L’orgoglio della fede al Pride di Amsterdam
Alessia
Cesana
Movimenti Nella capitale olandese ha preso il via l’annuale settimana di
manifestazioni della comunità Lgbtq+. Tra bandiere pro-Pal e slogan
pro-migranti sfila anche lo spirito inclusivo del Religious Pride: «Essere
queer e credenti non è in contraddizione»
L’arcobaleno ha conquistato le strade di Amsterdam. Lo
scorso sabato 26 luglio, migliaia di bandierine e cartelloni hanno marciato per
cinque chilometri, inaugurando ufficialmente la settimana del Pride. E malgrado
gli organizzatori volessero un clima apolitico, sventolavano numerosi i simboli
pro-Palestina e gli striscioni con la scritta «basta accusare i migranti:
cominciate ad aggiustare il sistema».
Fino al
3 agosto è previsto un fitto programma di esposizioni artistiche, incontri
pubblici e dj-set serali. Anche quest’anno c’è trepidazione per la Canal
Parade, la sfilata delle barche patrimonio nazionale Unesco. Dagli eventi
sportivi alle sfilate drag, dai mercatini al palco con la musica, a Pride Park
– nome per l’occasione di Vondelpark e meta finale del corteo inaugurale –
c’erano attività per tutti i gusti.
TRA I
BANCHETTI, uno esponeva volantini protetti da una piccola
Madonna rosa e da una candela con un cristogramma. È dei membri del Werkverband
van Katholieke Homo-Pastores, associazione cattolica di preti e teologi queer.
«Qui parlo con le persone, non mi nascondo. È emancipatorio potersi mostrare
per come si è: io predico Cristo e sono gay. Non mi possono cancellare», dice
Ramon Roks, 28 anni, cappellano in una casa di riposo.
Ha
dovuto lasciare il seminario perché riceveva lettere da vescovi e cardinali
contro di lui: «Sapevo che non avrei potuto vincere. Ero deluso, ma anche
meravigliato: nonostante si ordinino solo 3 o 4 preti cattolici romani olandesi
all’anno, a loro non bastava non avermi come amico, dovevo essere lontano»,
racconta. «Ho capito che erano loro ad aver bisogno di me, non io di loro. Non
avrei più potuto guardarmi negli occhi se avessi smesso di parlare alle e per
le persone queer». Continuando a lavorare con la sua fede, Roks promuove
l’inclusione di fedeli e pastori Lgbtq+ nella comunità: «Sono fratelli e
sorelle. Vivono con te. È così e va accettato. Non smetteranno di nascere
persone queer né si estinguerà la religione».
NATO NEL
2020, il Religious Pride – iniziative cristiane o ebraiche
ufficialmente promosse dalla manifestazione – ha lo scopo di «mostrare che non
c’è contraddizione fra essere queer e credente», spiega il reverendo Wielie
Elhorst, presidente del comitato organizzativo e pastore della Protestant
Church of Amsterdam (Pkn) con un mandato speciale per le persone Lgbtq+.
Per i
cristiani queer essere visibili in celebrazioni collettive significa tendere
una mano a chi si sente escluso, bullizzato o rifiutato dalle proprie comunità
religiose. «La fede non è proprietà esclusiva delle Chiese, ma è un dono per
tutt*, da condividere: le tradizioni si possono rileggere e vivere come
speranza, conforto, richiamo, amore, pace, giustizia», spiega.
Nel
variegato panorama religioso dei Paesi Bassi, non tutte le confessioni
accettano e valorizzano le identità queer. Oltre alla Pkn, la più grande sigla
protestante, anche la Old Catholic Church e Remonstrant Brotherhood celebrano
matrimoni omosessuali, ma la Chiesa cattolica e alcune Chiese ortodosse sono
ancora molto omotransfobiche. Elhorst osserva: «In media, le chiese non sono
ancora spazi accoglienti quando si tratta di orientamenti o identità diverse.
Molte hanno iniziato un cambiamento positivo, ma spesso è troppo lento e poco
convinto, così le persone se ne vanno».
ROKS
CHIARISCE che nelle comunità cattoliche spesso essere
Lgbtq+ è tollerato, ma non celebrato: «In Olanda molte parrocchie sono
liberali, ma silenziose. Per me, è l’ingresso nel clero il vero problema».
Eppure, oggi molte comunità cattoliche stanno diventando più conservatrici,
guidate da parroci tradizionalisti. Questa ondata reazionaria inizia negli anni
‘80, quando Roma ordinò vescovi fedeli al papa per contrastare le innovazioni
concordate nel Consiglio Pastorale della Provincia Ecclesiastica Olandese del 1970.
«Sono preoccupato per il futuro – ammette Elhorst – perché la percentuale di
giovani che accettano le persone Lgbtq+ è diminuita assai e molti hanno visioni
più tradizionali sull’identità e le relazioni. Questo non aiuta le nuove
generazioni Lgbtq+ a fare coming out».
Anche
Lieke Schrijver dell’Università Vrije di Amsterdam, antropologa ricercatrice
sul tema delle interazioni tra religione, genere e sessualità, condivide
l’opinione del reverendo: «Lo stereotipo positivo dell’Olanda come super
progressista va riconsiderato. I diritti Lgbtq+ non sono apertamente attaccati,
ma non ci sono passi avanti o sono stati congelati». Per lei, le persone trans
sono le più colpite. «Ecco perché oggi il Pride è più importante che mai –
afferma – come atto politico. Significa rivendicare le strade ed essere il
gruppo dominante. Festeggiare, anche in modo un po’ “extra”, è una protesta
contro chi sopporta, ma non accoglie».
«NON
PENSAVO di aver bisogno del Pride – racconta Roks – ma
esserci è stato liberatorio perché per la prima volta non mi sono sentito
un’eccezione». Quel senso di differenza che ha percepito fin da giovane ora è
al centro della sua spiritualità e della sua predicazione: «Per me il messaggio
di Gesù riguarda l’essere diversi, essere Altri e stare accanto all’Altro». Chi
non lo riconosce, «non fa ciò che è profetico e che la nostra fede ci
richiede».
«Il
Pride è per tutt*, è intersezionale, deve riconoscere tutta la varietà delle
esperienze queer, anche quelle de* credent*», che, per la ricercatrice,
rischiano di essere doppiamente discriminat*, dalla comunità civile e da quella
religiosa. «”Sono un peccatore? Sono stato creato a immagine di Dio? Cosa
rappresento per il sistema in cui vivo?”: queste sono domande che un fedele
queer deve affrontare», illustra Schrijvers; le risposte a queste questioni
possono allontanare dalla comunità d’origine, per non abbandonando la fede.
CHI RESTA, opponendosi
alla «narrazione prevalente dell’”uscita” e della “separazione
fede-queerness”», spesso si concentra sulla propria relazione con Dio perché
non è ‘lui’ a escludere, ma le persone che parlano per ‘lui’. I membri delle
comunità religiose Lgbtq+ supportano gli uni per gli altri e insieme non hanno
più paura di alzare il cartello con la scritta «Queer e figli* di Dio».
da “Il Manifesto” del 29/7/25