QUANDO I FRATELLI SE NE VANNO – 6
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Oltre il suffragio
di Franco Barbero
PRIMA PARTE
L’intreccio tra esistenza, fede e teologia
La morte di Linda e Renato non ci è passata accanto come una delle tante vicende della comunità. Si è trattato di un evento che ha rappresentato per tutti noi una sfida oggi difficilmente traducibile nel linguaggio delle parole.
Ho partecipato con la comunità di Mirafiori Nord allo sconcerto e alla preghiera per il fatto che, come insieme eravamo legati a Linda e Renato, così insieme eravamo sfidati dalla loro morte. Le due predicazioni che ho svolto durante le celebrazioni liturgiche sono state create insieme alla comunità e riflettono il nucleo delle nostre riflessioni di quei giorni. All’inizio di queste brevi pagine non posso nascondere un fatto che mi ha profondamente coinvolto: se con Linda i legami erano antichi e vivi, con Renato quasi da un decennio vivevo un rapporto di fraternità particolarmente intenso. La sua passione biblica e il suo zelo comunitario mi commuovevano fino alle lacrime.Vedevo che la sua mente ed il suo cuore si stavano scaldando. In lui lo studio biblico si traduceva in servizio alla comunità e la riflessione teologica sfociava nella preghiera.
Mi sembrava che Dio lo stesse preparando in vista di un servizio biblico e teologico a tante comunità.
Questa mia riflessione teologica va letta come un tutt’uno con la testimonianza delle due celebrazioni liturgiche e il “racconto” dell’esperienza della comunità di base Mirafiori Nord, perché fa corpo con le prime due parti, anzi le presuppone. Qui non ho voluto precisare o sistematizzare la presa di posizione teologica delle comunità di base, ma descrivere un cammino di fede ed accennare ad un itinerario, anche teologico, ad esso collegato. Può darsi che, come a me sembra, le comunità cristiane di base italiane stiano superando la tradizionale dottrina del suffragio nella sua rigida accezione dogmatica, ma qui, come fratello che accompagna da lunghi anni la comunità di Mirafiori Nord, ho preferito al metodo ‘sistematico’ quello narrativo.
Ho tentato, con molta semplicità, di narrare alcune tappe di un cammino comunitario di fede, senza dimenticare le zone di ombra e senza occultare alcune svolte teologiche evidenti. La piccola mole del libro ha reso impossibile una bibliografia anche solo modesta.
Tra ribellione ed invocazione
Integrando il racconto della comunità di base, voglio ricordare un momento intenso e drammatico. Le sere del 4 luglio e del 27 luglio, appena sparsasi la voce della morte prima di Linda e poi di Renato, quella parte della comunità che non era in ferie, si trovò nella sede di via Dandolo. Si radunava una comunità, ma io avevo piuttosto l’impressione di donne e uomini sconvolti. Il dolore ha una forza spesso irresistibile. Solo le lacrime accomunavano tutti. L’essere comunità non cancellava affatto la soggettività che si esprimeva in atteggiamenti estremamente variegati. Ci eravamo radunati come fratelli e sorelle che credono nel Dio di Gesù, ma lo schianto era tale che il tentativo di ascoltare la Parola della vita in queste sere di morte durò a lungo. Volevamo insieme riflettere, pregare, preparare la liturgia, scegliere i passi biblici, individuare le linee centrali della predicazione. A qualcuno mancava ogni parola; ad altri sembrava che la migliore predicazione fosse il silenzio; per altri lo ‘schiaffo’ di Dio rendeva impossibile parlare del suo amore; altri ancora nelle parole bibliche sentivano il silenzio pesante di Dio. “Perché dovremmo parlare noi se Dio tace?”.
Altri tentavano di mettere insieme la sfida della morte ‘assurda’ con la “provocazione” di una promessa totalmente gratuita. Eravamo tutti lì, ma tanto in ordine sparso. Sminuire il dolore, eludere l’angoscia era impossibile e nessuno voleva cercare nella Parola di Dio facili consolazioni o evasioni.
Fu un dono di Dio il fatto che la comunità accettò la proposta e maturò la decisione di aprire anche quella sera le pagine del Nuovo Testamento nel tentativo di non chiudere il cuore sgomento a quel Dio che sembrava o assente o nascosto. Mettendo insieme i cocciì della nostra preghiera e fissando lo sguardo su quel Gesù che ha fatto i conti con una morte non meno sconcertante cercavamo di andare alle radici della nostra fede così come sapevamo. Cercare di vivere al cospetto di Dio questa nostra esperienza fu, comunque, un itinerario più che non un evento improvviso.
“Ora, o Dio di Gesù e nostro, riconosciamo che tu sei stato presente nei giorni dello scandalo. Tu hai sostenuto la nostra fede vacillante, la nostra incredulità; ci hai aiutati a credere senza vedere. Non ci risparmiasti l’angoscia, ma ci desti la possibilità di viverla davanti a te”.
Quella sera faticosamente emersero in noi due “annunci” che volevamo, a partire dalla Parola di Dio, ripresentare a noi stessi e a tutti coloro che avrebbero partecipato alla celebrazione liturgica nel giorno del seppellimento di Linda e Renato. Volevano dapprima guardare a Gesù di Nazareth che nel suo grido ha, in quale modo, messo insieme ribellione ed invocazione, disperazione e fiducia incondizionata in Dio.
In secondo luogo volevano tentare di non mettere tra parentesi la speranza che fu propria di Gesù e che fu assunta dalla comunità primitiva: Dio è più grande della morte. Egli ha vinto la morte risuscitando Gesù, dandogli una vita nuova. Volevamo non rinunciare a questa “speranza totalmente in evidente” che si fonda soltanto sulla Parola di Gesù. Un annuncio, anche questo, da accogliere senza prove, in totale gratuità. Sfidati dalla morte dei nostri amici e fratelli, tentavamo di lasciarci anche sfidare dall’evangelo, almeno di non rifiutare la sfida.
Dunque, le liturgie o le celebrazioni che avete trovato in questo volume vogliono rappresentare non il formulario di un funerale, ma la testimonianza di una comunità che ha cercato, con tutti i suoi limiti, di non attenuare per nulla la crudezza di un dolore insopportabile e di non tacere il paradossale annuncio dell’evangelo di Gesù. Se il modo con cui una comunità prega ha molte corrispondenze con il suo modo di credere (anzi lex orandi est lex credendi - “Il modo di pregare è il modo di credere”), allora queste due celebrazioni, che deliberatamente abbiamo inserito al centro del presente libro, possono esprimere il modo di intendere la fede della comunità che le ha create e celebrate. Alla comunità sembrò importante rispettare la qualità della fede di Linda e Renato, senza cedimenti di alcun genere. Renato, quando si accorse dell’incerto esito delle cure mediche, mi aveva parlato a chiare lettere del suo funerale incaricandomi di comunicare il suo desiderio a Roberta, alla comunità di base e ai genitori. Egli voleva che, nella eventualità della morte, fosse la comunità di base a presiedere con me questa celebrazione liturgica. Ci sembrò importante, in dialogo fraterno con le famiglie e completamente d’accordo con Marco e Roberta, prendere questo desiderio come un vero e proprio imperativo.
Anche nella scelta delle mediazioni liturgiche che si resero necessarie per fare i conti con la fede “diversa” di familiari e parenti, la comunità tentò, con fermezza e duttilità, di rispettare la volontà di Renato.
Ne risultò una celebrazione essenzializzata, incentrata sull’annuncio della Parola di Dio. Ci premeva lasciare che Dio ci facesse dono di quella speranza che non è deducibile dalle nostre indagini o ipotesi, ma poggia soltanto sul fondamento della fedeltà di Dio e della “verità” della sua Parola.
Saltano tante coordinate teologiche
A ben guardare, tutto l’itinerario di fede e l’espressione liturgica della comunità lasciano intravedere una riflessione teologica che supera completamente la teologia e la prassi del suffragio. Si noti un particolare di estrema rilevanza: non esiste il minimo accenno alla esigenza di pregare per la salvezza di Renato e Linda. Essa è affidata interamente a Dio. Semmai siamo noi che dobbiamo cercare, prendendo sul serio la testimonianza biblica, di fidarci della fedeltà di quel Dio che ha risuscitato Gesù dandogli una vita nuova e piena presso di sé. Tocca a noi lasciarci sfidare da questa parola e “affidarci” al punto di proclamare questa bella promessa di vita. Purgatorio, suffragio, indulgenze e simili sono parole senza senso in questo orizzonte teologico. Mi sembra che l’annuncio biblico ha lentamente relegato in periferia queste problematiche e poi le ha sostituite positivamente, a ragion veduta, senza lasciare strascichi polemici o vuoti teologici.
Ho detto: “a ragion veduta” perché la comunità di base aveva da tempo riflettuto biblicamente e storicamente sulla nascita della dottrina ecclesiastica del Purgatorio e sullo sviluppo della teoria e della pratica del suffragio (Si veda la nota 1). Per la comunità di base, se è vero che morti e viventi sono tutti in una “comunione di salvezza” perché, avvolti dal suo amore, sono insieme nelle mani di Dio, risulta inaccettabile voler estendere il potere della chiesa anche oltre la morte. Il sistema “Purgatorio - Suffragio - Indulgenze” costituisce una presunzione umana ed ecclesiastica che offende e offusca la gratuità dell’amore perdonante e purificante di Dio. Fidiamoci totalmente della “promessa” di Gesù e non costruiamoci nessun sistema ecclesiastico per garantirci un posto in paradiso. Il nostro essere con Dio per sempre riposa soltanto sull’amore gratuito del Padre: la comunità cristiana ha il compito di annunciare e testimoniare questa promessa, non di mettervi le mani sopra con indebite ed impossibili annessioni o di costruire dei sistemi di garanzia. Nessuno di noi ha pensato a “far dire delle messe” per Renato e Linda, secondo la tradizionale concezione del suffragio. Ricordo con quale sana indignazione Renato parlava dell’industria del suffragio e del mercato delle indulgenze quando in comunità o in dibattiti vari emergevano simili tematiche o quando si denunciavano certi abusi. Ma qui - fuori di ogni polemica - sta davanti ai nostri occhi un fatto che io ritengo altamente significativo: una prassi e una teologia umilmente e seriamente ancorate al dato biblico prescindono totalmente dal suffragio e da tutta quella costellazione paradogmatica e devozionale che popola il nostro universo religioso. Questo tono pacato e propositivo, completamente rispettoso delle prassi diverse, limpido senza essere sprezzante, potrebbe diventare una proposta “purificatrice” significativa per tanti altri cristiani e cattolici se le comunità di base, piuttosto inclini ad un certo stile sotterraneo, fossero più attente a superare la tentazione della troppo frequente semiclandestinità.
O Dio che mantieni sempre la tua promessa, fa’ che noi, sulla strada di Gesù, impariamo da lui a fidarci di Te. Tu sei la salvezza ora e domani! Solo tu! Tu ci chiami a lavorare perché venga il tuo regno di fraternità e di giustizia. Sarai ancora Tu a cambiare la nostra morte in vita piena presso di Te.
Possano le nostre chiese non sentirsi mai le depositarie della salvezza per vivere interamente dedite all’annuncio del tuo nome e del tuo regno.
Una memoria attivante e responsabilizzante
Caduta la pratica del suffragio, sarà abbandonata ogni memoria dei fratelli e delle sorelle che se ne vanno? Neanche per sogno.
La comunità (già lo accennavo nella predicazione), mentre confessa che esiste una risurrezione di Linda e Renato che compete solo a Dio, afferma anche che c’è una risurrezione che spetta a noi. Tocca a noi, riandando alla vita dei nostri amici, raccogliere le loro migliori speranze e battaglie. Tocca a noi, senza idealizzare o santificare indebitamente le loro figure, raccogliere il messaggio che le loro esistenze ci consegnano sul terreno della fede e dell’impegno umano, sociale, politico. La loro memoria diventa allora una consegna di impegno.
E non ci aiuterà forse a vivere il ricordo di queste esistenze pulite e semplici? Come dimenticare il loro sorriso e le loro ansie? Come non ricordare con commozione la loro tenerezza ed amicizia? Come potremo in comunità scordare l’entusiasmo di Renato per la lettura biblica, la sua passione per la preghiera, la sua voglia di liberare la chiesa dai concordati e dalle ambiguità? E potremo forse trascurare il fatto che di queste persone vive e fragili, pur segnate da limiti e peccati, Dio si è servito per costruire uno spezzone di speranza e di fraternità?
Una essenzializzazione positiva della fede
Accompagnando la comunità ho constatato un fatto evidente: qui la fede viene rigorosamente ricondotta alla sobrietà del dato biblico senza perdere nulla del suo spessore. Un’ ”operazione” delicata che può avere esiti anche diversi. Infatti può capitare che il tentativo di “essenzializzare” la propria fede sfoci in una sua “concentrazione riduttiva” o in una liquidazione di dati rilevanti. Mi sembra che il credente che passa da una teologia ridondante di elementi tradizionali ecclesiastici ad una esperienza di fede incentrata sul dato biblico possa, anche per un certo rifiuto emotivo degli eccessi, cadere nella riduttività, in atteggiamenti liquidatori. La comunità di base, lucidamente cosciente di questo rischio corso più volte, ha imboccato una strada propositiva, costruttiva. La forte alimentazione biblica ha permesso alla comunità di lasciar cadere le foglie secche di un immaginario teologico giudicato infondato per dare nuovo ossigeno all’alberello della fede. Non si è trattato di tagliare selvaggiamente qua e là, ma di una potatura oculata proprio perché l’albero possa respirare biblicamente: un’opera di discernimento tutt’altro che irrilevante.
Quando l’albero è radicato sulla terra buona dell’evangelo allora una coraggiosa potatura potrà
conferirgli nuova vitalità, se si ha l’attenzione di non porre la comunità in una situazione di vuoto, tipica di chi saluta le teologie e le pratiche tradizionali senza lavorare in positivo per risignificare la propria fede. Non si tratta, ovviamente, di sostituire un “sistema” teologico o liturgico con un altro, tanto per distribuire sicurezze e garanzie religiose, ma di prendere sul serio l’esigenza della fede di essere visibilmente espressa, significata, celebrata. Senza questa risignificazione la nostra fede si riduce ad una pura astrazione teologica.
Probabilmente le comunità di base non prendono ancora abbastanza sul serio questa sana esigenza di un cammino di fede realmente visibile e praticabile. Una fede vissuta con vero impegno creativo non può ridursi ad una sia pur pregevole teoria critica che sveli i meccanismi inconsistenti o inattuali di tante teologie e pratiche religiose. Essa probabilmente può diventare una proposta per molti credenti e non credenti se delinea una direzione di ricerca e indica sentieri percorribili.
È questa ricerca positiva di ciò di cui si avverte maggiormente il bisogno ed essa, quando la fede è radicata biblicamente, diventa possibile e feconda. Non si tratta, ovviamente, di cancellare indiscriminatamente il passato, come sottolineavo in precedenza. Si tratta di farci i conti adeguatamente, ricevendo dal passato l’annuncio della risurrezione che le chiese storiche ci hanno tramandato e di assumerci il compito di essere oggi anche noi partecipi della tradizione vivente, cioè i portatori della bella notizia di Gesù: Dio vince la morte.
Una bella notizia che accompagna il nostro esistere quotidiano, gli affida la consegna di lottare contro tutte le forze della morte e lo apre continuamente alla prospettiva del regno di Dio anche “oltre” la morte.
O Dio, nemmeno la morte ci può separare da Te (Rm. 8,38). Da quando Gesù è stato da Te risuscitato e costituito Signore dei vivi e dei morti (Rm. 14,9), noi possiamo avere un fondamento sicuro per la nostra speranza. “Sentenze di cenere” (Gb. 13,12) sono le nostre teologie: Tu sei la roccia della nostra salvezza. Se anche “cingiamo i fianchi” (Gb. 38,3) e combattiamo con te nelle notti più buie, tu resti il Dio fedele.