mercoledì 25 giugno 2025

 

In memoria di un profeta e maestro

 

LA FERITA E IL CANTO

 Hans Kung: il leone libero

 Marco Campedelli

 

 

A Serio De Guidi, teologo e poeta

La sua faccia squadrata e sincera, i suoi occhi intelligenti e ironici, la sua capigliatura folta e crespa che sembrava la criniera di un leone. «Leone religioso»1, aveva scritto Alda Merini di David Maria Turoldo. Non so se si potesse dire così anche di Kung. Certo è stato un uomo libero, appassionato, dalla mente vasta. Un uomo lucido, coerente, intellettualmente coraggioso. La torre di Tubinga dove il nostro teologo ha insegnato e vissuto possiede un misto di fascino e di inquietudine. Lì era stato rinchiuso il poeta Hölderlin. Chissà se qualcuno avesse immaginato prima o poi di rinchiudere anche Kung nella torre di Tubinga. Quello che sappiamo è che fino alla fine la sua teologia è stata sinonimo di libertà.

L'opera di Kung è stata vastissima e i suoi scritti robusti sono stati architravi di una teologia in movimento e sovvertimento. Nella sua autobiografia, Kung mette in rilevo il filo rosso che ha intessuto la sua vita: la libertà. Libertà di coscienza, di parola, di azione.

Kung racconta di una battuta di un collega di studi ebraici a Tubinga: «So che c'è la Chiesa, so che c'è la libertà; ma non sapevo che ci fossero la libertà e la Chiesa insieme!». Quando presentavano il nostro teologo svizzero come “contestatore” egli si corrucciava in viso. Non si sentiva contestatore, ma semplicemente fedele alla parola originaria del Vangelo.

La libertà di coscienza. Questa era la prima delle libertà. Una liberià che vale anche nei confronti del dogma, diceva. Che non dovrebbe mai essere accolto se fosse contro la coscienza. Questo costò a Kung un prezzo molto caro. Infatti nel suo libro sulla “infallibilità” mise in discussione il fondamento di questo dogma proclamato da Pio IX, l’ultimo papa-re.

Questa sua posizione sarà sanzionata da parte del Vaticano con la revoca della missio docendi, cioè l’autorizzazione all’insegnamento in una Facoltà caltolica. Anzi, da allora Kung non avrebbe più potuto definirsi “teologo cattolico”.

Insieme alla libertà di coscienza, per Kung c'era la libertà di parola, cioè l’assunzione di responsabilità rispetto al proprio pensiero. Ma anche alla Parola del Vangelo.

Libertà di coscienza e di parola che culminava infine nella libertà di azione, e quindi libertà nella teologia. Coscienza, parola, azione hanno una sequenza logica, una coerenza interna. Ma non era scontato per nulla che una teologia passasse dalla coscienza, alla presa di parola fino all'azione. Scrive Kung: «Un solo Dio, un solo Sigrore, un solo Evangelo, una sola fede. Ma: diverse teologie, diversi sistemi, diversi stili di pensiero, strumenti concettuali, terminologie, diversi orientamenti, scuole, università, diversi teologi...». Per Kung il teologo non è l'illustratore del magistero della Chiesa. È uno che pensa, che apre orizzonti, che elabora percorsi inediti.

«La libertà nella Chiesa non è teoria, la libertà nella Chiesa è realtà, è necessità» scrive Kung, e rivolge un appello che oggi arriva anche a noi: «Quanta libertà sia reale nella Chiesa dipende da te, da me, da noi tutti».

Kung proprio quando non era più ufficialmente “teologo cattolico”, come ha scritto Vito Mancuso, è diventato davvero “cattolico” nell’accezione greca di “universale. Ma chi erano i destinatari della sua teologia?

Lo possiamo desumere da uno dei su libri più noti, Essere cristiani, del 1974. Scrive in apertura:

Per chi non crede e tuttavia ricerca seriamente.

Per chi ha creduto e oggi, senza fede, è insoddisfatto.

Per chi crede, ma si sente incerto nella sua fede.

Per chi oscilla tra fede e incredulità.

Per chi dubita delle sue convinzioni, ma anche dei suoi dubbi.

E quindi... per i cristiani e atei, gnostici e agnostici, pietisti e positivisti, cattolici tiepidi e ferventi, protestanti e ortodossi....

In questo, Kung diventa il teologo che accompagna tutti e tutte coloro che si fanno domande di senso, coloro che hanno il coraggio di esprimere il loro pensiero e anche il loro dissenso. Ma soprattutto il teologo che si apre al dialogo, al confronto, alla ricerca della verità sul pavimento dissestato della storia. Kung ha sempre pensato di servire il Vangelo e la Chiesa che di questo Vangelo si mette in ascolto. Non ha accettato facili  compromessi.

Racconta di uno speciale incontro con Paolo VI pochi giorni prima della chiusura del Concilio Vaticano II di cui il nostro teologo svizzero era stato il più giovane dei così detti “periti” (esperti-teologi). Il 2 dicembre 1965 (il Concilio si concluderà l'8 dicembre) viene ricevuto in udienza privata da papa Montini: «Quanto bene potrebbe fare se mettesse i suoi grandi doni al servizio della Chiesa», gli dice il papa. Il nostro teologo, un po' sorpreso ma con un filo di umorismo, risponde: «Santità, io sono già al servizio della Chiesa».

Quale eredità ci ha lasciato Kung? Quale strada ci ha indicato?

Lui stesso lo scrive in Teologia in cammino. Un'autobiografia spirituale, libro uscito e tradotto anche in italiano nel 1987. Indica quattro punti come i “quattro punti cardinali” per una teologia possibile e desiderabile:

1. «Una teologia verace (e non conformistica, opportunistica): un rendiconto pensoso della fede, che cerca e dice con veracità la verità cristiana». Afferma Kung: «Non si dà Chiesa verace senza teologia verace».

2. «Una teologia libera (non autoritaria): una teologia che può assolvere al proprio compito senza l'ostacolo di misure è sanzioni amministrative e può esprimere e pubblicare i propri fondati convincimenti secondo la migliore scienza e coscienza».

Kung è stato il primo a subire come teologo, a pochi mesi dall'inizio del pontificato del papa polacco, l’azione repressiva che avrebbe poi contraddistinto tutto il tempo di Wojtyla (dichiarazione circa alcuni punti della dottrina teologica del professore Hans Kung emessa dall'ex Sant'Uffizio il 15 Dicembre 1979). Scrive Kung: «Non si dà Chiesa libera senza una teologia libera».

3. «Una teologia critica (non tradizionalistica): una teologia anche libera e verace si sente tenuta all’ethos della verità scientifica, alla disciplina metodologica e al  controllo critico di tutte le sue impostazioni, metodi, risultati».

Una teologia critica non rinuncia ad essere una teologia adulta e non si genuflette davanti al solo principio di autorità.

Scrive: «Non si dà una Chiesa critica in questa società senza una teologia critica».

4. «Una teologia ecumenica (non confessionalistica): una teologia che in ogni altra teologia non vede più l’avversario ma l’interlocutore».

Kung afferma convintamente: «Non si dà Chiesa ecumenica senza teologia ecumenica».

Questi quattro punti possono continuare oggi a costituire un cammino per una teologia che abbia a cuore il mondo e aiuti tutti noi a prendercene cura, sviluppando quell’”etica mondiale” per cui Kung impegnò il suo pensiero e la sua stessa vita.

L'eredità di Kung rimane con la sua lucida provocazione per ripensare una “teologia pubblica” a servizio delle donne e degli uomini del mondo. Quando muore  un profeta si diventa tutti, tutte, in diverso modo, responsabili del suo sogno.

Quello di Kung è stato il sogno di un teologo appassionato e coerente, con un grande senso dell'umorismo, che l'ha salvato dalla tristezza e dalla depressione nei tempi difficili. Ha scritto, in Biografia e teologia. Itinerari di teologi, «comunque: la vita e la teologia, ora come prima mi hanno sempre divertito; spero che continui ad essere così per molto tempo». Così ha vissuto fino al 6 aprile 2021, giorno della sua morte. Ma se restiamo svegli e appassionati ci raggiunge ancora il suo ruggito di leone, che si chiama “libertà”.

Marco Campedelli