Le coste italiane in una morsa di cemento illegale, mentre sono rimasti solo 120 km2 di spiagge
Legambiente in
occasione dell’avvio delle campagne “Goletta Verde” e “Goletta dei Laghi” 2024
ha presentato i dati in anteprima del dossier “Mare Monstrum”, dedicato al
ciclo illegale del cemento, raccolti da forze dell’ordine e Capitanerie di
porto. I dati confermano che l’abusivismo edilizio, la gestione illecita delle
cave e le concessioni demaniali sono ancora una volta i tratti distintivi delle
nostre coste, ove cresce la morsa del cemento illegale. Nel 2023 sono stati
10.257 (+11,1% rispetto al 2022) i reati accertati dalle forze dell’ordine e
dalle Capitanerie di porto nelle regioni costiere, con 11.647 persone
denunciate (+21,2%), 1.614 sequestri penali (+17,3%) e 14 ordinanze di custodia
cautelare. Aumentano anche gli illeciti amministrativi, 15.062 (+11,7% rispetto
al 2022) e le relative sanzioni (34.121, +20,9%).
Il Sud Italia è la principale vittima del
mattone illegale: in testa alla classifica regionale si conferma la Campania
con 1.531 reati (pari al 14,9% del totale nazionale), prima anche per il numero
delle persone denunciate (1.710) e le sanzioni (4.302). Segue al secondo posto
la Puglia (1.442 reati, il 14,1% del totale nazionale), al terzo la Sicilia
(1.180 reati, 11,5%) e al quarto la Calabria (1.046 reati, il 10,2% del
totale). Ma la minaccia dell’abusivismo edilizio non risparmia neanche il
Centro e il Nord Italia: al quinto posto la Toscana con 794 reati (7,7% del
totale nazionale), seguita dal Veneto con 705 reati (6,9%) e dal Lazio con 617
reati (6%).
A confermare la piaga del cemento, specie lungo
le nostre coste, è anche il monitoraggio civico “Abbatti l’abuso” 2023 del
Cigno Verde che evifenzia come l’abusivismo edilizio oggetto di ordinanze di
demolizione sia oltre 6 volte più diffuso che nell’entroterra. In particolare,
tra il 2004 e il 2022, la media delle ordinanze di demolizione nei Comuni
costieri di Lazio, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, le cinque regioni più
colpite dal fenomeno, è di 64,1 ordinanze per Comune, contro la media di 10,7
ordinanze per i Comuni dell’entroterrai. Per questo, Legambiente torna a
chiedere al Governo risposte immediate come il riconoscimento del pieno potere
ai Prefetti per demolire gli immobili che non vengono abbattuti dai Comuni e la
cancellazione nel Decreto “Salva casa” del cosiddetto “silenzio-assenso”, che
spalancherebbe la strada a nuovi abusi visto che nessun Comune sarà mai in
grado di esaminare una pratica di sanatoria entro i 45 giorni stabiliti.
Intanto, nei giorni scorsi il censimento ISPRA
sulle spiagge in Italia ha smentito clamorosamente la mappatura del governo
Meloni che per cercare di continuare “a menare il can per l’aia” in merito
all’applicazione della direttiva Bolkestein, voleva far passare come le nostre
spiagge fossero una risorsa abbondante. Il monitoraggio dell’ ISPRA, che è
stato realizzato sulla base di circa 5.800 poligoni derivati da ortofoto e
immagini satellitari ad alta definizione, ha invece messo in evidenza come la
superficie complessiva delle nostre spiagge misuri meno del territorio del solo
municipio di Ostia, a Roma: 120 km2, una superficie che comprende le grandi
spiagge di Rimini o della Locride, fino alle piccole e suggestive “pocket
beach” tra le scogliere dell’Asinara o alle spiaggette che sopravvivono tra i
porti, i lungomare o le scogliere artificiali davanti le nostre città di mare.
La misura appare piccola, mediamente le spiagge italiane sono profonde circa
35m, e occupano circa il 41% delle coste, ovvero circa 3400 km, su un totale di
più di 8300 km.
La distribuzione della superficie per lunghezza
di costa occupata dalle spiagge non è affatto uniforme tra le varie Regioni;
sono quelle del sud e le isole maggiori a costituire oltre due terzi delle
spiagge italiane, mentre Regioni come la Liguria o Emilia-Romagna si trovano a
dover gestire una risorsa relativamente ridotta. Le condizioni non cambiano di
molto se si passa a considerare i valori della superficie delle spiagge
italiane, con le Regioni del sud che da sole valgono metà della superficie
nazionale e la Calabria che, da sola, vale il 20% del totale.
L’ISPRA a proposito della gestione sostenibile
delle spiagge e per il contrasto all’erosione costiera e agli effetti del
riscaldamento globale, evidenzia come i cumuli di posidonia spiaggiata, una
pianta acquatica che può prevenire la sottrazione di sabbia durante le
mareggiate, vengano spesso rimossi attraverso la pulizia meccanica delle
spiagge per renderle più accoglienti per i turisti. Non solo, ma l’abbattimento
negli anni delle dune – una barriera naturale contro l’erosione – a favore
delle strutture degli stabilimenti balneari, degli alberghi e dei
ristoranti ha accelerato l’erosione costiera. E tutto ciò nella mera
logica commerciale che ha connotato in tutti questi anni la gestione delle
spiagge nel nostro Paese. Spiagge finalizzate esclusivamente allo sfruttamento
e non considerate come un “bene comune” da preservare. Per non parlare
dell’impatto degli oltre 450 porti turistici, costruiti in assenza di
pianificazione nazionale e che hanno spesso determinato gravi processi di
erosione nei litorali.