martedì 15 ottobre 2024

  Gesù conduce a Dio e ai poveri 

 

Non si capisce Gesù se si prescinde dalla sua ebraicità

“Storicamente Gesù appartiene alla religione ebraica biblica: si colloca, come vedremo, nella tradizione mistico-profetica, in opposizione alle strutture sacerdotali costituite. Tuttavia, il concetto ebraico della divinità resta un elemento essenziale dell'autocoscienza di Gesù: la sua predicazione non comporta assolutamente l'eliminazione di Jahvè.

Il suo «In verità vi dico» non costituisce dunque una rottura completa con tutto il passato: Abramo e Mosè restano i suoi precursori, e il Dio dell'esodo dall'Egitto è anche colui che Gesù chiama col nome di Padre. Persino l'appello di Gesù all'amore, quell'amore del prossimo che ci è così familiare, non è nuovo nella sua formulazione: si tratta di una citazione dei libri più antichi della Bibbia.”(p.30).

Con la divinizzazione del fondatore, la Chiesa cristiana occidentale diveniva il più potente alleato del sistema politico, a cui restò sempre strettamente legata anche nei periodi di conflitto: il trono e l'altare si appoggiavano reciprocamente, e questa ideologia si è lungamente conservata, fino a gran parte dell'era moderna. Gesù - in netto contrasto con la sua posizione storicamente accertata di emarginato - avallava ora l'autorità terrena. La sua posizione sul trono celeste incarnava nella sua quieta immobilità il principio fondamentale del potere imperante nella vita politica e sociale: la stabilità”.

Adolf Holl, "Gesù in cattiva compagnia", Ed. Einaudi, 1991, pag. 42.

(continua)