POSSIANO COSTRUIRCI UNA PRIGIONE DORATA
Il vitello d’oro alla porta del cuore
Non appena ci si sente vivi e si gusta la prima aura di libertà, “ecco pronto il pericolo di farci conquistare dal vitello d'oro della nostra bravura e fecondità... Vogliamo diventare - scrive il teologo Drewermann - più fecondi e più forti che possiamo. E proprio qui ci troviamo improvvisamente esposti alla tentazione di adorare noi stessi…". Non appena avvertiamo scorrere nelle membra la nostra energia, ci sentiamo talmente presi da questo flusso vitale “come se parlare di Dio fosse stato soltanto una cosa impropria e infantile, a cui potremmo rinunciare; anzi, sorge l'impressione che adesso senza Dio si procederebbe molto meglio, più autonomi e più forti. Invece di idolatrare altre persone o cose arriviamo così ad idolatrare la nostra vitalità e la nostra energia naturale. Ma, in ultima analisi, così facendo siamo semplicemente ancora una volta in Egitto. Perché anche l'adorazione della propria vitalità è una prigione”. In realtà ancora una volta non accettiamo di essere semplicemente delle creature, delle persone umane, e ci vogliamo immedesimare in un modello, in una immagine di potenza e di autosufficienza.
Ora se è vero che il topo o lo schiavo non si addicono a noi, ci esponiamo alla tentazione opposta mettendoci nei panni del vitello d’oro o del gigante. “Ci basta essere uomini, né più né meno. Certamente manteniamo questo equilibrio solo quando ci attacchiamo saldamente a Dio, e quando è inteso che non possiamo sostituire senza danno Dio con qualcos'altro”.
Con o senza di Lui?
Accettare radicalmente e sinceramente la nostra umanità significa accogliere la presenza di Dio nella nostra vita. Non dico che sia “impresa” facile e scontata quasto aprire la porta del nostro cuore, ma è la radice della nostra vita. Se vogliamo diventare “camminatori senza perché”, “in un mondo dove anche le strade camminano e gli uomini non sanno più da dove vengono e dove vanno” (per dirla con Eugenio Scalfari), ma si agitano tra valori di plastica, per noi è necessario ricentrare la nostra vita fidandoci della “misteriosa ma fedele” compagnia di Dio. Ha ragione Qohelet. Anche il flusso dei nostri giorni, il nostro “banale” mangiare e bere, anche il godere un po' di felicità in mezzo alla fatica, “anche questo viene dalla mano di Dio. Infatti, chi senza di Lui può mangiare e godere?" (Qohelet 2,24-25). Ecco la strada che Dio ci indica: godere delle realtà che sono felicemente fruibili senza dimenticare che esse sono doni Suoi. Il saggio Qohelet ci ammenisce. Secondo lui il vero “godimento” e la pace “possibile” si radicano nella consapevolezza che senza Dio l’uomo e la donna non esperimentano la gioia del vivere. Gesù, andando oltre, ci testimonierà come Dio ci accompagna per entrare con noi nelle nostre gioie e nelle nostre sofferenze.
"Cercate me e vivrete”
E' nostro compito irrinunciabile “predicare” al nostro cuore e dire apertamente agli uomini e alle donne di oggi ciò che il profeta Amos annunciava ad Israele: “Cercate me e vivrete. Non cercate Bethel, non andate a Ghilgal, non vi recate fino a Beersceba...Cercate Dio e vivrete” (5,4-6).
Possiamo utilmente cercare tante “cose”, tante esperienze, tante terapie nella vita. Ma se carichiamo di attese salvifiche queste realtà umane, se facciamo di esse dei luoghi sacri e idolatrici come Bethel....sbagliamo bersaglio.
Per fondare lnostra casa sulla roccia o, se vogliamo, per sorreggere le nostre gambe vacillanti, bisogna “cercare l’Eterno”.
Le pillole o le botteghe della felicità stanno esaurendo le loro scorte e lasciano intravedere, tra crepe enormi, una montagna di illusioni. “Ormai solo un Dio ci può salvare”.
I “new agers” ci offrono i mantra, la respirazione olotropica, la sofrologia, il channelling, il rebirth, il tanta sky dancing, il viaggio astrale...e un infinito arsenale di tecniche.
Ancora una volta vogliono dirci che la salvezza è un insieme di tecniche e un fiorente mercato. A questo costoso mercato preferisco l’amore gratuito di Dio.
don Franco Barbero, 1970