mercoledì 6 novembre 2024

 Comunità  cristiana  di  base  di  via  Città  di  Gap,  Pinerolo

NOTIZIARIO DELLA CASA DELL’ASCOLTO E DELLA PREGHIERA

N° 117 novembre ‘24

Qui puoi sfogliare il notiziario

https://www.sfogliami.it/fl/303708/rk1z68ds7bdggc5np7y7c82hsu9xn


In evidenza:

     INCONTRI COMUNITA’ IN SEDE E SU MEET

- 3 e 17/11 h10: eucarestia on line 

- 5, 12, 19 e 26/11 h18: gr. biblici on line

- 8, 15, 22, 29/11 h17: gr. biblici in sede

- 24/11 h10: assemblea di comunità 

    NOTIZIE DA GRUPPI E COLLEGAMENTI

- Rete sinodale: primo incontro nazionale 

- Gr. amicizia islamo-cristiana: attività 2025 

     SPUNTI PER MEDITARE E RIFLETTERE

- La favola di Natale e la fede 

- La pace che vogliamo 

- Tu Dio non ti stanchi mai di amarci 

- L’Onu:…. un’economia del burnout  

 

APPUNTAMENTI COMUNITA’ IN SEDE (v.Città di Gap) E SU MEET

NB: invitiamo tutte/i a partecipare ai consueti incontri comunitari:

- Gruppi biblici: tutti i martedì dalle ore 18 solo on line (collegamento dalle ore 17:45 al link https://meet.google.com/ehv-oyaj-iue) e i venerdì dalle ore 17 solo in presenza, presso la sede di via Città di Gap n.13, a Pinerolo.

- Eucarestie: solo on line la prima e la terza domenica del mese alle ore 10 (collegamento dalle ore 9:45 al link https://meet.google.com/ehv-oyaj-iue).

 

     DOMENICA 3 NOVEMBRE h 10 – Eucarestia on line (prepara Francesco G.).

     MARTEDI’ 5 NOVEMBRE h18 e VENERDI’ 8 NOVEMBRE h17 – Gr. biblico: Matteo, c.8.

     MARTEDI’ 12 NOVEMBRE h18 e VENERDI’ 15 NOVEMBRE h17 – Gr. biblico: Matteo 9

     DOMENICA 17 NOVEMBRE h 10 – Eucarestia on line (prepara Maria Grazia B.).

     MARTEDI’ 19 NOVEMBRE h18 e VENERDI’ 22 NOVEMBRE h17 – Gr.biblico: Matteo 10

     DOMENICA 24 NOVEMBRE h 10 – Assemblea di comunità on line

     MARTEDI’ 26 NOVEMBRE h18 e VENERDI’ 29 NOVEMBRE h17 – Gr.biblico: Matteo 11

NOTIZIE DA GRUPPI E COLLEGAMENTI

Rete sinodale: 1° incontro nazionale (Assisi, 22-23/2/25)

Care comunità,

la Rete sinodale di cui facciamo parte insieme ad altre 28 realtà di base della Chiesa sta organizzando un incontro nazionale in presenza, dopo un cammino iniziato nei primi mesi del 2021 che ha visto tanti incontri online organizzativi e di approfondimento da cui sono nati 12 contributi, tra documenti e lettere, inviati ai sinodi nazionale e universale.

L’incontro sarà ad Assisi, presso la Pro Civitate Christiana, il 22-23 febbraio 2025.

Ci vogliamo incontrare per realizzare un’esperienza sinodale di confronto e conviviale tra le realtà della Rete, con il coinvolgimento di altri gruppi e singole persone. 

Lo faremo con momenti in plenaria, riunioni più ristrette in tavoli tematici e momenti di festa; la domenica mattina ci sarà un’assemblea conclusiva aperta alla stampa e una celebrazione eucaristica.

Seguiranno la locandina ed un programma dettagliato. Intanto l’invito è a segnalare la propria partecipazione.

In un momento storico buio, in cui le nostre idee, i valori che hanno mosso il nostro cammino sembrano essere tramontati, in cui la divisione regna in ambito politico e non solo, per l’incapacità di convergere, pur riaffermando la propria specificità, su di un denominatore comune con altre realtà, la rete sinodale è stata per noi in questi anni motivo di speranza. 

Camminare insieme tra realtà di base diverse si può, questi quasi 4 anni lo hanno dimostrato!

Inoltre è stato un desiderio costante delle CdB quello di incontrare altre realtà di base di cristianesimo democratico, perseguito a lungo con scarsi risultati. Questa è un'occasione da non poter mancare. 

Sarebbe davvero bello se questa esperienza la potessimo vivere insieme in tanti e tante ad Assisi il prossimo febbraio, per fare massa critica, dare visibilità alla nostra area ecclesiale, unire e far sentire le nostre voci. Noi ci contiamo… Un abbraccio a tutte e tutti

Stefano e Dea

Gruppo amicizia islamo - cristiana: attività 2025

Mercoledì 16 ottobre ci siamo incontrati, in via città di Gap, per programmare le attività del 2025 del gruppo dell'amicizia islamo-cristiana.

Sono tre le date che da diversi anni abbiamo scelto come riferimento per calendarizzare le nostre iniziative annuali.

1) Il 27 ottobre, “Giornata internazionale del dialogo cristiano – islamico”, una data che rimanda allo storico incontro avvenuto ad Assisi il 27/10/1986, in cui 62 capi religiosi si ritrovarono per la prima volta a pregare insieme per la pace.

2) Il 4 febbraio, anniversario della firma del “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” (noto anche come “Dichiarazioni di Abu Dhabi”) da parte di papa Francesco e del Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyib (4/2/2019).

3) Il 20 giugno, “Giornata mondiale del rifugiato”, istituita dalle Nazioni Unite nel 2000, per ricordare i milioni di persone che sono costrette a fuggire dalle proprie case a causa di guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti umani.

Quest’anno, come gruppo dell’amicizia islamo – cristiana, abbiamo programmato le seguenti 3 attività in corrispondenza delle date di riferimento riportate sopra (si è scelta la data vicina più adatta):

1) Adesione e partecipazione alla manifestazione della pace di Torino del 26/10/24: alcuni di noi hanno partecipato all’iniziativa che, nonostante le condizioni meteorologiche avverse, ha avuto una buona riuscita.

2) Giovedì 6 febbraio 2025 dalle ore 17:30 alle ore 19:30, organizzeremo un incontro pubblico sul tema della cittadinanza (ius soli, ius sanguinis, ius scholae, ius culturae).

Introdurranno il dibattito tre relatori che affronteranno il tema dal punto di vista giuridico-sociologico (Enrico Gargiulo, professore associato di sociologia del dipartimento CPS - Culture, Politiche e Società - dell’Università di Torino), politico-amministrativo (Agnese Boni, presidente CISS, Consorzio Intercomunale Servizi Sociali) e religioso (da individuare).

Per un’introduzione al tema si rimanda all’articolo del prof. Gargiulo, pubblicato a pag.3 del nostro notiziario di ottobre, riprendendolo dal sito dell’associazione "Volere la luna" (l’articolo visualizzabile cliccando sul link: https://volerelaluna.it/societa/2024/09/26/quando-la-scuola-e-un-pretesto-cittadinanza-e-bisogni-delle-persone/)

3) Nei mesi di maggio – giugno (la data è ancora da definire, ma probabilmente sarà anticipata a maggio per permettere l’adesione delle scuole) organizzeremo la messa in posa della targa "Onde della memoria” nel comune di Chivasso.

 

SPUNTI PER MEDITARE E RIFLETTERE

La favola di Natale e la fede

La chiesa cattolica è già tutta proiettata sul Natale di Gesù, oggi prevalentemente già presentato come Dio, fino all’1 gennaio, quando teologicamente diventerà esplicito il dogma cristologico “Maria Madre di Dio”, preceduto dal dogma dell’Immacolata concezione dell’8 dicembre. Quindi non è vero che l’Avvento comincia il 1 dicembre.

Provo sgomento che sia stata esplicitata la proposta di giungere ad un credo ecumenico (“Riforma” dell’1 novembre) per festeggiare i 1700 anni dal concilio di Nicea (325 d.C), in cui Gesù è proclamato Dio, consustanziale al Padre. Io resto con Ario: espulso, perseguitato, massacrato, con il numerosissimo numero dei vescovi anch’essi fermi al Gesù ebreo, profeta dell’unico Dio.

Se tutta questa pastoia di feste rende pacificamente acquisita, com’è nel credo attuale, la divinità di Gesù, ebbene io sono grato a Dio, nel pieno rispetto della dogmatica che divinizza Gesù, ma anche in chiaro dissenso con questa.  La mia comunità è tuttora molto esplicita e ferma sulle posizioni di Ario: Gesù è ritenuto pienamente un credente ebreo, pienamente uomo, sia pure con una particolare missione ricevuta da Dio. Il Gesù storico non si è mai pensato e definito Dio, se si leggono i vangeli, anche quello di Giovanni, con serietà esegetica.

La comunità di cui faccio parte, e tanti teologi e cristiani, conservano la fede nel Dio che ci ha donato in Gesù il maestro e il profeta. Gesù ci invita a seguire la sua fede nel Dio che lui adorava, pregava e riconosceva, ci indica un cammino in cui sono inscindibili due connotati essenziali: adorare l’unico Dio e amare i più deboli. 

La mia comunità non ha mai cancellato Gesù uomo ebreo, profeta di Dio e maestro di vita. Ringrazio Dio di questo cammino in cui la fede di Gesù e la sua vita concreta restano i pilastri di una fede viva e adulta, che mette la verità storica prima delle versioni dogmatiche. Spero che potremo presto pubblicare nel blog il percorso dei concili e dei dogmi che gli studi storici hanno evidenziato.

Come Gesù, cerchiamo di mettere la nostra vita, ora e dopo al morte, nelle mani di Dio, del Suo mistero insondabile, del Suo amore inclusivo, di tutte le sue creature, e di percorrere tante altre strade nelle quali cerchiamo la Sua presenza, il Suo invito, il Suo amore, che va oltre tutta la violenza del mondo.

Oggi la ricerca teologica non gode ottima salute, ma essa non è saccenteria; rassegnarsi al catechismo, ai dogmi, alle legende mariane, alle apparizioni, all’inferno/purgatorio/paradiso come scala verso Dio, al peccato originale in ogni nato/a… è pura ignoranza. 

La nostra fede è piena di umanità e le ricerche hanno lo scopo di renderla più bella, gioiosa, feconda ed attraente.

Franco Barbero (3 novembre 2024)

La pace che vogliamo

Si sostiene spesso che “tutti vogliamo la pace”. Di sicuro tutti la auspicano, a parole. Perfino Netanyahu, nel suo recente intervento alle Nazioni Unite, ha dichiarato – con la spudoratezza che lo contraddistingue – che “Israele vuole la pace”, immediatamente prima di autorizzare l’assassinio “mirato” del leader di Hezbollah, Nasrallah. Non basta, evidentemente, sostenere di volere la pace. Di quale pace stiamo parlando? E di quali mezzi per raggiungerla?

L’aureo libretto Per la pace perpetua, scritto nel 1795 da un Kant ormai anziano, e sempre più radicale, si apre ricordando l’insegna di un’osteria olandese raffigurante un cimitero, accompagnata dalla scritta “Per la pace perpetua”. Un’insegna satirica, evidentemente. Come ironico è Kant nel chiarire che ciò che va cercando non è la pace eterna dei cimiteri. Su questo saremo – immagino – tutti d’accordo. Come nel respingere l’accezione di pace a cui si riferiva Calgaco, re di una tribù dei Britanni brutalmente sottomessa dai Romani, con la celeberrima frase: “Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace” (Tacito, De Agricola, 30, 4).

E dunque, quale pace vogliamo? Lo scrittore israeliano David Grossman, riferendosi agli “accordi di Abramo” stipulati da Israele con alcune petro-monarchie del Golfo Persico, parlava di “pace dei ricchi”. Era un modo per esprimere perplessità su un accordo – propiziato dall’allora Presidente Trump e celebrato quasi unanimemente in Occidente come il viatico per una nuova epoca di stabilità – che intendeva, tra l’altro, congelare, e legittimare una volta per tutte, il regime di occupazione e apartheid imposto da Israele ai Palestinesi. “Soltanto a essere sordi” – ha commentato Gad Lerner – si poteva pensare di “imporre un equilibrio duraturo” nella regione “con la sola forza dei soldi e delle armi” (Gaza. Odio e amore per Israele, Feltrinelli 2024, p. 173). E, davvero, affetto da una grave forma di sordità e cecità si è rivelato il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan, nel dichiarare, otto giorni prima del 7 ottobre: “La regione del Medio Oriente è più tranquilla oggi di quanto non lo sia mai stata da decenni” [sic!]. Evidentemente, la pace che vogliamo non è neanche quel genere di “tranquillità” che esisteva in Medio Oriente e nei territori occupati da Israele prima del 7 ottobre. Una pace coloniale, imposta dai forti sui deboli, alle loro condizioni. Platealmente “ingiusta” e, proprio per questo, finta, violenta, instabile. Destinata prima o poi a essere mandata all’aria dalla sollevazione degli oppressi.

Dobbiamo aspirare, allora, a una pace “giusta”?  Quante volte abbiamo sentito risuonare questa formula, in questi mesi… Da ultimo l’ha richiamata l’europarlamentare Carola Rackete per giustificare il proprio voto favorevole ad autorizzare l’Ucraina all’uso delle armi occidentali per penetrare in profondità nel territorio russo. E, prima, di lei, l’ha invocata Zelensky, per opporsi a ogni e qualsiasi negoziato per porre fine alla guerra. Non che l’abbinamento tra pace e giustizia sia da respingere, sia chiaro. Ma il problema è che ciascuno ha la propria concezione della giustizia, che rischia di non avere niente a che fare con quella del nemico, che a sua volta accetterà di deporre le armi solo quando riterrà soddisfatte le proprie legittime aspirazioni. Là dove ciascuno invoca la “pace giusta” si continua a combattere a oltranza… D’altronde fiat iustitia, pereat mundus non è, propriamente, uno slogan pacifista. È il motto dei fanatici, non dei “costruttori di pace”. E il fanatismo dei “buoni” non è meno pericoloso di quello dei “cattivi”. Quando l’assolutizzazione del valore “giustizia” spinge a considerare accettabile perfino il rischio dell’olocausto nucleare, con conseguente estinzione dell’umanità, c’è qualcosa che non torna.  

Meno pretenzioso – e meno strumentalizzabile – dell’ideale della “pace giusta”, è l’obiettivo della “pace attraverso il diritto”. Tra diritto (ius) e giustizia (iustitia) esiste naturalmente un nesso, suggerito dalla stessa etimologia. Ma, mentre la nozione di giustizia, in regime di “politeismo dei valori”, è altamente controversa, sul diritto è più facile intendersi. Kant definiva il diritto come “la limitazione della libertà di ognuno alla condizione dell’accordo con la libertà di qualsiasi altro, in quanto ciò sia possibile secondo una legge universale”. Tradotto nel nostro lessico, significa che l’idea di diritto, a partire dall’età moderna, è inscindibilmente legata a quella di eguaglianza. In uno stato di diritto la legge è uguale per tutti, viene applicata da un giudice terzo rispetto alle parti in conflitto, ricorrendo a strumenti alternativi alla violenza bruta e indiscriminata in cui consiste, per definizione, la guerra.

Eguaglianza, reciprocità, simmetria sono alla base del progetto di costruzione della convivenza pacifica tra i popoli attraverso il diritto. Mi assoggetto a un tribunale internazionale, a patto che anche tu lo faccia. Mi impegno a rispettare le decisioni comuni, se ho anch’io il diritto-potere di contribuire democraticamente alla loro formazione. Accetto di disarmarmi, se anche gli altri lo fanno. Rinuncio ad arricchire l’uranio per sviluppare la Bomba, se anche le potenze nucleari si impegnano a ridurre e, in prospettiva, a svuotare i propri arsenali. È la logica hobbesiana, e kantiana, dell’uscita dallo stato di natura, concepibile solo in condizioni di reciprocità, che rivive oggi nel progetto di una Costituzione della Terra redatto da Luigi Ferrajoli (https://volerelaluna.it/politica/2021/05/18/perche-una-costituzione-della-terra/).

Questo progetto, oltre a prevedere una rifondazione dell’ONU e del diritto internazionale su basi autenticamente universalistiche e la messa al bando delle armi di distruzione di massa, contempla tutta una serie di misure finalizzate a ridurre le enormi diseguaglianze oggi esistenti tra i popoli e gli individui nell’accesso a risorse vitali per la sopravvivenza. Kant poteva ancora pensare che all’origine delle guerre ci fossero i capricci dei principi, intenti a sfidarsi vicendevolmente per futili motivi, come in “una gara di piacere”, certi che i loro possedimenti e le loro vite non sarebbero stati colpiti. Oggi siamo più consapevoli del fatto che dietro alle guerre c’è la lotta per il controllo delle risorse – acqua, petrolio, gas, metalli preziosi – da cui dipendono gli equilibri del capitalismo globale. E ci sono gli interessi economici di attori non solo pubblici, ma privati: i “poteri selvaggi” dell’economia globalizzata, che dall’apertura di sempre più numerosi fronti di guerra traggono lauti profitti. Ecco che allora il binomio di pace e giustizia torna ad acquisire un senso: senza giustizia sociale, a livello globale, senza un radicale superamento dell’iniqua distribuzione delle ricchezze tra Nord e Sud del mondo, nessuna pace degna di questo nome sarà mai possibile.

Valentina Pazé

(da “Volerelaluna”, 4 novembre 2024, l’articolo è visualizzabile al link: https://volerelaluna.it/controcanto/2024/11/04/la-pace-che-vogliamo-non-e-quella-dei-cimiteri/)

Tu Dio non ti stanchi mai di amarci

O Dio, Tu sei colui che suscita continuamente la vita:
sei il nemico irriducibile delle forze della morte.
Come il torrente si perde tra le sabbie aride
e diventa asciutto,
così le nostre forze vengono meno
per le difficoltà di ogni giorno.
I canti più belli si spengono presto,
come i falò della festa
e ritorna la pesante monotonia
che uccide più della morte.
Forse che l'alba della risurrezione del Tuo figlio Gesù
non nacque nel cuore della notte più triste
e sconfortante?
È bello, o Signore, sapere che Tu ami questa nostra vita,
fatta di alti e bassi, di porte aperte e di finestre chiuse,
di bocche che sorridono e di occhi che piangono!
Non sei Tu che dalle ossa aride
hai tratto un popolo vivente?
A volte stiamo nel mondo
con i nostri idoli e le nostre viltà,
noi che pensiamo di saper fare tutti i discorsi
di giustizia...
Spesso non lottiamo,
noi che ci mettiamo al sicuro con una parola
perché ormai diamo per scontato
di essere dei veri cristiani.
Ma Tu ci ami con un amore che spinge a vita nuova.

Franco Barbero

L’Onu: “La nostra ossessione per la crescita ha creato un’economia del burnout”

Un rapporto delle Nazioni Unite punta il dito contro il nostro sistema economico per il dilagare dei problemi legati alla salute mentale.

Anche il mondo del lavoro, sempre più precario e competitivo, è causa del dilagare dei problemi legati alla salute mentale.

Ci hanno raccontato che la crescita del prodotto interno lordo (PIL) fosse l’unico e solo obiettivo da perseguire. Che fosse l’unico e solo parametro in grado di misurare il benessere di una nazione. Il risultato? Ora viviamo in un mondo sull’orlo del collasso ambientale e sociale. Un’«economia del burnout» in cui, per la salute mentale di larghe fasce della popolazione, la disoccupazione diventa paradossalmente preferibile a un lavoro pressante, con scarso potere decisionale, instabile e pagato troppo poco. Sono le conclusioni a cui giunge il nuovo rapporto di Olivier De Schutter, relatore speciale sulla Povertà estrema e i diritti umani delle Nazioni Unite.

Il circolo vizioso tra povertà e disturbi legati alla salute mentale

Dopo la precedente analisi delle storture figlie dell’ideologia della crescita a tutti i costi, questo nuovo lavoro di Olivier De Schutter si concentra sulla salute mentale. Che non è soltanto una questione individuale. Lo dimostra il fatto che esista una sorta di circolo vizioso per cui la povertà compromette la salute mentale e questo, a sua volta, ostacola i tentativi di risollevarsi dalla povertà stessa. Una correlazione testimoniata da diversi studi scientifici. D’altra parte, l’insicurezza economica è una continua fonte di stress. E una persona che fatica ad arrivare a fine mese tende anche a rimandare l’accesso ai servizi di supporto, perché non li conosce o teme di non poterseli permettere.

Viene da pensare che gli Stati più poveri del Pianeta siano quelli con la maggiore diffusione di problemi legati alla sfera mentale, ma non è esattamente così. Nei Paesi a basso reddito, l’incremento del PIL pro capite è accompagnato da una maggiore soddisfazione per la vita. Nei Paesi industrializzati come quelli europei, invece, sono le disuguaglianze ad avere gli strascichi più pesanti in termini psicologici. E ad averli su tutti. Le persone povere, o che rischiano di diventarlo, hanno meno risorse per reagire e dunque rischiano di ripiegare su alcool o droghe. O sul suicidio, la quarta causa di morte nella fascia di età 15-29 anni.

Una «pandemia» di ansia e depressione

Oggi l’11% della popolazione globale convive con un disturbo legato alla salute mentale, tra cui depressione (280 milioni di persone) e ansia (301 milioni). L’incidenza di entrambe queste condizioni è aumentata del 25% durante il primo anno di Covid-19. I problemi legati alla salute mentale hanno ripercussioni gigantesche sul piano economico: le perdite stimate sono nell’ordine dei mille miliardi di dollari all’anno. E se è vero che in certi casi i farmaci possono aiutare, è vero anche che la motivazione profonda di una simile «pandemia» non sta solo nel funzionamento di serotonina e dopamina. Quanto, piuttosto, nella «pressione crescente per una maggiore produttività».

Lo studio di Olivier De Schutter è un duro atto d’accusa contro un mondo del lavoro che accelera i ritmi all’inverosimile, fa pressione per la produttività, spinge le persone a competere le une contro le altre. Arriva a dire che, in termini di salute mentale, talvolta addirittura la disoccupazione sia preferibile rispetto ad avere un lavoro che chiede troppo e offre troppa poca sicurezza in cambio. Soprattutto in questa «economia sempre più terziarizzata che funziona 24 ore su 24, 7 giorni su 7, in cui il lavoro precario e l’organizzazione della produzione “just-in-time” diventano la norma, e in cui gli orari di lavoro sono determinati da algoritmi», risultando dunque imprevedibili.

Come superare l’«economia del burnout»

Cosa fare per lasciarsi alle spalle quella che il titolo dello studio definisce «economia del burnout»? Investire di più nella salute mentale, innanzitutto: oggi in media ogni Stato stanzia appena due dollari pro capite, una cifra che scende a 25 centesimi nei Paesi a basso reddito. Bisogna anche investire meglio: oggi il 67% delle risorse va agli ospedali psichiatrici, trascurando dunque i servizi sul territorio e il vasto capitolo della prevenzione.

Ma, se alla base ci sono dinamiche di tipo socio-economico, è anche e soprattutto su di esse che bisogna agire. Perseguendo un «nuovo contratto eco-sociale» che si opponga alle disuguaglianze di reddito e di ricchezza. Tornando a dare priorità al benessere e non più al PIL. Combattendo la precarizzazione del lavoro. Rendendo davvero universali le misure di protezione sociale, invece di erogarle – come accade nella stragrande maggioranza dei casi – solo a fronte del rispetto di condizionalità stringenti. Anzi, si potrebbe ragionare sul reddito universale di base: studi condotti in vari contesti dimostrano i suoi effetti positivi anche sul benessere psicologico della popolazione.

«È solo affrontando questo sistema economico che non funziona e mettendo il benessere al di sopra della continua ricerca di crescita che possiamo iniziare ad affrontare seriamente la povertà e la crisi della salute mentale che la accompagna», conclude De Schutter.

Valentina Neri, 5/11/24

(da https://valori.it/onu-economia-lavoro-salute-mentale/#)

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