Nessuno è buono, tranne Dio
Le pagine che seguono costituiscono una raccolta di meditazioni e nulla più. Il lettore vi troverà anche alcune preghiere perché il nostro rapporto con Dio conosce i momenti in cui ci mettiamo davanti a Lui come figlie e figli.
Riprendo in questo volumetto le riflessioni di spiritualità della liberazione che avviai soprattutto in Mistica e politica e in Fede e resistenza (Edizioni Tempi di Fraternità, Torino 1981) ed evidenzio alcuni filoni che mi sembrano oggi assai rilevanti.
1) Dio ci cerca attraverso la testimonianza biblica e, attraverso i mille rivoli della storia umana, ci invita a conversione. La strada che conduce fuori dalle secche dell’egoismo e della dorata indifferenza passa attraverso questo cammino di conversione in cui accettiamo di fare i conti con la Parola di Dio, “fuoco e martello che frantuma la roccia”, come dice il profeta Geremia. Dio sa trarre i lineamenti dell'uomo nuovo dal blocco informe che noi siamo. La Parola di Dio è viva ed efficace e penetra fin nelle midolla. Essa è scatenata, sa trasformare le pietre in figli di Abramo e inietta nelle nostre arterie il dinamismo della risurrezione. Anche questa volta è per noi illuminante l’evangelo: «Uno dei capi domandò a Gesù: “Maestro buono, che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?”. Gesù gli rispose: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne Dio!” (Luca 18, 18-19). Gesù è esplicito: solo Dio è la fonte della vera vita ed è “buono” per eccellenza. Declinando l’appellativo di “buono”, lo riserva esclusivamente a Dio. Nessun altro, sembra dirci Gesù, può dirsi “buono” in senso pieno. Egli rifiuta di mettersi ad un livello di “bontà” che non ha più bisogno di crescere. Solo Dio non ha da convertirsi! Nessuno di noi può mettere la conversione solo sul conto degli altri, come una realtà che interessi soltanto o principalmente altre persone, altri cristiani. Su questa strada camminò anche Gesù. Anch'egli visse l'avventura della conversione continua.
Gesù ci ha insegnato che Dio non è usabile contro nessuno. Egli è il grande “sovvertitore” per tutti, nel senso che la sua Parola è inquietante per ciascuno di noi. Nello stesso tempo Dio è “di parte”, la sua azione mira a liberare i poveri, non è neutrale, ma non esclude nessuno dalla conversione. E’ possibile tenere insieme, nella nostra esperienza, questo “amore di parte” e questa apertura universale?
Il credente che cerca di seguire Gesù sa che la fede è pace, ma è anche lotta. L'incontro con Dio è sempre un “lottare con lui” (Gen. 32, 26), come la bibbia ci dice riguardo a Giacobbe.
Israele con questa pagina ha rappresentato, in modo plastico e profetico, tutta la sua storia e la sua fede in Dio nella forma di un combattimento che dura fino all’apparire dell'aurora.
Insomma, il Dio della pace non ci dà pace, non concede tregue sul... fronte della conversione.
2) Queste pagine si rivolgono anche a tutte quelle persone che avvertono o fanno l’esperienza del vuoto di senso nella vita loro o altrui. La Parola di Dio, mentre “libera l'uomo dalla cattiva infinità”, ridefinisce la realtà dell'uomo: «In quanto oggetto e destinatario dell'agape (amore) l'uomo è l’essere di bisogno; dove bisogno dice a un tempo la relazione a un insieme di beni da fruire e la problematicità del possesso di quei beni... Qui non siamo più sul piano della valutazione, della struttura dell'esistenza umana, di quella che possiamo chiamare povertà radicale dell'uomo... Povertà è il limite dentro il proprio essere, è carenza, scarto tra ciò che si è di fatto (esistenza) e ciò che si è per principio (essenza). Ma abbiamo detto povertà radicale. E con questo intendiamo porre una distinzione tra le situazioni attuali, effettive, di povertà e quella condizione di base, quella fragilità che permane anche nelle situazioni di opulenza e di esteriore sicurezza, e che nessun possesso o potere può superare» (A. Rizzi, Dio in cerca dell'uomo, Edizioni Paoline, 1987, pag. 48).
Ebbene, «per il Nuovo Testamento, credere è accogliere l'amore di Dio come fondazione e rifondazione dell’esistenza propria; è dunque l’atto che pone tutto l’agire successivo dell'uomo nell'alveo di quell'amore, sotto il segno della sua iniziativa regale. Per Paolo, la fede cristiana è l’abbandono dell’illusoria volontà di fondare il senso del proprio esistere, e l'accoglienza al dono di senso che viene dal Signore morto e risorto». (Idem, pag. 53).
Queste parole non vogliono conferire alla fede un’efficacia magica o una onnipotente capacità di risolvere i problemi connessi all'esistenza umana. Il credente, però, sa che colui il quale gli dà la vita e gli offre la prospettiva di una vita eterna, non può non donargli anche il senso della vita. Ovviamente, questo è l’orizzonte della fede.
Gesù, con la sua vita e le sue parole, ci testimonia quel Dio che è datore di senso. Noi cristiani siamo chiamati, a nostra volta, a testimoniare questo “fatto” con il tipo di esistenza che conduciamo. Ma la strada non consisterà nel nascondere il dono per falso pudore o nel menar vanto come noi possedessimo il monopolio del senso della vita. Ancora Armido Rizzi ci ricorda che Dio non passeggia nel mondo come nel giardino dell’eden; la sua presenza non abita stabilmente la nostra esperienza; egli vi passa e se ne va, come un ospite fugace, come un visitatore prezioso, ma inafferrabile. La sua presenza è velata e intermittente. Ce lo dice la nostra stessa esperienza di fede.
Una stupenda pagina di Bultmann descrive la condizione del credente, nell'alternarsi di luci e di ombre, commentando il passo del vangelo di Giovanni “Ancora un poco e non mi vedrete" (Gv 16, 16): è «il tempo della risposta della fede, della sosta a contemplare il dono, il tempo dell’esperienza, dell’interiorizzazione della libertà, il tempo della meditazione e della comprensione. Tutto ciò è soltanto un mikròn - un poco - e non può che essere così. Non ci si può accasare nell’esperienza, se non si vuole che la realtà esperita svanisca. Il Rivelatore si fa ogni volta esperienza storica nella parola concreta come il sarx genòmenos, la Parola fatta carne. La fede gli risponde, ma non può disporre di lui. Il Rivelatore torna a scomparire... Tra il credente e il Rivelatore c’è sempre la debita distanza; il credente deve sempre affrontare la prova, fissare gli occhi nel futuro apparentemente vuoto e oscuro, e attendere...» (Ivi citato a pag. 57).
Oggi circola un grande vuoto di senso, la più diffusa delle nuove povertà che prosperano nelle società del benessere. L’evangelo è la buona notizia di un Dio che cerca l’uomo per dare pienezza di vita alle sue creature. E l’annuncio dell’evangelo di Giovanni: «Io sono venuto affinché abbiano la vita, una vita vera e completa» (Gv 10, 10). Gesù è l’annunciatore e il portatore di questa vita di Dio.
FRANCO BARBERO, Pinerolo 14 agosto 1987.