giovedì 22 maggio 2025

Serata romana 2003

Piccoli tratti della relazione di Franco Barbero

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RACCONTIAMOCI STORIE D'AMORE

(Dalla registrazione dell'incontro del 19 marzo 2003 con il gruppo di gay e lesbiche credenti “Nuova Proposta” di Roma)

 

Vi voglio tanto bene: questo è il primo messaggio che la mia comunità vuole trasmettere a voi, come amici, amiche, fratelli, sorelle. Ho proprio sentito in questi giorni, dentro l'abbraccio della mia comunità, l’abbraccio di tutte e tutti voi. È proprio bello volersi bene, lo sperimentiamo in tanti momenti della vita e credo che non dobbiamo mai stancarci di benedire Dio per la realtà dell'amore, che si intreccia tra di noi in tante vicende, in tante, infinite storie del mondo. Ma io vorrei stasera, mettere accanto alla vostra ricerca, il tentativo che ho fatto - aiutato e accompagnato sempre dalla mia comunità - nella direzione di questa esperienza: come celebrare l'amore, l’amore omosessuale in particolare. Ma prima di tutto, vorrei chiedere: ha senso parlare di storie d’amore in giorni di guerra? Perché noi non parliamo in un terreno ideale o in un tempo staccato dalla realtà. La nostra fede è sempre dentro un contesto, e in questi giorni sappiamo che il nostro cuore è là, diviso fra guerra e pace, come le nostre preghiere e le nostre lacrime. Ma proprio in questi giorni la mia comunità ha pubblicato un quadernetto: “Prima di tutto amare”, in cui narrando la loro storia, Elena e Alberto, i due protagonisti, si sono domandati con me, “ma in settimane di guerra - perché di fatto guerra è nell’aria - ha senso parlare d'amore"? E abbiamo rubato un pensiero a Clarissa Pinkola Estés nel libro "L'incanto di una storia”; questa credente che è psicoterapeuta dice che «proprio quando infuria la monotonia o la guerra, bisogna riscaldare i cuori e mettersi in cerchio a raccontarsi storie d’amore, e tutti si sentiranno riscaldati, sostenuti dal cerchio di storie che insieme creerete»; e l’autrice in poche pagine, sussurra, poi grida: «voi tristi, voi brontoloni, voi piagnucoloni, voi tutti, mettetevi a narrare storie d’amore, perché è così, che cambia il mondo». Ebbene, io vorrei prendere da quest’autrice questo avvio: sì, tempo di guerra, ma è sempre tempo d’amore, un amore da raccontare, un amore da vivere, un amore da condividere.

E dire perché nella storia della mia comunità, nella storia di tanti credenti gay e di tante credenti lesbiche è maturata questa esigenza di celebrare un amore. Siamo partiti e partite dalla prassi inclusiva di Gesù, Gesù che non ha escluso mai. Abbiamo cercato di fare nostra la prassi del Regno di Dio per cui, dove le strutture ufficiali mettevano ai margini, Gesù ha sempre dilatato gli spazi, ha accolto, non ha creato il recinto dei buoni, dei santi e dei puri; ha accolto, incondizionatamente. Ebbene, questa prassi inclusiva di Gesù sta al centro del nostro cammino di fede. Le comunità cristiane di base, ma molti credenti nel mondo, pensate alla vicenda delle comunità dell’America Latina e a quanti infiniti gruppi, quanti preti, pastori, quanti movimenti, quanti vescovi, quante persone nella strada di Gesù, hanno fatta propria questa prassi: includere, anziché escludere. Questa è stata una direzione che ha cercato di tradurre nel tempo il cammino storico del Nazareno. E non sapete quanto spazio occupa nella nostra ricerca e nella nostra fede, nelle comunità ecumenicamente aperte, questo fare in modo che in una società dell’esclusione, la chiesa diventi spazio dell’accoglienza. Ma c'è un altro elemento che mi sembra interessante: la prassi dell'oggi è il Regno della gioia di Dio che è in mezzo a noi. Mi è piaciuto molto in questi giorni, sia il volume II del teologo Meier - non so se avete  presente questi tre volumi di cui due sono gia comparsi in Italia "Un ebreo marginale” - e poi il volume di Drewermann "La fede inversa”. Meier esplicita in modo meraviglioso in queste pagine che, mentre il Battista aveva il senso dell’immninenza che quasi paralizzava la sua gioia del Regno, Gesù sa che il Regno è imminente - questa è l’ottica in cui vive il Nazareno - ma nello stesso tempo dice: «finché c'è un oggi, è l'oggi del Regno. Oggi è il Regno, in mezzo a voi, dentro di voi, tra di voi». E quindi Gesù in questo senso, prende tutte le gocce dell'amore, delle possibilità che il presente offre, sa che Dio è all'azione, perché nel nostro presente si viva il Regno. Drewermann traduce questo dicendo: «io ho atteso tanto, mi hanno detto e avevo pensato e sognato che tante strutture della chiesa cambiassero, e non è stato. E non ho spostato a domani ciò che è possibile oggi». Mi pare bello, questo. Bisogna vivere l'oggi come dono di Dio. Se aspettiamo che certe porte ecclesiastiche si aprano, chi sogna l’amore oggi, chi lo vive oggi, può andare in pensione o magari nel Regno definitivo di Dio, e questie porte restano bloccate. Vivere l'oggi, vivere dove Dio si manifesta. Nella mia povera storia di cristiano e di prete, sorretto nel cammino da una comunità, mi è sempre sembrato essenziale cercare, con molta partecipazione del  cuore, dove sono i segni di Dio.

Questo Dio mobile, questo Dio che non puoi mettere in un territorio, questo Dio che va dove la Sua sovrana libertà lo conduce. Ebbene, mi è sembrato di fare questo, insieme a tante comunità, tante ricerche: cantare l'amore dovunque lo scopriamo. Questo concetto mi ha scatenato, mi ha liberato. Non ho ritenuto che le perimetrazioni ecclesiastiche potessero impedire il canto, non ho pensatio che ci volesse una benedizone ecclesiastica per riconoscere un dono di Dio.