domenica 24 agosto 2025

 

I sacchi di grano

 

21’ domenica – Anno C

(Is 66,18-21; Eb 12,5-13; Lc 13,22-30)


      Iniziamo col ricordare che ai tempi di Gesù, il riferimento alla porta stretta era molto familiare. Ogni città era infatti circondata dalle mura, e vi erano dei portoni di ingresso, che la sera venivano chiusi: l’unico modo per entrare o uscire dalla città era di passare da una porticina lasciata aperta, la famosa... porta stretta. Chiariamo inoltre il contesto del sorgere della domanda fatta a Gesù sul numero dei salvati: all’epoca, secondo i farisei tutti gli israeliti si sarebbero salvati, mentre, nei circoli apocalittici, circolava l’idea che soltanto pochi erano destinati alla salvezza. Gesù apparteneva o comunque fu influenzato da questo gruppo, e si capisce dunque il senso della domanda che gli viene posta.

      Come di sua abitudine, Gesù non si lascia catturare nei tranelli delle domande, e non risponde dunque direttamente alla domanda, ma mira a coinvolgere chi gli sta di fronte, a far ricadere su di lui il peso ambiguo della sua stessa domanda. Il tale che domanda, infatti, pone a Gesù il problema del numero più o meno alto dei salvati, partendo dal presupposto di essere lui stesso sul terreno sicuro della salvezza personale. Ed è su questo punto illusorio che Gesù fa leva, per spronarlo a riflettere sulla sua stessa condizione. È sempre facile pensare alla vita degli altri, giudicarla, dimenticando, in modo abile, la nostra. Gesù lo riporta dunque sul terreno della propria vita, delle proprie scelte, del proprio cammino.

      E così fa con noi... perché se è vero che il Vangelo è parola viva per noi oggi, è a ognuno di noi che Gesù si rivolge, è alla nostra vita che ci riporta. E possiamo dunque sentire le parole di Gesù per noi oggi. Il “non so di dove siete” è rivolto a noi oggi. E noi ci ritroviamo a vantarci, a dire... “ma come, abbiamo mangiato e bevuto dinanzi a te, e tu hai insegnato nelle nostre piazze”, ossia... siamo stati battezzati, cresimati, abbiamo fatto catechismo, siamo andati a messa, abbiamo organizzato o seguito incontri, mega raduni: niente da fare, lui dice di non conoscerci, come se fossimo di un altro paese, come se parlassimo un’altra lingua, altre abitudini, altri stili di vita. Non è da queste cose che si riconosce la nostra aderenza e fedeltà a lui, “allontanatevi da me, voi operatori di ingiustizia”: la misura che interessa a Gesù si trova nella vita, nella quotidianità, nella pratica della giustizia nei confronti degli altri.

      È questa la porta stretta che siamo chiamati ad attraversare, stretta perché spesso faticosa, impegnativa, ma che ci apre ad orizzonti molto vasti, gli orizzonti del Regno, della realizzazione personale autenticamente e genuinamente umana. E non conta l’appartenenza religiosa. “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel Regno di Dio”, basta pensare ai flussi migratori di oggi, per trovare corrispondenze precise a queste parole di Gesù. Basta pensare a chi, scendendo da Gerusalemme a Gerico, sono i samaritani di oggi che si fermano a curare le ferite dei malcapitati della storia violenta di oggi. Non importa se vanno in chiesa, in moschea, in sinagoga, o in nessun luogo di culto: conta se sanno praticare la giustizia. E noi? Siamo davvero riconosciuti da Gesù dal nostro operare? O ci illudiamo ancora di essere i privilegiati della storia perché ci diciamo ancora cristiani?

      Chiudo con una massima tratta dalle raccolte di Anthony De Mello che bene esprime, con altre parole, il senso del Vangelo di oggi:

Due fratelli, uno scapolo e l’altro sposato, possedevano una fattoria dal suolo fertile, che produceva grano in abbondanza. A ciascuno dei due fratelli spettava la metà del raccolto. All’inizio tutto andò bene. Poi, di tanto in tanto, l’uomo sposato cominciò a svegliarsi di soprassalto durante la notte e a pensare: “Non è giusto così. Mio fratello non è sposato e riceve metà di tutto il raccolto. Io ho moglie e cinque figli, non avrò quindi da preoccuparmi per la vecchiaia. Ma chi avrà cura del mio povero fratello quando sarà vecchio? Lui deve mettere da parte di più per il futuro di quanto non faccia ora. È logico che ha più bisogno di me!” E con questo pensiero, si alzava dal letto, entrava furtivamente in casa del fratello e gli versava un sacco di grano nel granaio.

      Anche lo scapolo cominciò ad avere questi attacchi durante la notte. Ogni tanto si svegliava e diceva tra sé: “Non è affatto giusto così. Mio fratello ha moglie e cinque figli e riceve metà di quanto la terrà produce. Io non ho nessuno oltre a me stesso da mantenere. È giusto allora che il mio povero fratello che ha evidentemente molto più bisogno di me riceva la stessa parte?” Quindi si alzava dal letto e andava a portare un sacco di grano nel granaio del fratello.
Un notte si alzarono alla stessa ora e si incontrarono ciascuno con in spalla un sacco di grano!

Molti anni più tardi dopo la loro morte, si venne a sapere la loro storia.
Così, quando i loro concittadini decisero di costruire un tempio, essi scelsero il punto in cui i due fratelli si erano incontrati, poiché secondo loro non vi era un luogo più sacro di quello in tutta la città.

Morale: la vera differenza nella religione non è tra chi pratica il culto e chi non lo pratica, ma tra chi ama e chi non ama.

Solo nella pratica quotidiana dell’amore e della giustizia veniamo riconosciuti da Gesù, non illudiamoci che possano esserci altre strade, altre porte per accedere lui. L’unica è questa porta stretta, ma che apre alla vastità degli orizzonti infiniti del Regno.

Buona domenica a tutti/e!

Remo Bessone