martedì 12 novembre 2024

Non è successo niente? Indifferenti?


Eppure la Corte costituzionale italiana ha emesso un’importante sentenza sul suicidio assistito, chiarendo e ampliando l’interpretazione del requisito del "trattamento di sostegno vitale".

Per chi amministra il nostro Paese, sembra che non sia successo niente. Invece il più importante organo di garanzia italiano ha emesso una nuova sentenza sul suicidio assistito, sollecitando pure il Governo, il Parlamento e il Servizio sanitario nazionale a darsi da fare per attuare concretamente i principi fissati dalla sentenza del 2019 (nata sul caso di D.J. Fabo, dal nome di Fabiano Antoniani, il d.j. rimasto tetraplegico e che nel 2017 aveva espresso la volontà di accedere al suicidio assistito, n.d.r.), che ha aperto le porte - per la prima volta in Italia - alla prospettiva di una legge avanzata sul fine vita comprensiva sia del suicidio assistito sia dell'eutanasia volontaria. Invece in Italia manca una legge organica sul tema del fine vita.

Su questa vasta tematica recentemente la Rete dei Viandanti ha organizzato un Forum con le riviste che ne fanno parte, guidato dal teologo cattolico, di Zurigo Alberto Bondolfi. Egli, partendo da alcune considerazioni di carattere legislativo e giuridico ed illustrando a grandi linee la situazione di Svizzera, Belgio, Lussemburgo e Olanda, ha riferito come il denominatore comune sia il principio generale di autonomia del paziente, riferite al diritto-pretesa a non dover soffrire inutilmente e quindi a non dover ubbidire in maniera forzata a ciò che dice il medico curante. «È certamente meglio vivere che morire - ha sottolineato - ma seguendo dei criteri per alleviare le sofferenze e la qualità della vita».
Già, ma: «quale priorità deve essere considerata – ha detto Ernesto Borghi, teologo dell'Associazione biblica della Svizzera italiana - quantità o qualità della vita? Cosa vuol dire poi essere incurabile? Bisogna evitare cure che non portano da nessuna parte?». Tra i vari problemi evidenziati in quella sede ci sono sicuramente quello di carattere economico, quello del rapporto tra il piano giuridico e morale, nonché quello teologico riferito soprattutto alla grande influenza che assume la gerarchia cattolica sul tema.

«Riusciranno i nostri Stati a curare tutti i malati dal punto di vista economico? - ha detto Franco Ferrari, Presidente dei Viandanti. A me sembra che quella dei soldi sia una variabile cogente: lo abbiamo visto con il Covid, dove ad un certo punto si è dovuto decidere chi salvare e chi no, come in tempo di guerra».
Certo è che, dal punto di vista morale, «c'è già una discussione tra medici di base e familiari del paziente circa la decisione di ospedalizzare o meno il malato», ha sottolineato Bondolfi. Teologicamente parlando, invece, pare che la mentalità delle gerarchie cattoliche sotto il pontificato di papa Francesco sia diversa da quella sotto papa Ratzinger o papa Wojtyla. Pare che se ne possa parlare «in maniera più serena, senza scontri e ideologie», ha ancora detto Bondolfi. Eppure nel cosiddetto "mondo cattolico" si è sempre detto che la "vita è un dono di Dio" per cui la scelta del fine vita e dell'eutanasia significherebbe rifiutare tale dono, «una affermazione molto pericolosa - è il pensiero di Giovanni, redattore de "Il Foglio", mensile torinese nato nel 1971. Si veicola in questo modo l'immagine di Dio che impone come una gabbia, senza lasciare libertà all’uomo».

Certo è che - è stato sottolineato nel Forum - la medicina e gli interventi medici cercano sempre il male minore. Eppure qui Dio è visto come Colui che dona la vita ma anche che la toglie. «Il dono di Dio, cioè la vita, è nella responsabilità dell'uomo - gli fa eco Enrico Peyretti, storico fondatore dello stesso giornale sabaudo. In certi casi moriamo volontariamente per salvare un'altra persona. Ricordo che David Maria Turoldo, da malato all'ultimo stadio, diceva "Dio, toglimi tutto ma non la coscienza"'». C'è poi il “dolorismo cristiano'", potremo dire di una mentalità ante-Concilio, che esalta la sofferenza fisica e, nello stesso tempo, la combatte.

«Oggigiorno - ha detto ancora Bondolfi - nelle nostre società moderne il "dolorismo cristiano" è rivisto e riprogrammato». Prova ne è che anche il cardinal Carlo Maria Martini, affetto da 16 anni dal Parkinson, avvicinandosi alla morte, pare abbia pronunciato la frase: «Come prete mi sono trovato mille volte a parlare di morte ed eutanasia, ma da quando sono nell'anticamera della morte la penso diversamente». Ricordiamo in ultimo che il cardinal Martini non fu più in grado di deglutire i cibi, rischiando un decesso per soffocamento. Egli scelse preventivamente, in maniera responsabile e su consiglio di una sua nipote medico, una sedazione di accompagnamento alla morte: ha dunque vissuto un fine vita sereno.

Tempi di fraternità, ottobre 2024


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Che scelta etica e cristianamente positiva trovare come Martini il medico che ti aiuta a morire quando la vita non è più vita vera.

Franco Barbero, 16 ottobre 2024