mercoledì 30 aprile 2025

Gesù e il Regno: il sogno che la Chiesa istituzionale ha tradito

José Carlos Enríquez Díaz

Gesù di Nazareth è vissuto con lo sguardo sempre rivolto al Padre. Tutta la sua vita, le sue parole e le sue azioni nascono da questa relazione intima, fiduciosa e filiale con Dio. Non è stato un semplice leader spirituale, né un semplice riformatore morale: è stato un uomo completamente radicato nel mistero del Padre, che chiamava «Abbà» con una vicinanza che ha sconcertato i suoi contemporanei. La sua visione era radicalmente inclusiva e profetica. Così - come diceva José María Castillo - «il cristiano riflette la sua radicale scelta di senso in Cristo in tutte le espressioni della sua vita, e tutto è permeato dalla fede, che è ciò che trasforma le cose, santificando le attività più profane e rendendole gradite a Dio quando sono vissute come Cristo e da Cristo. Essere cristiano significa essere vicario di Cristo nel mondo, sapendo che la storia della salvezza si compie nel mondo e nella storia secolare, e partendo da una fede che consacra a Dio tutte le realtà della vita».

Gesù di Nazareth non ha fondato una chiesa. Questa è un’affermazione che può sembrare provocatoria, ma è profondamente vera se analizziamo onestamente il messaggio originale del Galileo. Ciò che egli ha annunciato non è stata un’istituzione, né una gerarchia clericale, né una serie di riti o sacramenti amministrati esclusivamente da una classe separata del popolo. Gesù parlava del Regno di Dio, non di una chiesa umana; di comunione con il Padre e di fratellanza tra tutti, non di strutture dominanti. La sua visione era profondamente spirituale e trascendente, con il Padre come riferimento costante e, allo stesso tempo, radicalmente impegnata verso i poveri, i piccoli, gli esclusi. A partire da questa unione con Dio, egli invocava la costruzione di una nuova umanità, non di un sistema di potere religioso.

Tuttavia, a partire dal II secolo e soprattutto con l’impulso imperiale di Costantino nel IV secolo, la figura di Gesù è stata addomesticata, istituzionalizzata, trasformata nell’icona di un potere da lui mai cercato. Ciò che allora è nato è una chiesa gerarchica e verticale, strutturata secondo modelli imperiali e sempre più lontana dal messaggio sovversivo del suo fondatore.

La centralizzazione del potere nelle mani di un’élite clericale ha gradualmente soppiantato i laici, cioè il popolo. In origine le comunità cristiane erano piccole reti fraterne in cui tutti condividevano, tutti parlavano, tutti decidevano. Ma con il passare dei secoli il clero si è appropriato del linguaggio religioso, dei simboli e dell’interpretazione dei testi sacri, fino a trasformare l’esperienza cristiana in qualcosa che si viveva solo «dall’alto», mediato da uomini – quasi sempre uomini – investiti di potere sacro. La distanza tra il messaggio di Gesù e la chiesa edificata nel suo nome è divenuta abissale.

Gesù non è morto per «pagare» i nostri peccati come se il suo sangue fosse una transazione necessaria per placare l’ira di Dio. Si tratta di una lettura teologica elaborata secoli dopo, che ha poco a che vedere con il contesto in cui è vissuto. Gesù è morto come muoiono i profeti: per aver detto la verità, per aver denunciato l’ipocrisia dei potenti, per aver annunciato un mondo diverso. È stato messo a morte dall’Impero romano con il sostegno delle élite religiose, proprio perché la sua proposta sfidava l’intero sistema: politico, economico e anche religioso.

Ciò che lui incarnava era un modo diverso di vivere la spiritualità. Gesù non è stato un sacerdote e non ha parlato di sacerdozi istituzionali. Egli non ha istituito i sacramenti come rituali di esclusione o di controllo spirituale. Ha toccato gli impuri, mangiato con i peccatori, benedetto fuori dal tempio, guarito di sabato. Egli infrangeva costantemente i confini del sacro così come erano intesi dalle autorità religiose del suo tempo. Se tornasse oggi, probabilmente rimarrebbe scioccato – come allora – dalle vesti, dai titoli, dalla distanza tra i ministri e il popolo, dalla burocrazia religiosa che crea ostacoli invece di aprire strade.

La storia della Chiesa è stata anche una storia di appropriazione. Ciò che era iniziato come un movimento comunitario, popolare, profondamente egualitario, è finito per trasformarsi in una struttura piramidale in cui la parola del clero si è imposta sull’esperienza della gente. Il Vangelo ha smesso di essere una notizia viva e ha iniziato a essere recitato come dogma. Le parabole sono state congelate in catechismi. I pasti condivisi si sono trasformati in messe prive ​​di reale partecipazione.

Gesù non ha mai messo a tacere nessuno. La chiesa sì. Nel corso dei secoli molte voci sono state messe a tacere: donne, teologi critici, comunità dissidenti, persone di altre culture, identità e modi di amare. E questo silenzio è stato giustificato con argomenti di «unità», «purezza dottrinale» e «tradizione». Ma in fondo è stata paura di perdere il controllo. Controllo sul pensiero, sui corpi, sull’interpretazione unica del divino.

Non era forse Gesù a dire che lo Spirito soffia dove vuole? Perché allora così tante strutture hanno cercato di imprigionare questo Spirito in norme, codici e gerarchie? Il Galileo parlava liberamente, insegnava sulle strade e sulle spiagge, conversava con le donne samaritane e guariva al di fuori dei riti consentiti. Era un mistico in contatto con la vita, non con le regole.

La Chiesa, così come la conosciamo oggi, ha sviluppato catene che sono diventate troppo pesanti. Catene di potere patriarcale, di istituzioni chiuse, di clericalismo radicato, di liturgie prive di significato vitale. Molte di queste catene non hanno radici bibliche o spirituali: sono costruzioni storiche, frutto di secoli di adattamento al potere, di patti con imperatori, re e dittatori. E la cosa più preoccupante è che, nella sua brama di sopravvivere, la Chiesa ha dimenticato la sua missione profetica e ha perso la sua credibilità.

In definitiva, non è una questione di fede, ma di strutture. Perché la fede continua a vivere in molte persone che hanno lasciato la Chiesa istituzionale ma continuano a cercare Dio, continuano a lottare per il Regno e continuano a credere nel potere trasformante dell’amore. Sono loro la vera comunità dei credenti, anche se non compaiono nei registri parrocchiali né si inginocchiano davanti agli altari.

Oggigiorno, al di fuori delle mura ecclesiastiche, fioriscono numerose comunità cristiane alternative. Sono spazi dove il Vangelo viene letto con occhi nuovi, dove la vita viene celebrata senza esclusioni, dove la dignità di tutti e tutte viene riconosciuta. Queste esperienze non richiedono vescovi, palazzi episcopali o canoni millenari. Ciò di cui hanno bisogno è verità, coerenza, spiritualità incarnata. Gesù sarebbe molto più vicino a queste esperienze che alle grandi cerimonie prive di contenuto.

Il ruolo della donna, ad esempio, è stato sistematicamente relegato per secoli. Come si può giustificare tutto questo alla luce di un Gesù che così spesso ha rotto con l’esclusione femminile del suo tempo? Maria Maddalena è stata una discepola attenta, non una peccatrice redenta come la si è voluta dipingere. Le donne sono state ai piedi della croce quando i discepoli fuggivano. Eppure, ancora oggi molte Chiese negano alle donne il pieno accesso al ministero, alla parola, al processo decisionale. È questa la Chiesa immaginata da Gesù? Chiaramente no.

Né può essere ignorata l’esclusione sistematica delle persone in base al loro orientamento sessuale o alla loro identità di genere. In nome di una male intesa morale, tanti fratelli e sorelle che cercavano semplicemente amore, accompagnamento e significato sono stati feriti. Dove sono la compassione evangelica, l’accettazione e il rispetto per la dignità umana? Gesù non ha mai posto condizioni per amare, né ha chiesto spiegazioni per accogliere. La Chiesa, sì.

Il clericalismo, come forma di potere concentrata in una minoranza investita di autorità sacralizzata, è uno dei maggiori ostacoli alla rinascita del messaggio di Gesù. Lui ha lavato i piedi ai suoi discepoli, un gesto radicale di servizio. Ma oggi in troppi casi i ministri si aspettano di essere serviti, obbediti e perfino venerati. Il simbolo è stato invertito. Ciò che doveva essere dedizione è diventato uno status.

Eppure c’è speranza. La crisi della Chiesa istituzionale può essere terreno fertile affinché germoglino nuove forme di comunità cristiane. Una Chiesa più sinodale, aperta e plurale, dove la voce di ogni persona abbia valore. Dove la spiritualità sia via, non dottrina imposta. Dove il Vangelo ritrovi la sua forza poetica, il suo grido politico, il suo abbraccio umano.

Gesù non sognava basiliche o concili, ma una fratellanza universale. Non pensava al Vaticano, ma a una tavola condivisa dove nessuno sarebbe rimasto escluso. Il suo sguardo era rivolto al Regno, non al potere. Chi oggi vuole seguirlo deve quindi guardare oltre i paramenti liturgici e i titoli ecclesiastici. Deve cercare nella periferia, nei margini, nel grido di coloro che non hanno voce.

Forse il grande tradimento non è stato aver costruito una Chiesa, ma aver dimenticato che il Vangelo non si adatta a nessuna struttura fissa. Che la vera fede si vive nella donazione quotidiana, nell’amore concreto, nella lotta per la giustizia. E questa fede non ha bisogno di mediatori, né di palazzi, né di discorsi magniloquenti. C’è bisogno solo di persone che, come Gesù, camminino liberamente, parlino coraggiosamente e amino incondizionatamente.

Articolo pubblicato il 9 aprile 2025 nel sito «Ataque al poder» (www.ataquealpoder.es).
Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli