Ho messo l’amore di Dio prima di tutto
Quando rifletto sul significato di cos'é il peccato per me oggi devo subito fare i conti con una constatazione: tutta la vita ho incontrato delle persone che si sono sentite schiacciate dai sensi di colpa, bollate come peccatrici, a tal punto da aver interiorizzato la convinzione di essere o maledette o abbandonate da Dio. E' purtroppo ancora storia assai frequente anche oggi (separati/e, divorziati/e, gay, lesbiche, donne che hanno abortito, donne che amano un prete...). E' esistita ed esiste ancora una predicazione amartiocentrica (= che mette al centro il peccato) che oscura l'amore accogliente di Dio.
Per me è utile tenere presente la distinzione tra la nostra “condizione di peccatori”, “il peccaio” nella sua realtà di allontanamento opposizione al regno di Dio, e i peccati come luoghi e modi in cui la realtà del peccato si invera nelle nostre vite personali. Da molti anni (scrissi con questa attenzione nel 1971 il volumetto “Diventati marxisti ha ancora senso parlare di peccato?") sono attento alla dimensione personale senza mettere tra parentesi le altre.
Per me oggi è evidente che vado fuori bersaglio quando mi allontano dall'amore esemplificato da Matteo 25 nella nota pagina del “giudizio finale”. In sostanza questa pagina mi sembra un invito all’amore, una indicazione del bersaglio, una esortazione a verificare in quale direzione stiamo camminando. Il Padre nostro e questa pagina per me rappresentano il compendio della vita cristiana e mi aprono gli occhi sulla realtà del peccato nella mia vita (cioè i miei peccati) mentre mi additano l’orizzonte e le mete concrete.
La pagina biblica che spesso mi aiuta a prendere atto della mia creaturalità è il passo della lettera ai Romani 7,14-25. Il testo esprime la lotta (versetto 22) che sento in me tra l’amore e l'egoismo, tra “vita” e “morte”’, tra “bene” e “male”. Per giunta faccio il male che non voglio è non faccio il bene che voglio. Dentro questa pagina mi ritrovo, ritrovo me come uomo scisso. In questa "constatazione antropologica” Paolo, con un linguaggio altamente drammatico ed incisivo, mi ricorda alcuni pensieri che l'antichità espresse con tonalità diverse: “Le passioni sono più forti delle decisioni della mia volontà: per i mortali questa è la causa dei più grandi mali” (Euripide, Medea); “Vedo le cose migliori e le approvo, ma seguo quelle peggiori” (Ovidio, Meramorfosi); “Egli non fa' ciò che desidera e fa ciò che non desidera” (Epitteto).
Nella mia piccola vita quotidiana sto imparando che sono in cammino e non mi resta che lasciarmi convertire dal caldo ed invitante soffio di Dio tenendo lo sguardo fisso su Gesù. La preghiera, la correzione reciproca, la testimonianza dei fratelli e delle sorelle, la lettura biblica mi sollecitano affinché io abbia il coraggio di accettare le mie fragilità e i miei peccati.
Nello stesso tempo il mio vivere “coram Deo”, al cospetto di Dio, è sempre di più una radicale fiducia nella Sua forza liberatrice. Non c’è cammino senza felicità. Oggi mi dà gioia sapere e credere che Dio mi accoglie incondizionatamente e continua ad invitarmi al cambiamento anche per essere più vivo e solidale nelle vie del mondo.
Il peccato è umanità, non ossessione
Franco Barbero, 1970