sabato 3 maggio 2025

 Il coraggio della ricerca libera


Ortensio da Spinetoli insegna ancora

 

ROMA-ADISTA. La credibilità di ricerca esegetica di Ortensio da Spinetoli si percepiva anche nel suo stesso parlare, come ha ricordato Augusto Cavadi nella sua relazione al convegno “Ortensio da Spinetoli: Fede e provvisorietà delle teologie” organizzato dall’associazione “Amici di Ortensio” in collaborazione con la Comunità Cristiana di S. Paolo Fuori le Mura a Roma, il 26 marzo scorso, presso la Basilica dei Ss. Apostoli a Roma (v. Adista Notizie n. 13/25). Ortensio, ha detto anche nel suo intervento Ricando Pérez Màrquez, teologo, fondatore e animatore - insieme ad Alberto Maggi - del Centro studi biblici “G. Vannucci” di Montefano, «non imponeva alcuna sua convinzione, aggiungendo sempre, nel suo dibattere, una postilla ricorrente: “può essere”». Un modo per significare che nessuna affermazione poteva avere valore assoluto, che la “verità”, posto che ne esista una tutta intera, si costruisce attraverso la paziente ricerca, in un cammino lento e segnato dalla provvisorietà. A questa attitudine al rigore e al relativismo Ortensio aggiungeva la capacità di esprimersi in modo semplice e autorevole perché sempre aderente al testo biblico analizzato nel suo tempo e nel suo contesto. Era così capace di scardinare con mitezza le certezze di chi pensava di possedere la verità e di farla coincidere con la dottrina. Perché ogni parola in ogni ricerca  non può mai essere né l’ultima, né la definitiva. Di questo “profeta” nella testimonianza intellettuale e in quella di vita, pubblichiamo di seguito uno stralcio della relazione svolta al convegno da Cavadi, filosofo e promotore della Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone” di Palermo. (valerio gigante)

 

UN BIBLISTA CHE SEPPE PARLARE LAICAMENTE AI LAICI

Augusto Cavadi

Un divorzio consensuale da un secolo e mezzo

È da almeno un secolo e mezzo, dal 1870, che in Italia la ricerca biblica e, più in generale, la riflessione teologica si svolgono in un ambito nettamente separato dalla cultura laica. Infatti, con l’unificazione d’Italia, Chiesa e Stato hanno stabilito un patto: la teologia si studia solo nelle università pontificie, non anche nelle università statali. A prima vista l’accordo è stato conveniente a entrambi i contraenti: lo Stato liberal-borghese ha risparmiato soldi per l'insegnamento di discipline “inutili” e la  Chiesa si è riservata il monopolio della formazione nel settore. Ma nel lungo periodo questo patto si è rivelato disastroso per entrambi: i ceti istruiti - laureati in scienze naturali è perfino in discipline umanistiche - non possono scegliere neppure facoltativamente una materia teologica e, di conseguenza, restano per tutta la vita con una conoscenza del cristianesimo pari alla preparazione di ragazzini alla fine del corso di catechismo (con ciò che questa lacuna possa significare per un archeologo o per un insegnante di filosofia o di biologia); il clero e i pochi laici/le poche laiche che studiano teologia lo fanno in un ambiente protetto, al riparo dalle critiche - ma per ciò stesso dagli stimoli salutari - provenienti dal contatto con i cultori delle altre discipline universitarie. Insomma: al rischio, da parte dei laici istruiti, di ignorare una delle molte radici dell’Occidente contemporaneo si contrappone il rischio, da parte dei fedeli teologicamente formati, di confezionare risposte a domande che la società non si pone lasciando inevase le domande che invece si pone. È rimasta famigerata la relazione - tenuta a Palermo, negli anni Settanta, a un'assemblea diocesana da uno dei docenti di punta della locale Facoltà teologica (per grazia divina tuttora vivo e attivo) - sulla “pericoresi intratrinitaria" (più familiarmente detta “circuminsessione delle Tre persone divine”) per illustrare in maniera piana e intuitiva alle persone (umane) presenti - tra cui giovani seminaristi, religiose e volenterose laiche impegnate in parrocchia come catechiste - un modello di convivenza all'interno della Chiesa.