giovedì 4 luglio 2024

Le coste italiane in una morsa di cemento illegale, mentre sono rimasti solo 120 km2 di spiagge

Legambiente in occasione dell’avvio delle campagne “Goletta Verde” e “Goletta dei Laghi” 2024 ha presentato i dati in anteprima del dossier “Mare Monstrum”, dedicato al ciclo illegale del cemento, raccolti da forze dell’ordine e Capitanerie di porto. I dati confermano che l’abusivismo edilizio, la gestione illecita delle cave e le concessioni demaniali sono ancora una volta i tratti distintivi delle nostre coste, ove cresce la morsa del cemento illegale. Nel 2023 sono stati 10.257 (+11,1% rispetto al 2022) i reati accertati dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto nelle regioni costiere, con 11.647 persone denunciate (+21,2%), 1.614 sequestri penali (+17,3%) e 14 ordinanze di custodia cautelare. Aumentano anche gli illeciti amministrativi, 15.062 (+11,7% rispetto al 2022) e le relative sanzioni (34.121, +20,9%).
Il Sud Italia è la principale vittima del mattone illegale: in testa alla classifica regionale si conferma la Campania con 1.531 reati (pari al 14,9% del totale nazionale), prima anche per il numero delle persone denunciate (1.710) e le sanzioni (4.302). Segue al secondo posto la Puglia (1.442 reati, il 14,1% del totale nazionale), al terzo la Sicilia (1.180 reati, 11,5%) e al quarto la Calabria (1.046 reati, il 10,2% del totale). Ma la minaccia dell’abusivismo edilizio non risparmia neanche il Centro e il Nord Italia: al quinto posto la Toscana con 794 reati (7,7% del totale nazionale), seguita dal Veneto con 705 reati (6,9%) e dal Lazio con 617 reati (6%).
A confermare la piaga del cemento, specie lungo le nostre coste, è anche il monitoraggio civico “Abbatti l’abuso” 2023 del Cigno Verde che evifenzia come l’abusivismo edilizio oggetto di ordinanze di demolizione sia oltre 6 volte più diffuso che nell’entroterra. In particolare, tra il 2004 e il 2022, la media delle ordinanze di demolizione nei Comuni costieri di Lazio, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, le cinque regioni più colpite dal fenomeno, è di 64,1 ordinanze per Comune, contro la media di 10,7 ordinanze per i Comuni dell’entroterrai. Per questo, Legambiente torna a chiedere al Governo risposte immediate come il riconoscimento del pieno potere ai Prefetti per demolire gli immobili che non vengono abbattuti dai Comuni e la cancellazione nel Decreto “Salva casa” del cosiddetto “silenzio-assenso”, che spalancherebbe la strada a nuovi abusi visto che nessun Comune sarà mai in grado di esaminare una pratica di sanatoria entro i 45 giorni stabiliti.
Intanto, nei giorni scorsi il censimento ISPRA sulle spiagge in Italia ha smentito clamorosamente la mappatura del governo Meloni che per cercare di continuare “a menare il can per l’aia” in merito all’applicazione della direttiva Bolkestein, voleva far passare come le nostre spiagge fossero una risorsa abbondante. Il monitoraggio dell’ ISPRA, che è stato realizzato sulla base di circa 5.800 poligoni derivati da ortofoto e immagini satellitari ad alta definizione, ha invece messo in evidenza come la superficie complessiva delle nostre spiagge misuri meno del territorio del solo municipio di Ostia, a Roma: 120 km2, una superficie che comprende le grandi spiagge di Rimini o della Locride, fino alle piccole e suggestive “pocket beach” tra le scogliere dell’Asinara o alle spiaggette che sopravvivono tra i porti, i lungomare o le scogliere artificiali davanti le nostre città di mare. La misura appare piccola, mediamente le spiagge italiane sono profonde circa 35m, e occupano circa il 41% delle coste, ovvero circa 3400 km, su un totale di più di 8300 km.
La distribuzione della superficie per lunghezza di costa occupata dalle spiagge non è affatto uniforme tra le varie Regioni; sono quelle del sud e le isole maggiori a costituire oltre due terzi delle spiagge italiane, mentre Regioni come la Liguria o Emilia-Romagna si trovano a dover gestire una risorsa relativamente ridotta. Le condizioni non cambiano di molto se si passa a considerare i valori della superficie delle spiagge italiane, con le Regioni del sud che da sole valgono metà della superficie nazionale e la Calabria che, da sola, vale il 20% del totale.
L’ISPRA a proposito della gestione sostenibile delle spiagge e per il contrasto all’erosione costiera e agli effetti del riscaldamento globale, evidenzia come i cumuli di posidonia spiaggiata, una pianta acquatica che può prevenire la sottrazione di sabbia durante le mareggiate, vengano spesso rimossi attraverso la pulizia meccanica delle spiagge per renderle più accoglienti per i turisti. Non solo, ma l’abbattimento negli anni delle dune – una barriera naturale contro l’erosione – a favore delle strutture degli stabilimenti balneari, degli alberghi e dei  ristoranti ha accelerato l’erosione costiera. E tutto ciò nella mera logica commerciale che ha connotato in tutti questi anni la gestione delle spiagge nel nostro Paese. Spiagge finalizzate esclusivamente allo sfruttamento e non considerate come un “bene comune” da preservare. Per non parlare dell’impatto degli oltre 450 porti turistici, costruiti in assenza di pianificazione nazionale e che hanno spesso determinato gravi processi di erosione nei litorali.

Giovanni Caprio (da “Pressenza” del 28/6/24)