venerdì 13 dicembre 2024

 NEL SEGNO DI RUT - 14

 

G - Leggiamo insieme, lentamente, affinchè le parole trovino terreno fecondo nei cuori, questa preghiera: Dio/Dea, io confesso davanti a Te che non ho avuto nessuna fiducia nelle mie possibilità. Che in pensieri, parole ed opere ho mostrato disprezzo per me e per le mie capacità.

Non ho amato me stessa come gli altri, non il mio corpo, non il mio aspetto, non i miei talenti, non il mio modo di essere. Ho lasciato che altri dirigessero la mia vita. Mi sono fatta disprezzare e maltrattare.

Mi sono fidata più del giudizio degli altri che del mio ed ho lasciato che la gente sia stata verso di me indifferente e maligna, senza metterle un freno.

Confesso che non mi sono svluppata nella misura delle mie capacità, che sono stata troppo vigliacca per osare di lottare per una giusta causa, che mi sono arrabattata per evitare dei conflitti.

Confesso che non ho osato mostrare quanto sono capace, non ho osato essere capace quanto posso esserlo davvero.

Ruah, soffio d’amore, perdona il mio autodisprezzo, raddrizzami, dammi fiducia in me stessa ed amore per me stessa.

(Liberamente tratta da una preghiera di Lena Malmgrem)

 

G - Memoria della cena - Comunione - Canto - Preghiere spontanee

Benedizione finale

 

Anche Donna: questa storia racconta molte altre storie...  (Caterina Pavan)

 

Città del Guatemala, un giorno come oggi. La giovane Manuela, di quindici anni non gioca da ormai undici anni. A quattro ha iniziato a badare ai fratellini ed alle sorelline più piccole, a sette a vendere frutta nei mercati ed ai turisti, ad otto è morta sua madre e lei è scappata di casa perché il padre beveva e la picchiava. Appena giunta nella capitale, spaventata e sola, è stata avvicinata da alcuni bambini come lei, che le hanno proposto di far parte della loro banda di strada. All'inizio Manuela non voleva, aveva sentito parlare male di loro; lei voleva lavorare. Fu assunta in modo irregolare da una coppia di ricchi negozianti. Doveva badare alla casa, almeno al principio. Poi il marito cominciò a darle fastidio e a farle strane proposte, la toccava e lei non voleva, le faceva schifo. Un giorno corse dalla moglie e le raccontò tutto. Tra donne, pensava, si sarebbero aiutate. Ma la donna la guardò con occhi tristi e le disse che avrebbe dovuto accettare ogni cosa, come aveva fatto lei da tanti anni. Ora il marito non la guardava più perché era vecchia e così poteva stare tranquilla. Prima le faceva patire di tutto, ma era un uomo e poteva pemetterselo. Anche Manuela avrebbe dovuto accettare; in quella casa era al sicuro, a parte l’uomo, e anche lui si sarebbe presto stancato… Ma una notte, quando lui tentò di entrare nella sua camera per approfittare di lei, Manuela saltò dalla finestra e scappò il più lontano possibile, con pochi soldi e di nuovo sola.

Entrò nella banda del Parco Centrale. Pensava che lì avrebbe trovato amicizia e solidarietà, anche se erano tutti e tutte poverissimi, ma si sbagliava. Lei non era fidanzata con nessuno e quindi, per essere accolta, dovette subire il rito di iniziazione delle ragazze: quasi ogni ragazzo della banda la violentò, nonostante le sue urla e le proteste di alcune fra le ragazze. Nella sua nuova vita provò di tutto: andò con i maschi a fare piccoli furti, ma era pericoloso, gli adulti sparavano loro addosso se li sorprendevano; rimase nel Parco da sola, ad attendere il ritorno dei suoi compagni, ma le retate della polizia erano all'ordine del giorno e venne picchiata più di una volta; accettò la proposta di uno dei ragazzi più grandi e divenne la sua fidanzata, andando ad abitare con lui in una pensione da quattro soldi. Non poteva uscire perché lui era molto geloso e doveva tenere tutto a posto e pulito. Lui pagava l’affitto, e basta. Manuela andò via da quella pensione dopo tre settimane. Nel Parco, sola, si sentì di nuovo libera. Ma fu presto presa dalla polizia, violentata e gettata in un burrone. Si salvò per miracolo e grazie all’aiuto di alcune persone buone, che la medicarono e la tennero al sicuro per un mese. Quando fu guarita se ne andò, ringraziando e piangendo: c’era ancora un po’ di umanità attorno a lei!

Cominciò a prostituirsi per sopravvivere; andava al ponte, con le altre ragazze, e si trovava bene, almeno finchè non arrivavano i clienti. Sniffava colla per resistere alle schifezze del suo lavoro, per poter accettare ogni cliente, per vecchio che fosse. Aveva bisogno di soldi e lavorava tantissimo. Parlava molto con le sue amiche e scoprì che molte di loro avevano uno o due figli, alloggiati presso delle case di accoglienza apposta per loro. Seppe che di tanto in tanto qualcuna di loro usciva dalla strada e veniva aiutata a costruirsi una vita migliore, fuori dalla strada. Molte, invece, non volevano saperne di cambiare vita, perché avrebbero dovuto smettere di usare la colla, avrebbero avuto delle regole da rispettare, eccetera.

A tredici anni Manuela rimase incinta. Non poteva sapere chi fosse il padre, ma voleva tanto quella creatura: poteva essere la spinta giusta per cambiare il corso della sua esistenza. Iniziò subito con lo smettere di sniffare la colla e col diminuire il numero dei clienti, cercando di accontentarsi di meno soldi. Era bello avere una vita in grembo, la rendeva allegra e serena. Ma gli uomini, si disse poi, non hanno pietà per nessuno, neanche per una donna gravida: venne presa  durante una retata, fu picchiata duramente e perse il bambino.

La notte seguente si addormentò piangendo nel lettino del piccolo ospedale dove fu ricoverata. Piangeva per la sua infanzia omiai lontanissima, per la sua mamma, per le mille sofferenze che aveva patito, per la solitudine in cui era cresciuta cosi giovane. Sognò di essere in riva ad un lago. Quel lago era immenso e attorno ad esso c'erano migliaia di donne in lacrime...Quel lago era formato dalle lacrime delle donne! Smise di piangere e osservò stupita tutte quelle creature. Avrebbe voluto sapere chi fossero, conoscere le loro storie, asciugare le loro lacrime...Al centro del lago, sospesa a un metro dalla superficie dell’acqua, c'era una donna bellissima, vestita con i colori dell’arcobaleno, circondata da una luce divina. Non piangeva più, Manuela. Osservava un po' la figura al centro del lago, un po’ la donna a lei più vicina: era la padrona del negozio presso cui aveva lavorato tanti anni prima. Capì in quell'istante che, ogni notte, quella donna si addormentava piangendo e si ritrovava attorno a quello strano lago…Povera donna infelice!

La figura luminosa le si sedette accanto. Sprigionava un’energia calda e dolce, che calmava ogni tristezza; chissà perché, si chiese Manuela, le altre donne continuano a piangere lo stesso…Come se avesse udito i suoi pensieri, l’Essere al suo fianco le disse: “Loro non Mi vedono, neanche se Mi sedessi loro in braccio si accorgerebbero di Me”.

“Ma chi sei'?”, e questa volta Manuela fu certa di aver parlato a voce alta... “Sono la Dea, Madre della vita di ogni creatura”. “La Dea? Ma non c’è un solo Dio, Padre del tutto?”, chiese stupita la ragazza. “Certo, e sono Io. Sono il Dio, ma anche la Dea. Sono Sorgente, Vento, Fuoco. Sono Forza, Spirito, Presenza. Ho mille nomi e mille volti, perché solo così posso essere accanto ad ogni Mia creatura, in qualunque momento della sua vita. Ora Mi vedi così, perché così mi vogliono queste donne, Donna come loro, affinchè le possa capire. Io sono come loro, Io sono come la più piccola e misera delle creature, perché solo così posso consolarla. Le donne, e tu lo sai bene, sono da sempre le ultime in assoluto: se prendi il più povero, il più sfruttato, il più emarginato tra gli uomini, troverai comunque sempre almeno una donna più povera, sfruttata ed emarginata di lui. Questo è ciò che è capitato sulla terra, a causa del potere maschile, che ha dominato, finchè ha potuto, facendo crescere nell’ignoranza e nella sottomissione le donne come te; quando poi le donne hanno cercato di protestare e rivendicare un loro ruolo più attivo e consapevole nella vita dell’umanità, quando hanno cominciato a chiedere di essere riconosciute in quanto creature diverse, ma ugualmente dignitose, il potere degli uomini le ha violentate, uccise, imprigionate, bruciate, fatte tacere in tutti i modi. Hanno persino detto che ero Io a volere tutto ciò, che era nel Mio Nome che si perpetravano queste violenze. Ho pianto anch’Io, e sto ancora piangendo, perché hanno abusato di Me, gli uomini, che pure sono Mie creature. Mi hanno messo in bocca atrocità che non ho mai neanche pensato, hanno fatto di tutto per renderMi assetata di sangue e vendicativa...!

Cosa posso fare? Posso solo parlare ai cuori di chi, come Te, riesce a vederMi. Per il resto non posso fare altro che stare accanto a chi soffre diventando come lui o lei, aspettando che Mi cerchi e Mi riconosca. Io ci sono. Un giorno anche queste donne, come già altre hanno fatto, Mi riconosceranno e si libereranno dalla loro sofferenza, si uniranno e cammineranno insieme. Sai, Manuela, anch'Io ho un sogno: sogno che prima o poi il mondo cambi. Ci sono già anche degli uomini che lottano per liberare le donne dalla schiavitù loro imposta e per provare a costruire un mondo basato su rapporti che non siano fondati sul potere o sulla violenza…Per fortuna non tutti gli uomini sono uguali!

E poi sempre più donne cesseranno di piangere in silenzio e cominceranno ad urlare a gran voce per vedere riconosciute ed amate le loro differenze, così importanti per colorare il mondo!

Ovunque sarai, cara Manuela, ricordati che Io, Dea, Donna come te, accompagnerò ogni tuo passo”.

 

Ora Manuela ha quindici anni. Da quasi due anni lavora in un comitato femminile che, nei villaggi del Guatemala, si propone di aiutare le donne a prendere coscienza dei loro diritti, delle loro differenze, delle loro potenzialità positive, dei loro sogni. Accanto a lei lavorano altre donne, ciascuna con la sua storia. Il loro movimento (ma non solo il loro) è appoggiato anche da alcuni uomini, sparsi per il mondo. Manuela non è più sola, sulla riva del lago. Manuela corre sui prati e grida, e ha la sua piccola mano in una Mano più grande, nella Mano della Dea, Madre e Donna. Come lei.

 

A cura di MariaGrazia B., Luisa B., Caterina P., Sara S.

 (continua)