mercoledì 30 luglio 2025

L’orgoglio della fede al Pride di Amsterdam

 

Alessia Cesana

 

Movimenti Nella capitale olandese ha preso il via l’annuale settimana di manifestazioni della comunità Lgbtq+. Tra bandiere pro-Pal e slogan pro-migranti sfila anche lo spirito inclusivo del Religious Pride: «Essere queer e credenti non è in contraddizione»

L’arcobaleno ha conquistato le strade di Amsterdam. Lo scorso sabato 26 luglio, migliaia di bandierine e cartelloni hanno marciato per cinque chilometri, inaugurando ufficialmente la settimana del Pride. E malgrado gli organizzatori volessero un clima apolitico, sventolavano numerosi i simboli pro-Palestina e gli striscioni con la scritta «basta accusare i migranti: cominciate ad aggiustare il sistema».

Fino al 3 agosto è previsto un fitto programma di esposizioni artistiche, incontri pubblici e dj-set serali. Anche quest’anno c’è trepidazione per la Canal Parade, la sfilata delle barche patrimonio nazionale Unesco. Dagli eventi sportivi alle sfilate drag, dai mercatini al palco con la musica, a Pride Park – nome per l’occasione di Vondelpark e meta finale del corteo inaugurale – c’erano attività per tutti i gusti.

TRA I BANCHETTI, uno esponeva volantini protetti da una piccola Madonna rosa e da una candela con un cristogramma. È dei membri del Werkverband van Katholieke Homo-Pastores, associazione cattolica di preti e teologi queer. «Qui parlo con le persone, non mi nascondo. È emancipatorio potersi mostrare per come si è: io predico Cristo e sono gay. Non mi possono cancellare», dice Ramon Roks, 28 anni, cappellano in una casa di riposo.

Ha dovuto lasciare il seminario perché riceveva lettere da vescovi e cardinali contro di lui: «Sapevo che non avrei potuto vincere. Ero deluso, ma anche meravigliato: nonostante si ordinino solo 3 o 4 preti cattolici romani olandesi all’anno, a loro non bastava non avermi come amico, dovevo essere lontano», racconta. «Ho capito che erano loro ad aver bisogno di me, non io di loro. Non avrei più potuto guardarmi negli occhi se avessi smesso di parlare alle e per le persone queer». Continuando a lavorare con la sua fede, Roks promuove l’inclusione di fedeli e pastori Lgbtq+ nella comunità: «Sono fratelli e sorelle. Vivono con te. È così e va accettato. Non smetteranno di nascere persone queer né si estinguerà la religione».

NATO NEL 2020, il Religious Pride – iniziative cristiane o ebraiche ufficialmente promosse dalla manifestazione – ha lo scopo di «mostrare che non c’è contraddizione fra essere queer e credente», spiega il reverendo Wielie Elhorst, presidente del comitato organizzativo e pastore della Protestant Church of Amsterdam (Pkn) con un mandato speciale per le persone Lgbtq+.

Per i cristiani queer essere visibili in celebrazioni collettive significa tendere una mano a chi si sente escluso, bullizzato o rifiutato dalle proprie comunità religiose. «La fede non è proprietà esclusiva delle Chiese, ma è un dono per tutt*, da condividere: le tradizioni si possono rileggere e vivere come speranza, conforto, richiamo, amore, pace, giustizia», spiega.

Nel variegato panorama religioso dei Paesi Bassi, non tutte le confessioni accettano e valorizzano le identità queer. Oltre alla Pkn, la più grande sigla protestante, anche la Old Catholic Church e Remonstrant Brotherhood celebrano matrimoni omosessuali, ma la Chiesa cattolica e alcune Chiese ortodosse sono ancora molto omotransfobiche. Elhorst osserva: «In media, le chiese non sono ancora spazi accoglienti quando si tratta di orientamenti o identità diverse. Molte hanno iniziato un cambiamento positivo, ma spesso è troppo lento e poco convinto, così le persone se ne vanno».

ROKS CHIARISCE che nelle comunità cattoliche spesso essere Lgbtq+ è tollerato, ma non celebrato: «In Olanda molte parrocchie sono liberali, ma silenziose. Per me, è l’ingresso nel clero il vero problema». Eppure, oggi molte comunità cattoliche stanno diventando più conservatrici, guidate da parroci tradizionalisti. Questa ondata reazionaria inizia negli anni ‘80, quando Roma ordinò vescovi fedeli al papa per contrastare le innovazioni concordate nel Consiglio Pastorale della Provincia Ecclesiastica Olandese del 1970. «Sono preoccupato per il futuro – ammette Elhorst – perché la percentuale di giovani che accettano le persone Lgbtq+ è diminuita assai e molti hanno visioni più tradizionali sull’identità e le relazioni. Questo non aiuta le nuove generazioni Lgbtq+ a fare coming out».

Anche Lieke Schrijver dell’Università Vrije di Amsterdam, antropologa ricercatrice sul tema delle interazioni tra religione, genere e sessualità, condivide l’opinione del reverendo: «Lo stereotipo positivo dell’Olanda come super progressista va riconsiderato. I diritti Lgbtq+ non sono apertamente attaccati, ma non ci sono passi avanti o sono stati congelati». Per lei, le persone trans sono le più colpite. «Ecco perché oggi il Pride è più importante che mai – afferma – come atto politico. Significa rivendicare le strade ed essere il gruppo dominante. Festeggiare, anche in modo un po’ “extra”, è una protesta contro chi sopporta, ma non accoglie».

«NON PENSAVO di aver bisogno del Pride – racconta Roks – ma esserci è stato liberatorio perché per la prima volta non mi sono sentito un’eccezione». Quel senso di differenza che ha percepito fin da giovane ora è al centro della sua spiritualità e della sua predicazione: «Per me il messaggio di Gesù riguarda l’essere diversi, essere Altri e stare accanto all’Altro». Chi non lo riconosce, «non fa ciò che è profetico e che la nostra fede ci richiede».

«Il Pride è per tutt*, è intersezionale, deve riconoscere tutta la varietà delle esperienze queer, anche quelle de* credent*», che, per la ricercatrice, rischiano di essere doppiamente discriminat*, dalla comunità civile e da quella religiosa. «”Sono un peccatore? Sono stato creato a immagine di Dio? Cosa rappresento per il sistema in cui vivo?”: queste sono domande che un fedele queer deve affrontare», illustra Schrijvers; le risposte a queste questioni possono allontanare dalla comunità d’origine, per non abbandonando la fede.

CHI RESTA, opponendosi alla «narrazione prevalente dell’”uscita” e della “separazione fede-queerness”», spesso si concentra sulla propria relazione con Dio perché non è ‘lui’ a escludere, ma le persone che parlano per ‘lui’. I membri delle comunità religiose Lgbtq+ supportano gli uni per gli altri e insieme non hanno più paura di alzare il cartello con la scritta «Queer e figli* di Dio».

da “Il Manifesto” del 29/7/25