martedì 23 luglio 2024

Il Sinodo in un vicolo cieco: il clericalismo resta intatto e chiuso

Non mi aspettavo che questo quarto Sinodo del pontificato di papa Francesco, come i primi tre, facesse qualche passo decisivo nel cammino dell’inevitabile e urgente riforma istituzionale della Chiesa cattolica romana. Date le circostanze, non mi aspettavo che fosse soddisfatta la condizione indispensabile di una tale riforma: la soppressione dell’ostacolo strutturale decisivo, vale a dire il modello clericale gerarchico. L’«Instrumentum laboris» appena pubblicato mi conferma nel mio scetticismo: il clericalismo resta intatto e chiuso e condanna il Sinodo a un vicolo cieco.
Mi spiego. In questo documento, che servirà da base di riflessione per la seconda sessione ordinaria dei vescovi del prossimo ottobre, due tipi di servizi e di poteri nella Chiesa continuano a essere chiaramente distinti e separati: i “ministeri” e i poteri che dipendono dalla decisione comunitaria – storica, contingente, variabile – e quelli che dipendono dalla volontà divina – eterna, assoluta, immutabile –. I primi sono ministeri e poteri comuni, vengono dal “basso” e qualsiasi battezzato adulto può esercitarli, se la comunità lo nomina. I secondi sono ministeri e poteri superiori, “ordinati” (diaconi, presbiteri e vescovi), vengono “dall’alto”, sono conferiti da Dio ai suoi “eletti” (in greco «klerikói») attraverso un rito o sacramento di “ordinazione” validamente eseguito da un vescovo. Questi ministeri superiori possono essere svolti solo da uomini e conferiscono in esclusiva il potere di assolvere i peccati e di presiedere l’Eucaristia o Messa, trasformando il pane e il vino nel “corpo e sangue” di Gesù.
Così sono andate le cose nelle Chiese dipendenti da Roma a partire dai secoli III-IV, non certamente a partire da Gesù, così si è continuato nel Medioevo, al Concilio di Trento (XVI secolo) contro la Riforma protestante e al Concilio Vaticano I (1869) contro la Modernità. E così le cose sono continuate nel Concilio Vaticano II (1962-1965), nonostante alcuni timidi tentativi di riforma. Così sono continuate durante gli 11 anni di pontificato di papa Francesco con i suoi tre sinodi. E in fondo tutto resta uguale nell’«Instrumentum laboris» per la seconda sessione ordinaria del Sinodo sulla sinodalità in corso (e che va avanti già da tre anni).
Non illudiamoci: non cambierà nulla nell’istituzione ecclesiastica. Oppure sì: in un mondo che cambia a un ritmo che fa paura, in un’umanità che cerca di sopravvivere come può di fronte a un così grande potere oppressore e di fronte allo sviluppo allarmante dell’Intelligenza Artificiale, la Chiesa istituzionale continuerà a ripetere vecchi schemi vuoti, forme e parole senza anima né vita. “Sinodo” significa “camminare insieme”, ma questo Sinodo sulla sinodalità non farà nemmeno sorgere la possibilità che né ora né mai venga abrogata in questa Chiesa la legge umana che separa e segrega, che sancisce il dominio e la subordinazione. Il diritto canonico, antievangelico, che impedisce di camminare veramente insieme. Il Sinodo, ancora una volta, continuerà a andare avanti ed indietro per lo stesso vicolo. Gesù ci direbbe la stessa cosa che ha detto ai chierici legalisti del suo tempo: “Lasciate da parte il comandamento della Vita (Gesù lo chiama “Dio”, anche io lo faccio) e vi aggrappate alla tradizione degli uomini” (Mc 7,8).
Il testo formula certamente criteri generali giusti e tanti buoni propositi. Ad esempio: il bell’appello ad “accompagnarci a vicenda come Popolo di pellegrini in cammino nella storia verso una destinazione comune” (Introduzione), l’affermazione dell’“identità mistica, dinamica e comunitaria del Popolo di Dio” (n. 1), il ripetuto appello al dialogo, all’ascolto e al discernimento condiviso, l’esigenza di una “conversione sinodale” (Introduzione), una “conversione delle relazioni e delle strutture” (n. 14), l’invito a “riflettere concretamente sulle relazioni, le strutture e i processi che possono favorire una rinnovata visione del Ministero ordinato, passando da un modo piramidale di esercitare l’autorità a un modo sinodale” (n. 36).
Molto bene. Ma accade che tali criteri e propositi si trovano non solo controbilanciati, ma di fatto bloccati dall’affermazione di un’altra istanza ultima e inappellabile: l’istanza clericale. E non si intravede nessun passo in avanti in questo documento. In nessun momento afferma - e nemmeno suggerisce - l’abolizione – indispensabile e possibile – dell’attuale modello clericale, piramidale, autoritario, patriarcale dell’istituzione ecclesiale. In modo tale che non restano spiragli per una radicale conversione strutturale della Chiesa. Afferma - ci mancherebbe altro - che l’autorità deve essere esercitata come servizio e che è necessario “favorire una rinnovata visione del Ministero ordinato, passando da un modo piramidale di esercitare l’autorità a un modo sinodale” (n. 36).
Ma non mette mai in discussione il modello gerarchico clericale in quanto tale. Insiste anche sul fatto che l’autorità deve essere esercitata con “trasparenza e capacità di rendiconto” (nn. 74, 75, 78, 92), ma non si chiede da dove o da chi provenga l’autorità né propone mezzi per un controllo efficace del suo esercizio. Le condizioni democratiche elementari di legittimità dell’autorità nella Chiesa brillano per la loro assenza. La parola democrazia non è conosciuta. La trasparenza ed il rendere sono cruciali, ma saranno chimere finché il sistema clericale rimarrà intatto, finché il potere principale e l’ultima parola, emanati dall’alto, apparterranno alla gerarchia. È la gerarchia che sceglie la gerarchia e considera se stessa come scelta da Dio. Si chiude in cerchio.
Il testo è molto chiaro: “La sinodalità non comporta in alcun modo la svalutazione della particolare autorità e lo specifico compito che Cristo stesso affida ai Pastori: i Vescovi con i Presbiteri, loro collaboratori, e il Romano Pontefice quale «perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei Fedeli» (n. 8, citando la Costituzione «Lumen Gentium» 23 del Concilio Vaticano II). (Lo stesso si ripete ai nn. 10, 37, 38, 69, 88, 101...). Nel caso qualcuno avesse dei dubbi: “In una Chiesa sinodale, la competenza decisionale del Vescovo, del Collegio Episcopale e del Romano Pontefice è inalienabile, in quanto radicata nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita da Cristo (n. 70). Come detto prima.
Non c’è miglior riflesso o peggior effetto del clericalismo sacralizzato e inamovibile del posto e del ruolo riconosciuto alle donne nella Chiesa. E quello che dice l’«Instrumentum laboris» a riguardo mi sembra qualcosa di patetico. Insiste sulla “necessità di dare un riconoscimento più pieno ai carismi, alla vocazione e al ruolo delle donne in tutti gli ambiti della vita della Chiesa” (n. 13), auspica “una partecipazione più attiva delle donne in tutti gli ambiti ecclesiali” (n. 15), per “un più ampio accesso a posizioni di responsabilità nelle Diocesi e nelle istituzioni ecclesiastiche”, persino “l’aumento del numero delle donne che svolgono il ruolo di giudice nei processi canonici” (!), ma tutto ciò “in linea con le disposizioni già esistenti” (n. 16) (clericali, ovviamente). Spunta appena un riferimento all’«ammissione delle donne al ministero diaconale», per dire che non c’è accordo su questo punto, che “questo tema non sarà oggetto dei lavori della Seconda Sessione” del Sinodo (dobbiamo dedurre che il Sinodo esiste per occuparsi di ciò su cui tutti sono d’accordo?) e che… “è bene che prosegua la riflessione teologica” (n. 17).
La Chiesa ha dottori che sapranno rispondervi. E la mia perplessità aumenta quando mi rendo conto che il banco di prova del clericalismo, la questione dell’“ordinazione presbiterale” delle donne, non è nemmeno menzionata nel documento, mentre è stata presente in tutti i tavoli, parrocchie, paesi e continenti, in tutte le tappe, fasi e relazioni. Ognuno ne dia la sua interpretazione. Personalmente, nei numeri sul ruolo della donna nella Chiesa percepisco una certa traccia di cattiva coscienza, come se i redattori (presumo che siano quasi tutti chierici) ci dicessero: “Scusate, ci dispiace, ma Cristo ha voluto così così, Dio lo vuole”. Come lo sanno?
Così sono trascorsi decenni, secoli e millenni, bloccati nel vicolo cieco del clericalismo. Un vero sinodo, un cammino condiviso, una Chiesa di sorelle e fratelli, libera e uguale, non sarà possibile finché non sarà abbattuto il muro, il sistema, il modello clericale. E questo «Instrumentum laboris» non lo rompe, non lo mette in discussione e nemmeno lo vede, nonostante usi due volte il termine “clericalismo” e persino ne denunci gli “effetti tossici” (n. 35; cf. n. 75).
Ma lo Spirito (il grande assente di questo documento) non si lascia possedere o rinchiudere. Lo Spirito vibra nel cuore di tutti gli esseri senza eccezione e senza esclusione. Lo Spirito è la freschezza della vita, del movimento, della relazione, della creatività universale, della novità permanente. Lo Spirito attraversa tutti i credi e i sistemi, i muri e i bastioni e apre costantemente nuovi sentieri di luce e di incoraggiamento.

José Arregi (da “Adista” del 14/07/2024)