle conclusioni, magari in
un’iniziativa di carattere nazionale su cui stiamo cominciando a
ragionare. (la redazione)
L’Unione Europea si sta sgretolando e può andare in pezzi.
Le elezioni per il Parlamento europeo hanno mostrato che forze
politiche di destra e estrema destra antieuropeiste stanno crescendo in tutta
Europa, e soprattutto nei due paesi guida dell’Unione Europea, la Francia e
la Germania. Le elezioni francesi convocate improvvisamente dal presidente
francese Emmanuel Macron hanno
mostrato che il Rassemblement
National, un partito sciovinista di destra o di estrema destra, ha la
maggioranza relativa, potrebbe vincere al secondo turno elettorale, andare al
governo e avviare un programma economico e politico espansivo finanziato con
debito pubblico: questo programma contrasterebbe però con quello restrittivo
imposto dalla Banca Centrale Europea e dalla Commissione Europea. Anche se la
sinistra del Nouveau Front
Populaire unita ai partiti repubblicani riuscisse a vincere al
secondo turno contro Marine Le
Pen e avviasse un programma a favore dei lavoratori e del ceto
medio, pure il suo piano economico non sarebbe compatibile con quello imposto
dalla UE e dai mercati. Il presidente europeista Macron si troverà comunque isolato e in
minoranza. A quel punto, i mercati finanziari potrebbero ritirare il loro
consenso all’euro con sbocchi imprevedibili. Al capitale finanziario non
conviene un crollo immediato dei mercati europei: ma certamente l’eurozona
affronterà un nuovo periodo di turbolenza. La Francia è già sotto il tiro della
speculazione di mercato. La situazione francese non è delle migliori: ha un
debito pubblico pari al 110% del PIL e un deficit del 5,5%, è fuori dalle
regole di Maastrich e ha già una procedura di infrazione da parte della UE. Ma
se la Francia è in crisi allora tutta l’Unione traballa. La verità è che in
tutti questi anni la UE con le sue politiche antipopolari, restrittive e di
austerità non ha fatto altro che alimentare proteste e risentimento, proteste
raccolte dalla destra estrema e dal populismo sciovinista. Ma la colpa
dell’avanzata delle destre estreme in Europa è anche delle sinistre europee che
finora hanno sempre ciecamente giustificato e perfino sostenuto le politiche
antipopolari della UE in nome di un ideale utopico: gli Stati Uniti d’Europa.
Siamo di fronte all’inizio della fine della UE? I
mercati hanno creato questa UE e i mercati la stanno distruggendo. I titoli di
Stato francesi stanno perdendo rapidamente il loro valore. Forse la Banca
Centrale Europea di Christine
Lagarde dovrà intervenire per comprare le obbligazioni francesi e
impedire che la caduta dei loro prezzi provochi il panico e un’ondata di
vendite che coinvolgerebbe prima gli altri titoli pubblici meno sicuri, come
quelli italiani, e poi tutta l’area dell’euro. Di nuovo l’eurozona è sotto
attacco e di nuovo tutta la UE è scossa dalla crisi. Imercati finanziari
in tutti questi anni hanno tratto grandi profitti dai crescenti debiti pubblici
e dalle politiche di deregolamentazione finanziaria, mentre al contrario le
economie reali, il lavoro e i ceti medi si sono paurosamente impoveriti. Ora,
spaventati dalle proteste e dal caos politico che loro stessi hanno provocato
imponendo politiche di austerità e di restrizione monetaria, i mercati stanno
disfacendo la UE e possono addirittura farla crollare. Come ha affermato poco
tempo fa lo stesso Macron “L’Europa
può morire”. Tutta la rigida sovrastruttura europea prima o poi potrebbe
crollare. Diventa dunque indispensabile che la sinistra progressista,
che finora ha appoggiato fideisticamente questa Unione dominata dai mercati e
dalla finanza, ricominci a pensare criticamente la UE, si risvegli dai suoi
sogni illusori e pensi a come affrontare la crisi con proposte alternative
credibili.
Il problema basilare di questa Unione è politico: non c’è
infatti nessuna democrazia nella UE. Il principio
fondamentale della democrazia liberale e dello Stato di diritto,
quello della separazione dei poteri enunciato da Montesquieu non viene
applicato nell’Unione Europea. Soprattutto le istituzioni
intergovernative della UE sono al riparo dai conflitti sociali che sono il sale
della democrazia. In Europa comandano solo i vertici governativi. Il
Consiglio Europeo, l’organo di gran lunga decisivo nella UE, è composto dai
capi di governo eletti nei loro paesi ma non dai cittadini europei. Il
Parlamento Europeo è eletto ma solo su base nazionale e ha poteri molto
limitati: può approvare e rifiutare le leggi solo su alcune materie. La
Commissione è nominata dai governi e ha un ruolo esecutivo ma anche
parzialmente legislativo e giudiziario. Il paradosso è che 27 Stati (bene
o male) democratici e oltre 450 milioni di europei sono diretti da oltre 20
anni da istituzioni create e nominate dai governi, ovvero non elette e non
soggette a controllo democratico da parte dei cittadini europei, irresponsabili
di fronte ai popoli europei. Solo grazie alla non democrazia della UE è stato
impossibile imporre delle dure e controproducenti politiche di austerità
(blocco della spesa pubblica, aumento delle tasse, diminuzione del costo del
lavoro e dei salari, svalutazione del capitale nazionale) agli Stati e ai
popoli europei, come è accaduto non solo in Grecia ma a tutta l’area dei paesi
cosiddetti “periferici” o “maiali (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna, PIGS).
La UE non ha dunque un governo democratico ma
una governance multilivello. Come noto la UE è diretta dalla diarchia
Germania e Francia. Una diarchia per altro attualmente in grave crisi e in via
di disfacimento. I mercati e gli investitori finanziari sono i veri dominatori
di questa Unione europea. In realtà le istituzioni UE sono quanto di più
assomiglia al “gabinetto d’affari della borghesia” con cui Karl Marx designava
efficacemente i governi del suo tempo, quando ancora non esisteva il suffragio
universale.
Questa UE è riformabile? No, almeno senza
abbattere il trattato di Maastricht. Questo trattato ha fondato la UE
sovranazionale che domina le democrazie nazionali e sancisce le quattro
“libertà”: libertà di movimento delle merci, delle persone, dei capitali e dei
servizi. L’ideologia ultraliberista di Maastricht – che
discende esplicitamente da quella di Reagan e della Thatcher – esalta
la libertà di mercato e limita e proibisce (salvo eccezioni) l’intervento
pubblico nell’economia, considerato distorsivo e inefficiente. L’austerità
fiscale ha depresso l’economia e il potere d’acquisto dei salariati. Il dominio
dei mercati finanziari sugli Stati ha comportato l’impoverimento di milioni di
cittadini, la divisione degli Stati tra creditori e debitori, l’incremento delle
diseguaglianze sociali e territoriali, e costanti e gravi crisi finanziarie.
L’Europa si sta deindustrializzando e è sempre meno competitiva. Le politiche
monetarie vengono decise dai tecnocrati della BCE in un contesto di assoluta
indipendenza, e quindi di irresponsabilità di fronte ai cittadini europei. Le
politiche fiscali sono formalmente gestite in autonomia dai governi nazionali
ma all’interno delle regole fortemente restrittive della UE: i bilanci degli
Stati devono essere approvati dalla Commissione Europea prima ancora che dai
Parlamenti nazionali. Questo è un soffocamento sistematico della democrazia.
Inoltre in tutta Europa sono impossibili politiche fiscali comuni quando
esistono paradisi fiscali europei come il Lussemburgo, l’Irlanda, l’Olanda,
Malta, Cipro. Il risultato finale è che l’Europa è a livello globale l’area
economica che cresce di meno e che è costantemente soggetta a nuove gravi
crisi. A livello geopolitico, come ha dimostrato chiaramente la guerra
in Ucraina, la UE è praticamente inesistente, sia sul piano diplomatico che
militare. Non essendoci una politica estera comune tra i 20 paesi europei (e
neppure tra Francia e Germania) la UE di fatto è diventata una fotocopia
sbiadita della Nato a guida americana. Le prospettive dei popoli
europei sono dunque drammatiche.
Quale è stato l’errore di fondo della costruzione europea? Gli
errori sono molteplici. Ma l’errore maggiore è quello di avere
costruito una sovrastruttura sovranazionale al riparo dai conflitti sociali
scavalcando le democrazie nazionali. L’ideologia che ha sostenuto e coperto
la sovrastruttura europea la UE è stata quella di puntare a costruire gli Stati
Uniti d’Europa sul modello della federazione americana. L’utopia federativa di
Spinelli è però un sogno impossibile. L’Europa non è una prateria verde da conquistare
e coltivare da zero. Gli Stati europei hanno storie, economie e istituzioni
anche secolari che non si possono ignorare e cancellare; hanno memorie, lingue
e culture diverse e interessi strategici differenti. Centralizzare tutto –
politica e economia – nelle istituzioni pseudo federali di Bruxelles e
Francoforte sovrapponendosi alle democrazie europee con l’obiettivo (o il
pretesto) di arrivare agli Stati Uniti d’Europa è stata un’impresa velleitaria
e antidemocratica. Gli Stati nazionali, sia quelli più grandi che quelli più
piccoli, non si faranno mai dettare legge da un superStato
federato. È ormai evidente che l’europeismo cieco e dogmatico della
sinistra europea è stato e è tuttora la maggiore causa del declino della
sinistra stessa e del suo distacco dalla base popolare. Al di là delle
retoriche idealiste su Ventotene, in realtà l’europeismo dopo che è caduta
l’Unione Sovietica è stata per le sinistre europee, liberali, socialiste e
comuniste, la chiave per entrare nelle stanze del potere e omologarsi
all’establishment, soprattutto finanziario. Con la UE la sinistra
tradizionale è diventata uno dei “poteri forti”. Al contrario le destre
nazionaliste sono rimaste a margine. Così paradossalmente il gioco
delle parti si è rovesciato: la destra combatte l’austerità mentre la
sinistra la giustifica nel nome dell’unità europea; la destra denuncia la
grande finanza e la sinistra collude con le banche; la destra contrasta l’euro
e la BCE mentre la sinistra al contrario difende i grandi banchieri e i tecnocrati
come Mario Draghi e Enrico Letta; la destra punta a difendere demagogicamente
(ma giustamente) lo Stato nazionale e l’intervento pubblico nell’economia
mentre la sinistra combatte “il nazionalismo economico”. La destra, spesso
condizionata dal dittatore russo, vuole i negoziati e “una pace possibile” in
Ucraina mentre la sinistra, d’accordo con Washington, vota al contrario le armi
e l’escalation. Non ci si può stupire che la destra abbia conquistato
voti e consenso popolare, mentre le sinistra non sa più dove vuole veramente
andare.
La soluzione più realistica non può che essere politica e
radicale. Per uscire dalla crisi occorre ripudiare Maastricht e
rivoluzionare dalle fondamenta il sistema europeo. Bisognerebbe costruire
una nuova Europa anti-fascista, una Confederazione che unisca per
quanto possibile gli Stati europei su obiettivi comuni ma che non sovrasti i
paesi europei e che, anzi, sia fondata sul rispetto delle democrazie nazionali.
Una Confederazione che punti a cancellare i debiti, a creare una moneta comune
ma non unica, e che soprattutto non punti a escalation e a guerre disastrose ma
che punti invece alla pace e alle trattative.
Enrico Grazzini (da “Volerelaluna” del 4/7/24)