I genocidi sui valdesi
di Piercarlo Pazè
Mentre giuristi e
giornalisti disputano se gli stermini ordinati dal governo di Benjamin
Netanyahu nella striscia di Gaza e nei territori occupati della Palestina
integrino un genocidio, o "semplicemente" (si fa per dire) siano
crimini di guerra o addirittura svolgimenti del diritto di un popolo eletto a
riavere la terra di Sion promessagli da Dio, è opportuno ricordare che le
intenzioni genocidarie di sopprimere o espellere un gruppo etnico, razziale o
religioso indicato come nemico hanno una storia lunga che va più addietro
rispetto all'attuale tragedia palestinese e agli olocausti nazifascisti di
ebrei e zingari del secolo scorso.
Per secoli anche i
valdesi delle nostre valli ne sono stati destinatari passivi. Nel 1487 un papa
indiceva una crociata invitando a impegnare ogni sforzo e qualsiasi mezzo per
un loro sterminio e disfacimento definiti tanto santi quanto indispensabili, anche
se poi l'impresa affidata a un commissario apostolico esitò in un sostanziale
insuccesso. Nettamente genocidario nel 1686 era il programma politico del duca
Vittorio Amedeo II di cacciare i valdesi dalle valli piemontesi e sostituirli
con contadini cattolici fatti arrivare dalla Savoia, che poi fallì con il
ristabilimento nel 1690 dei sopravvissuti nelle loro terre a seguito del
ritorno guidato dal pastore Enrico Arnaud.
Nella nozione
giuridica di un genocidio, questa volta perfettamente riuscito, rientra
l'espulsione dalla val Chisone a partire dal 1708 di tutti i valdesi disposta
dallo stesso Vittorio Amedeo II e proseguita da suo figlio Carlo Emanuele III.
Essa non fu attuata con guerre ma con la combinazione di strumenti estremamente
"moderni" ed efficaci: arresti, detenzioni e processi penali
arbitrari, violenze morali e pressioni economiche, divieto di ogni forma di
culto pubblico e privato, proibizione delle scuole confessionali. Nel 1730 gli
ultimi valdesi del Pragelatese dovevano così lasciare per sempre la loro
terra.
da “L'Eco delle Valli Valdesi” del giugno 2025