sabato 14 dicembre 2024

 NEL SEGNO DI RUT - 15

 

 Pra' del Torno, 19 settembre 1999

 

"Vieni, bambina mia, vieni con me a salutare la Dea, perché Ella ci chiama. Assorbi la sua saggezza nella tua mente, la sua forza nel tuo corpo, il suo amore nel tuo cuore. Sentila nel profondo, dentro di te, mentre ti porta indietro agli inizi, a colei che per prima fu chiamata Zena e che, come ognuna di noi, avrà degli insegnamenti da trasmetterti.

Colma te stessa delle nostre vite della conoscenza e delle visioni che abbiamo avuto, di tutto ciò che abbiamo sperimentato, fino a che diventeremo una parte di te, una parte di tutte le Zena che verranno, in modo che gli insegnamenti della MADRE non saranno mai dimenticati”.

(da “ll cerchio Sacro” di Joan Dhar Lambert- Frassinelli)

 

T. Abbiamo fatto il possibile per incontrarci per stare insieme, per fare festa. Crediamo sia importante, o DIO, o DEA anche dedicare del tempo alla preghiera alla lode, a raccontarci il rapporto che abbiamo con Te.

 

Canto

 

G. Preghiamo a cori alterni:

1. A volte è faticoso credere che ci ami,

a volte Ti sentiamo come una dolce AMICA che ci accoglie e ci incoraggia, altre volte dentro di noi sentiamo dei dolci sussurri come se Tu fossi il nostro INNAMORATO...

Guardando i nostri bambini e le nostre bambine capiamo che solo TU, dolce CREATURA, potevi infondere dentro di noi la capacità di creare e capiamo anche che il Tuo SOFFIO vitale vive nel cuore di ognuna di noi.

2. E poi quando la tristezza ci opprime e l'angoscia ci blocca,

allora, se riusciamo ad alzare gli occhi verso il Tuo cielo,

il nostro cuore riprende a battere

di nuovo riusciamo a metterci in contatto con il mondo.

1. Insegnaci a gioire delle cose belle e a vedere la Tua mano

che ci conduce nelle difficoltà di ogni giorno.

Facci capire l'importanza dell'incarico che ci hai affidato:

di portare in noi, alle altre e agli altri la speranza,

il coraggio dell'annuncio, la forza di andare avanti.

2. O Madre, quando le donne Ti cercano,

trovano sempre il tempo per amare, per piangere,

per distribuire tenerezza e per sognare.

T. Tu, grande SOLE che riscaldi i nostri cuori,

Tu, tenera MAMMA che ci nutri l'anima,

Tu, dolce AMICO che ci sorridi,

Tu, SORGENTE inesauribile d’Amore,

Tu DIO, Tu DEA,

Tu fonte di ogni bene,

Stacci vicino e accompagna questi nostri passi e questi nostri giomi.

Lemire=Giobbe 7,11; 10,1-3; 12,5-6; 13,3-5,21-28

 

Da: ALEJANDRO JODOROWSKY, Quando Teresa si arrabbíò con Dio:

“Nel 1903 mia nonna Teresa, madre di mio padre, si arrabbio con Dio e anche con tutti gli ebrei di Dnepropetrovsk, in Ucraina, perché continuavano a credere  in Lui malgrado la micidiale inondazione del fiume Dnepr. Durante l’alluvione era morto Giuseppe, il suo figlio prediletto. Quando l’acqua aveva cominciato a invadere la casa, il ragazzo aveva spinto in cortile un armadio e ci si era arrampicato sopra, ma il mobile non rimase a galla perché era gravato da trentasette trattati di Talmud...Dopo il funerale, inseguita dal marito e stringendo a sé i quattro piccini che le rimanevano, Giacomo e Beniamino, Lola e Fanny, fabbricati più per dovere che per passione, entrò come una furia in sinagoga, interruppe la lettura del Levitico, capitolo 19, “Parla a tutta la congregazione dei figli d’Israele e di' loro...”, e ruggì: “Sarò io a dirvi qualcosa!”. Irruppe nella zona che le era vietata in quanto donna, spintonando gli uomini che, travolti da un terrore infantile, nascosero i volti barbuti sotto i manti di seta bianca, scagliò al suolo la sua parrucca, esibendo un lucido cranio arrossato dall'ira, e appoggiando il viso rugoso sulla pergamena della Torah imprecò rivolta alle lettere ebraiche: “I tuoi libri mentono! Dicono che hai salvato il tuo popolo, che hai aperto il Mar Rosso con la stessa facilità con cui io taglio le carote, ma non hai fatto niente per il mio povero Giuseppe…Se quell’innocente non aveva alcuna colpa, quale monito hai voluto darmi? Che il tuo potere è illimitato? Questo già lo sapevo. Che sei un mistero insondabile, che ti devo dimostrare la mia fede accettando con rassegnazione questa sventura? Mai! Questo andrà bene per i profeti della taglia di Abramo, per coloro che possono alzare il coltello contro i loro figli, non per una povera donna come me. Con quale diritto mi chiedi tanto? Ho rispettato i tuoi 613 comandamenti, ho pensato a te senza posa, non ho mai fatto del male a nessuno, ho dato un santo focolare alla mia famiglia, ho cucinato e spazzato pregando, mi sono lasciata rasare la testa in tuo nome, ti ho  amato più dei miei genitori, e tu, ingrato, che cosa mi hai fatto? Dinanzi al tuo potere di morte il mio bambino non è stato che un verme, una fonnica, un escremento di mosca. Non hai pietà! Sei un mostro! Hai creato un popolo eletto solo per torturarlo! Sono secoli che ridi alle nostre spalle! Basta! Ti parla una madre che ha perso la speranza e perciò non ti teme! Ti maledico, ti nego, ti condanno al tedio! Resta pure nella tua Eternità, fa’ e disfa universi, parla e tuona, io non ti ascolto più. E’ definitivo e per sempre: fuori da casa mia, meriti solo il mio disprezzo! Mi punirai? Se anche mi riempirò di lebbra, se anche mi faranno a pezzi, e i cani si ciberanno della mia carne, non me ne importerà nulla. La morte di Giuseppe mi ha gia ucciso’ “

 

Predicazione e interventi liberi

 

Durante le vacanze estive ho letto il libro Quando Teresa si arrabbíò con Dio di Alejandro Jodorowsky. Leggendo la prima pagina, che ho voluto inserire tra le letture bibliche della nostra eucarestia, il personaggio di Teresa mi ha irrimediatamente ricordato Giobbe. Le loro storie sono molto diverse, tuttavia entrambi vivono l'esperienza del dolore, della morte, della malattia, convertendo questo stato di bisogno in un vero laboratorio di trasformazione e di conoscenza di sè e del mondo. Entrambi, attraverso il dolore, giungono in luoghi inesplorati, dove, ad uno sguardo acuto e ad un cuore aperto, possono apparire orizzonti nuovi. Entrambi si spingono ad un coraggioso faccia a faccia con Dio, prendendosi personalmente la libertà di sondare il mistero divino. Essi, nel bene o nel male, diventano protagonisti del loro cammino di fede.

La prima considerazione che ho fatto, dopo queste constatazioni, è stata: “Questa Teresa mi piace tanto!”, forse perché nella Bibbia non ci sono dei personaggi femminili che si arrabbiano mettendo in discussione un’immagine di Dio opprimente anziché liberante. Senza entrare in sterili polemiche con la cultura biblica, ahimè, spesso fortemente patriarcale, ho invece constatato l'effetto positivo che ha avuto su di me l'immagine (extrabiblical) di una donna arrabbiata con un sistema di idee, una cultura, un immaginario religioso che non le corrispondono più.

Ho provato per Teresa grande simpatia e comprensione (a parte lo stupore di fronte all'acuta sensibilità maschile dell'autore nel descrivere sentimenti femminili). Mi sono sentita vicina a lei e mi sono chiesta quante Terese si saranno arrabbiate e avranno imprecato o maledetto, in cuor loro, il Dio crudele invocato a sostegno del dominio, della violenza e della sopraffazione? Quante Terese avranno guardato con rabbiosa ironia quel Dio racchiuso, come le loro vite, in leggi e regole di comportamento assurde? Un Dio insignificante per i vissuti delle donne, regolati dalle mutabili circostanze della “Relazione”.

Sia Giobbe che Teresa hanno come punto di partenza lo stridente contrasto tra la terribile esperienza vissuta ed un immaginario di Dio che non può dare risposte esaurienti al dolore umano e al senso della vita. Non si tratta qui di un’operazione puramente spirituale o intellettuale (ammesso che questi ambiti possano essere separati), per Giobbe e per Teresa è in gioco il senso stesso della vita. Se il loro Dio non è più in grado di infondere speranza e coraggio, se il suo agire nel mondo appare, ai loro occhi, senza senso, come è possibile vivere affrontando prove e difficoltà?

Giobbe si ribella ad un`idea di giustizia divina che premia i buoni e castiga i cattivi. A Giobbe non interessa più questo tipo di giustizia, perché la sua storia di malattia e di sofferenza la smentisce. Egli pur essendo un uomo buono, quindi innocente, si trova a dover soffrire molto ingiustamente. Questa è la molla che fa scattare in Giobbe la presa di coscienza dell'assurdità e dell'ingiustizia del suo immaginario divino. Per trasfonnare la sua visione di Dio egli è  sottoposto ad un grande travaglio interiore.

L'opera di Giobbe rappresenta la punta di diamante del grande dibattito sulla Teodicea, ossia sul senso della sofferenza umana in relazione alla giustizia divina, avvenuto all'interno della Sapienza d'Israele. Non possediamo ancora nulla di simile nella letteratura femminile, o almeno, nulla che testimoni del grande dibattito in corso fra molte donne sul divino, sulla necessità di esprimersi al di fuori degli schemi patriarcali, che testimoni il grande travaglio interiore che molte donne vivono, spesso ostacolate dall'esterno. Per molte di noi questo è ancora, (come afferma Lyn Brakernan autrice di "La serpentessa che voleva farsi amare"), il tempo della spiritualità della resistenza in cui le donne lavorano per cambiare tradizioni crudeli, scrivono teologie offensive per il senso comune, ridono, si arrabbiano, condividono brandelli di storie, prendono decisioni “un passo alla volta” per fare ciò che sentono più giusto, continuando a riunirsi e a vivere. Per questo mi sono presa la libertà di prendere in prestito Teresa.

Teresa ironizza con la cultura religiosa dei padri quando dice che per lei, piccola donna, non è possibile sondare il mistero di Dio come per i profeti della taglia di Abramo che possono alzare il coltello contro i loro figli, perché questa logica non le appartiene.

Teresa polemizza contro una religiosità legalista quando sostiene di aver rispet-  tato i seicentotredici comandamenti e di aver spazzato e cucinato pregando,  perché questo atteggiamento non le ha consentito di sviluppare la percezione  profonda delle interconnessioni esistenti nel ciclo di vita e morte. Perciò Dio le  appare solo in tutto il suo potenziale di morte (“...dinnanzi al tuo potere di  morte il mio bambino non è stato che un venne, una fonnica, un escremento di  mosca. Non hai pietà!”). Teresa si ribella a questo Dio per lei incomprensibile, distante e, utilizzando il linguaggio della relazione, lo condanna alla solitudine: “...resta pure nella tua eternità, fa’ e disfa universi, parla e tuona, io non ti ascolto più...”. Dalla collera di Teresa e dalla collera di molte donne dovrà nascere l'atto creativo di una visione nuova, capace di dare risposta al nostro potente bisogno di relazione col divino al di fuori di schemi che ostacolano la nostra libertà d'espressione. Dobbiamo però tener sempre presente che la totale libertà di un percorso spesso trova grandi ostacoli. Giobbe per la sua opposizione paga il prezzo del conflitto, della solitudine e della sofferenza di un lungo travaglio interiore. Quando si fa strada una nuova visione del mondo, non solo si sperimenta la difficoltà di condividerla con altre persone, ma, per il carattere destabilizzante di cui la novità è di per sé portatrice, si rischia di vivere l'esperienza della chiusura se non dell’apeita ostilità al nuovo che avanza.

Tuttavia, nonostante le difficoltà incontrate, molte donne proseguono il loro  cammino seguendo come unici riferimenti la fedeltà a se stesse, alle altre donne e la ricerca di risposte al proprio desiderio. In altre parole, seguendo il moto della propria anima poiché, come dice la filosofa Chiara Zamboni, bisogna stare attente all'anirna che quando si annoia se ne va!

Doranna Lupi

(continua)