Guardando avanti
Da troppo tempo puri spettatori
Sia chiaro. Credo sia un errore esagerare nelle attese e nelle responsabilizzazioni affidate in esclusiva alla figura del vescovo di Roma, chiunque ricopra questo compito; è pericoloso farsi contagiare dall'ansia da prestazione che caratterizza il nostro tempo affollato di passioni tristi, nel quadro di quel bisogno di gratificazione istantanea di cui ha parlato, fra i primi, Zygmunt Bauman. Personalmente, anzi, ritengo, inoltre, che non poche corresponsabilità della profonda crisi istituzionale in cui si sta dibattendo da tempo la chiesa cattolica siano da condividersi all'interno della chiesa stessa, a partire da noi cristiani feriali e da noi teologi, spesso autoridotti a essere pura eco del magistero di turno... Da troppo tempo ci siamo assopiti, per dir così, siamo rimasti troppo spesso puri spettatori silenziosi del naufragio in corso, coltivando semmai le arti perverse della maldicenza e del mugugno; e non abbiamo avuto coraggio di parlare con parresia (spesso, abbiamo agito di conseguenza e ci siamo occupati dei problemi meno spinosi, senza affrontare, ad esempio, la questione cruciale dell'odierno pluralismo religioso, letteralmente silenziata nel dibattito pubblico infra-ecclesiale). Con eccezioni, benemerite, ma isolate e non di rado eroiche, evidentemente. Ciò detto, è sicuramente lecito, anzi, doveroso, sperare che, grazie soprattutto alla caratura evangelica e alla buona volontà dell'attuale papa, si stia mettendo in moto qualcosa di nuovo, e che stia in effetti crescendo la consapevolezza dell'enormità della posta in gioco: ma ci sarà bisogno di tempo, di pazienza, di educarci al dialogo all'interno e all'esterno, e di una gran dose di coraggio da parte di tutti gli attori coinvolti. Certo, è impossibile sottovalutare gli effetti purtroppo consolidati della drammatica mondanizzazione degli stili ecclesiastici: con esiti disastrosi in termini di mancata testimonianza evangelica, fra l'altro, soprattutto verso quella che don Armando Matteo ha definito la prima generazione incredula... i giovani attuali, i primi a crescere dopo l'esaurimento del regime di cristianità e nel contesto di un irreversibile pluralismo culturale e religioso, che sono giustamente i più sensibili alla coerenza fra il dire e il fare! (Brunetto Salvarani, "Rocca"07/2017).
Una strada difficile ma felice e feconda
C'è una marginalità nella chiesa che è conseguenza di una marginalizzazione, cioè di un atto gerarchico che pone il soggetto ai margini dell'istituzione, nel tentativo di isolarlo.
Le gerarchie non sopportano chi dissente su punti, specialmente dottrinali, che essa ritiene irrinunciabili. Chi è progressivamente marginalizzato, si trova a fare i conti con tante domande e possibilità: ritrattare, rientrare nei ranghi dell'obbedienza e della carriera, sbattere la porta oppure andarsene in silenzio con il dolore del sopruso subito, cambiare pagina e abbandonare la stessa esperienza di fede oppure accontentarsi di un posticino di lavoro "misericordiosamente" concesso dall'istituzione?
Ritengo che ci sia un'altra possibilità che io personalmente ho esplorato e percorso.
Si tratta di fare della nuova situazione una condizione di rinascita umana, spirituale e culturale.
Il primo passo, suggerito e sorretto dal senso di dignità e dalla frequentazione delle Scritture, può consistere nell'evitare la trappola della rabbia. Essa infatti ritornerebbe solo a proprio danno e darebbe spazio ulteriore all'operazione repressiva del potere gerarchico conferendogli una parvenza di legittimità.
Solo un grande radicamento nella preghiera, congiunto alla saggezza della vita può aiutarci a non perdere l'equilibrio e la serenità personale. Si tratta di uno dei momenti più faticosi (come vivere, mangiare e pagare l'affitto?...), ma anche più rigeneranti e fecondi.
Il Dio delle sorprese può regalare, come è successo a me, la vicinanza di amici veri, autentici "angeli" di Dio in carne ed ossa.
Chi si trova nella chiesa e sceglie di restarvi, sia pure in condizione di marginalizzato, sospeso o sconfessato, entra nel numero dei marginali: quelli e quelle che Gesù, immergendosi ed immedesintandosi in essi, ha scelto.
Allora, marginale tra i marginali, attraversando la valle profonda di un inevitabile smarrimento, scopre che in lui si sta formando un nuovo sguardo sulla realtà ecclesiale e laica e si sta aprendo un nuovo orizzonte teologico.
Il mondo dei marginali, di quelli che conoscono la fatica di vivere, di pagare le bollette, di abitare una casa non concessa dalla curia, si rivela pieno di contraddizioni e altrettanto ricco di "miracoli" e di profezia.
Il marginalizzato scopre un sacco di "cattive compagnie" con le quali entra in una crescente sintonia: separati divorziati/e, omosessuali, transessuali, preti sposati, prostitute, tossicodipendenti ed emarginati vari...
La loro compagnia fa emergere una nuova percezione della presenza di Dio nella storia e nel tessuto quotidiano. Questa marginalità ecclesiale apre a nuove solidarietà e fa nascere una comprensione del messaggio biblico veramente liberante.
Lì, in queste periferie che l'ortodossia gerarchica condanna, si incontrano i nuovi profeti....quelli che non sanno nemmeno di esserlo.
Dopo anni il prete, il teologo marginalizzato quasi quasi ringrazia Dio per quell'abuso subito dal potere ecclesiastico; o meglio ringrazia Dio di averlo accompagnato in un difficile ma liberante cammino di immersione nella marginalità, assunta consapevolmente come nuovo spazio di fede, di lotta, di conversione e di-ministero.
Nessun risentimento verso chi lo ha condannato; nessuna voglia di perdersi nell'anti-istituzione.
Nella preghiera assidua, nel rigore dello studio e nella gratitudine per i nuovi compagni di viaggio, esperimenta la gioia di un cammino da inventare ogni giorno. Con spirito critico e soprattutto costruttivo, impara ad ascoltare a lasciarsi accompagnare e a fare compagnia ai tanti cercatori di senso, di giustizia, di solidarietà e di Dio, che le gerarchie hanno bollato con il timbro dell'esclusione.
Per lui o per lei è “saltato” l'aut-aut del fuori e dentro la chiesa. Si sente totalmente chiesa in questa difficile appartenenza collocata sulla soglia. Non ha per nulla abbandonato il sogno e l'impegno per una chiesa "altra" e per un mondo "altro".
Sempre di più la vita fa centro sulla fiducia in Dio e sul vivere la quotidiana esperienza degli ultimi e ultime, lasciando tutto nelle mani di Dio, nella responsabilità personale e nell'impegno comunitario.
don Franco Barbero
(Da uno scritto del 1981 in dialogo con alcuni sacerdoti in difficoltà con l'istituzione ecclesiastica).