giovedì 19 settembre 2024

Celibato: di questo non si parla!
Guillermo Jesus Kowalski


La matrioska clericale


“Il cristianesimo si trova ad essere sacerdotalizzato” ha detto recentemente il teologo Costadoat su Religión Digital (3.9.2024), ma bisognerebbe anche aggiungere che, a sua volta, il ministero è celibatizzato e questo è il nocciolo della questione, perché chiude un circolo endogamico: cristianesimo-clericalismo-celibato.
Come nelle matrioske o mamushka russe (bambole cave che al loro interno ospitano una nuova bambola, e questa a sua volta un’altra, in numero variabile), dentro il problema se ne nasconde un altro che lo riproduce.
L'immagine evoca l’attuale galassia cattolica romana in diversi sensi. Innanzitutto, ogni riproduzione è uguale alla matrioska originaria, in una serie di ripetizioni endogamiche e autoreferenziali, copia della copia che è andata progressivamente perdendo energia ed i contesti iniziali.
Una mera duplicazione chiusa che non incorpora il dialogo, né la vicinanza al mondo nello stile di vita presbiterale, perché ciò che è importante evidenziare è ciò che lo separa da esso. La parola “sacro” è intesa solo in un aspetto della sua etimologia: ciò che è distinto, separato, staccato da ciò che è comune. Tutto il contrario di Gesù, «il quale, essendo di condizione divina, spogliò se stesso e divenne uno dei tanti» (Fil 2,6).
Non possono esserci comunità senza leader, ma essi non possono stare dinanzi o al di sopra della comunità, bensì dentro e con la comunità. Essere apostolo non è essenzialmente un potere, una super-dignità, un’autorità “sacralizzata”. E tanto meno si tratta di un prestigio conferito dal “non sposarsi”, che è l’attuale strutturazione del ministero cattolico romano.

La Lettera a Diogneto, uno dei primi testi che descrive la Chiesa primitiva (158 d.C.), afferma: “I cristiani, infatti, non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per abiti. Non abitano neppure città proprie, né usano un linguaggio particolare, né conducono un genere speciale di vita….seguendo le abitudini locali quanto agli abiti, al cibo e al modo di vivere, mostrano la meraviglia e il paradosso, da tutti riconosciuto, del loro comportamento. Sono poveri, e arricchiscono molti… i cristiani sono nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”.
Ciò che era chiaro è che i cristiani potevano essere anima nel corpo sociale perché si incarnavano con il loro stile di vita. Questo, con i suoi pro e i suoi contro, ha costruito una civiltà, perché è stato una fede che si è incarnata, è diventata “cultura” capillare. La novità del Vangelo nella vita di ogni giorno. Anche se, come ogni realizzazione umana, sempre bisognosa di conversione e di discernimento della dinamica dei Segni dei tempi, che è ciò di cui stiamo parlando.
Nella società ci sono persone che si sposano e altre no. Essere come la gente significa vivere queste possibilità e non “inventare stati di vita” e di “perfezione” teorici basati sul celibato, per creare un’élite “superiore” e disincarnata. Nella società odierna la disuguaglianza viene rifiutata, posto che c’è chi, attraverso una forzata rinuncia manichea al matrimonio, si crede moralmente e religiosamente “superiore” agli altri. Il paradosso è che un gran numero di questi “esseri superiori perché celibi” finiscono per essere protagonisti di gravi crimini ed aberrazioni umane come la pedofilia, in tutte le parti del mondo.
Mentre tutta la Storia della Salvezza è l’espansione dell’Amore di Dio, che con la sua misericordia dilata l’universo umano, gran parte dell’istituzione ecclesiastica si chiude nel suo ristretto gruppo di “eletti” da se stessi (autoreferenzialità) e non persegue i bisogni del Popolo di Dio nel quale Dio si è fatto uomo. Al contrario, in nome del “sacro” prende le distanze dal Popolo che deve servire.
È tempo di aprire il poliedro del ministero e non lasciarlo impantanato in uno stile di vita solitario e misogino che produce vuoto interiore, infantilismo narcisistico e predispone agli abusi. Nessuno è preparato al ministero quanto un prete che ha compiuto una lunga formazione, che ha unito l’esperienza coniugale e familiare, archetipo umano di ogni amore. La vita monastica sarà sempre apprezzata, ma non come unico stile di vivere il cristianesimo.
Si tratta di declericalizzare e decelibatizzare il ministero e il cristianesimo e, insieme ad un celibato libero di alcuni, di incorporare i preti sposati, che offrono come nessun’altra esperienza l’amore redentore di Cristo in quest’epoca. Se “nella casa del Padre mio ci sono molte dimore” (Gv 14,2), la cosa logica è che nel ministero presbiterale in questo mondo devono esserci anche molte possibilità di vita presbiterale.

Ciò causerà problemi? Ovvio. Ma saranno i problemi che vive la gente reale, come alle origini dell’esperienza cristiana. Perché “ciò che non è assunto non è redento” (sant’Ireneo). Nell’arena della vita reale si vedrà la sostanzialità di ciò che si predica sul matrimonio, sull’educazione dei figli, sul lavoro, ecc .... Nascerà un cristianesimo credibile e affidabile insieme a ministri che vivono gli stessi problemi della gente e non si isolano “sacralmente” in una “casta brahamanica di uomini celibi”.


Una proposta davvero “sinodale”


Innanzitutto va chiarito che non si pretende alcun cambio nel dogma della Chiesa né comportarsi come un “eretico” con pseudo-progressismi improbabili. I preti sposati, come quelli celibi, non formano un gruppo ideologico omogeneo né meritano il soprannome di “sospetti” più dei celibi, che spesso conducono una doppia vita.
Il celibato non è Rivelazione Divina ma un provvedimento disciplinare tardivo fatto da uomini e quindi suscettibile di cambiamenti ed eccezioni, come si fa quando fa loro comodo (preti anglicani sposati incorporati nel clero cattolico).
Il celibato non equivale all’indissolubilità del matrimonio o a qualcosa del genere. Tuttavia, esso ha avuto un’enfasi esagerata ed è erroneamente considerato come qualcosa di “molto sacro”, di essenziale e di intoccabile, a tal punto che chi osa “tradirlo” viene assolutamente scartato nella pastorale ecclesiastica istituzionale.
La proposta di gran parte dei preti sposati è quella di esercitare il ministero, ma non per sostituire l’attuale struttura di parroci e la relativa organizzazione. Ancor meno per competere con il disastroso clericalismo esistente. Ma per raggiungere gli ambiti del lavoro, dell’educazione, del giornalismo e del sociale dove nessun ministro attuale arriva perché non ha più la sicurezza di essere accolto con l’interesse e i timori reverenziali di un tempo. Andare nel tempio del mondo dove la sua presenza è più vicina agli uomini del lavoro e della famiglia, con i quali parla la stessa lingua e condivide la stessa vita e gli stessi problemi.
È imprescindibile che non restino soli, ma abbiano il sostegno episcopale per formare comunità di preghiera, con formazione culturale e teologica, scambio di esperienze, spazi di incontro periodico, ecc. Così come ci sono molte forme di associazione nella Chiesa, questi gruppi non si comporterebbero come “lupi solitari” o come pecore senza pastore, ma si integrerebbero nell’azione ecclesiale e sarebbero percepiti come tali dalla gente. Per quanto riguarda la formazione dei seminaristi, è necessario inserire nella squadra dei formatori l’esperienza dei preti sposati che ne abbiano la formazione e la vocazione relative. Altrimenti l’attuale sistema clericale ed autoreferenziale continuerà a riprodursi, continuando con la paura e il rifiuto di ciò che non si conosce.
Senza questo sostegno istituzionale fornito dalla Chiesa, è impossibile portare avanti la loro missione evangelizzatrice. Se l’Istituzione ha già dato il suo appoggio per creare “prelature personali”, nascondere sistematicamente i pedofili o chiudere un occhio su tante attuali situazioni clericali irregolari, perché non dare questo appoggio a quest’opera che viene da Dio ed è alla luce del sole?
C’è bisogno di vescovi che abbiano il coraggio di accoglierli come Cristo: così si vedrebbero sostenuti nella loro missione allargata a queste coppie disposte ad andare verso le frontiere esistenziali che sono già state abbandonate da tempo dall’istituzione. Missionari che apportano un nuovo carisma per la vita con la loro parola, la loro testimonianza ed i sacramenti per arrivare dove gli attuali chierici non li lasciano nemmeno più entrare.
Alcuni preti sposati sono caduti nello scoraggiamento e nella rassegnazione, che è ciò che il sistema clericale pretende cinicamente con il suo silenzio e il suo abbandono fino alla morte. Ma la maggioranza “non ha rotto e non ha ceduto”. È tutto un esempio di fede, speranza e amore nella Chiesa di Cristo...
“Gruppi di preti sposati non hanno mai tentato di rompere con la Chiesa” (Rufo González). Vediamo invece farlo da cardinali e chierici che credono di essere il monumento all'ortodossia e alle normative ecclesiastiche. Loro sì che minacciano ogni giorno con scismi e cospirazioni sedevacantiste.
Non si tratta solo di un atto di giustizia nei confronti di un folto gruppo di preti. È la chiave per dipanare l’evangelizzazione in quest’epoca e raggiungere le periferie esistenziali, che non saranno mai raggiunte con l’attuale stile di vita clericale. I preti sposati sono il segno dei tempi, la pietra che ha rifiutato il clericalismo e che ora può arrivare ad essere una pietra angolare della testimonianza di Cristo.
È imprescindibile che le donne, oltre ad essere madri e sorelle dei preti, siano anche le loro mogli. Altrimenti il ​​clero non comincerà mai a capire le donne. Sarà il primo vero passo verso il loro posto nella Chiesa per occupare tutti quelli che ancora mancano loro. Lungo questo cammino cambieranno la visione e la partecipazione della donna nella Chiesa. Solo se condividono in prima persona cosa significa essere accompagnati nel matrimonio, sarà vinta la paura che si ha nei loro confronti. Attraverso questo varco entrerà la donna con i suoi contributi e i suoi problemi, che saranno sempre più reali di questa fantasia autoreferenziale in cui vive sommersa la gerarchia.
“Finché la Chiesa non metterà fine all’idea del presbitero o del prete come «l’uomo sacro», le relazioni intraecclesiali continueranno a fare cortocircuito” (Jorge Costadoat). Gesù non è stato sacerdote secondo i riti religiosi, con i quali spesso appare in conflitto. L’allusione al suo sacerdozio nella lettera agli Ebrei è in un significato completamente diverso e può essere messa in relazione al sacerdozio comune del Battesimo, riferimento di tutto il cristianesimo.
L’«uomo sacro», la marioshka più grande è il problema della Chiesa. È per dedicarsi completamente a Dio? A quale Dio? Ad uno che non ha nulla a che vedere con un’esperienza che trasforma ed incarna così tanto l’amore coniugale da Lui creato? Questa rinuncia a qualcosa di essenziale è ciò che ti avvicina magicamente a Dio? Gesù non vuole forse Misericordia invece di sacrifici clericali?

L’«uomo sacro» instaura relazioni asimmetriche malsane, di superiorità, di manipolazione e di timore reverenziale che infantilizzano i fedeli. Tuttavia, quest’«investitura magica» del prete celibe finisce per favorire l’abuso di potere e l’abuso sessuale, come denunciano rapporti provenienti da tutto il mondo (vedi Costadoat, 3.9.2024).
L’«uomo sacro», celibe per imposizione, sperimenta un’amputazione affettiva, facendo sì che la Chiesa ruoti attorno a lui per cercare di compensare. Ecco perché di solito non genera comunità, ma piuttosto “pubblico”, “ammiratori” o “fedeli sottomessi” (Costadoat), che controbilanciano la sua mancanza di affetto coniugale. L’attuale organizzazione ecclesiastica non vive come una famiglia perché è gestita da persone che non hanno formato famiglia.
Il celibato obbligatorio produce inevitabilmente una visione distorta della realtà a causa di questa mutilazione di una dimensione fondamentale della persona. Qualsiasi tentativo di partecipazione ecclesiale, come il Sinodo, che non metta sul tavolo del dialogo questa questione e la necessità di un riconoscimento istituzionale dei preti sposati, produce più o meno lo stesso effetto.
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Articolo pubblicato il 13.09.2024 nel Blog dell’Autore in Religión Digital
( www.religiondigital.com)
Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli