giovedì 3 luglio 2025

 

Fine vita e procreazione assistita: il diritto come rimedio al fallimento della politica

di Vitalba Azzolini

La Corte costituzionale continua a esercitare una “supplenza” legislativa, a fronte di una politica incapace di farsi carico di temi controversi, come il riconoscimento del figlio di una coppia omogenitoriale o il fine vita
Una maggioranza di governo poco disponibile a riconoscere diritti che emergono da nuove istanze urgenti e nodali non può lamentarsi se i giudici intervengono per rimediare alla sua inerzia. Il riferimento è alla fecondazione assistita e al fine vita, temi su cui si è di recente pronunciata la Corte costituzionale.
Con una sentenza pubblicata nel maggio scorso, la Consulta ha stabilito che è illegittima la norma della legge sulla procreazione medicalmente assistita (40/2004) che vieta alla madre “intenzionale” di riconoscere come proprio il figlio nato in Italia da procreazione assistita legittimamente praticata all’estero, consentendolo solo alla madre biologica.
«L’interesse del minore consiste nel vedersi riconoscere lo stato di figlio di entrambe le figure che abbiano assunto e condiviso l’impegno genitoriale», ha affermato la Corte. L’omosessualità della coppia non è un ostacolo, poiché non contrasta «con princìpi e valori costituzionali», né incide «sull’idoneità all’assunzione di responsabilità genitoriale».
Esattamente l’opposto di quanto sostiene la ministra Eugenia Roccella, secondo cui «l’estromissione della figura del padre» costituisce un «disvalore» e il riconoscimento da parte di due madri rappresenta «una scelta contraria al miglior interesse del minore». Dello stesso avviso sono altri politici della maggioranza, evidentemente poco inclini ad accettare i principi fissati dalla Consulta.
Nelle scorse settimane, la Corte costituzionale si è ancora una volta espressa in tema di fine vita. Nel 2018, la Corte aveva esortato il legislatore a fornire tutela a chi si trovi in una condizione di acuta sofferenza fisica o psicologica, determinata da una patologia irreversibile, sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e sia capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
Nel 2019, a fronte dell’inerzia del parlamento, la Consulta era di nuovo intervenuta, escludendo la punibilità di chi «agevola l’esecuzione del proposito di suicidio» nel rispetto delle condizioni indicate. Nel 2024, essa si è pronunciata specificamente sui trattamenti di sostegno vitale, e così pure nell’ultima sentenza, con cui ha di nuovo sollecitato il legislatore a disciplinare il fine vita.
Di recente, il parlamento sembra essersi risvegliato dall’inerzia. Un Comitato ristretto avrebbe elaborato un testo, la cui discussione inizierà il 17 luglio, ma i nodi da sciogliere sono molti.
Secondo esponenti della maggioranza, l’approvazione delle richieste di suicidio assistito dovrebbe spettare a un Comitato etico nazionale, e non al Servizio sanitario nazionale, come invece vorrebbe l’opposizione, che teme una “privatizzazione” del fine vita, anche perché le prestazioni necessarie a realizzarlo sarebbero escluse da quelle coperte dalla sanità pubblica. E poi c’è il tema delle cure palliative, che devono essere garantite, ma non imposte come condizione per accedere al suicidio assistito. Ciò sarebbe contrario all’articolo 32 della Costituzione, che sancisce il diritto alla cura, ma anche quello a non essere curati.
E mentre il parlamento prova a fare una legge sul suicidio assistito, ben sette anni dopo la prima sentenza della Consulta, quest’ultima andrà ancora oltre, pronunciandosi sulla questione di legittimità – sollevata dal tribunale di Firenze – della norma che vieta l’omicidio del consenziente, e quindi l’eutanasia.
Se la Corte dichiarasse incostituzionale il divieto assoluto di somministrazione di un farmaco letale da parte di un medico, quando chi lo richiede si trovi nelle condizioni previste dalla sentenza del 2019, «molte persone malate, fisicamente impossibilitate all’autosomministrazione e oggi per questo discriminate, potrebbero accedere alla morte volontaria», come scrive l’Associazione Luca Coscioni.
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Ancora una volta la Corte eserciterà una “supplenza” legislativa, a fronte di una politica incapace di farsi carico di temi controversi, e che interessano i più fragili. E poi ci si lamenta della disaffezione dei cittadini per coloro che dovrebbero rappresentarne gli interessi.

 

da “Domani” del 23 giugno 2025