domenica 13 ottobre 2024

ALLA SCUOLA DEI SALMI
Homo homini leo

Lidia Maggi
Angelo Reginato


L'anima mia è in mezzo a leoni;
dimoro tra gente che vomita fiamme,
in mezzo a uomini i cui denti
sono lance e frecce,
e la cui lingua è una spada affilata.
Innalzati, o Dio, al di sopra dei cieli,
risplenda la tua gloria su tutta la terra!
Io voglio risvegliare l'alba.
Io ti celebrerò tra i popoli, o Signore…

(Salmo 57)

Lidia: la scena di un essere umano braccato, che sente sul collo il fiato dei suoi inseguitori, che ode tutt'intorno il suono delle pale che scavano la fossa in cui è destinato a cadere: è la descrizione di una paura che diviene panico, è la resa plastica del sentirsi perduti. Questo salmo è intriso di sudore freddo, quello che avvolge il corpo come un sudario nel momento del terrore. Le membra paralizzate, il cuore che batte all'impazzata e, a volte, non sempre, ma in questo caso sì, un urlo disperato, la richiesta di un aiuto tanto necessario quanto improbabile.

Angelo: lasciamo per un attimo da parte il capovolgimento delle sorti dove interviene il divino, e soffermiamoci sul prima. L’affanno del fuggitivo, più che l'eccezione della scena del terrore, sembra il respiro costante della storia. E anche di questo tragico nostro presente, in cui l'uomo è leone - non solo lupo! - per gli altri esseri umani. Quanti nei diversi teatri di guerra si misurano con persone che sono armi viventi, con bocche che divorano e distruggono, con lingue che feriscono come spade? E non solo nei conflitti armati. Sono legione le scene in cui si ode il respiro della disperazione: dalle fabbriche in cui si consuma silenziosa la spremitura degli impoveriti, ai deserti in cui i migranti vagano verso la morte; dalle carceri alle piazze; ovunque la medesima scena, nel nostro diseguale mondo, che si regge perché ai leoni sono date infinite prede.

Lidia: è la scena-madre dei Salmi. Quante volte l'abbiamo già scorta? Ma siamo ancora in grado di udire il grido disperato o abbiamo neutralizzato quel suono fastidioso correndo troppo in fretta verso più rassicuranti alleluia? Non è questione di censurare il suono di salvezza, che traccia la linea melodica. Ma per apprezzarne l’armonia occorre sentirla insieme alle altre note. Il salmista, che desidera risvegliare l'alba per celebrare il Dio che l'ha tratto fuori dalla fossa, è la stessa persona che non esita a dare voce alla tremenda tenebra che l'ha avvolto. Nei Salmi la disperazione trova parola, non viene taciuta per celebrare la vittoria affinché emerga una trama alternativa alla narrazione dei vincitori.

Angelo: dare voce alla disperazione, non rimuovere la scena dell'ingiustizia. E farlo non col distacco cinico dei numeri e delle tabelle ma con sguardo empatico e scandalizzato, per spingere anche chi guarda il naufragio dalla riva a gridare, impedendosi di percepire come inevitabile lo stato delle cose. La salvezza promessa non può essere un escamotage a buon mercato per smettere di sentire la vita offesa. Come ha scritto Chandra Livia Candiani, «ci sono le ferite che non guariscono, quelle che non guariranno mai. Sono le ferite che difendono la dignità. Vanno tenute in vita. Non si accettano inviti a dimenticarle, a placarle, a addomesticarle. Non si può preferire il benessere alla verità. Esiste una lotta, tra chi vuole fare del mondo un posto grazioso, avvolto dal pensiero positivo e dal nascondimento delle tenebre e chi nelle tenebre c’è stato, ne ha i segni addosso e vuole vivere, ma non vuole dimenticare, vuole stare nell'onore del vero. Il mondo è anche un inferno e chi c’è stato vuole ricordarlo, e dirlo».

Da Rocca (https://rocca.cittadella.org), 15 settembre 2024