martedì 26 agosto 2025

ROCCA 15 AGOSTO - 1 SETTEMBRE 2025

Mariano Borgognoni

Il tuffo di Pizzaballa

Chi ha la mia età o giù di lì si ricorderà di un portiere dell’Atalanta (e non solo), un bergamasco che era l'ossessione di tutti i cultori del mitico album Panini, perché la sua figurina era così difficile da trovarsi che, per averla, dovevi spendere un capitale scambiandola con 10/20 delle tue. Uno dei nipoti di secondo grado di Pierluigi è il francescano Pierbattista Pizzaballa, cardinale, Patriarca cattolico di Gerusalemme. Ebbene il tuffo del cardinale a Gaza è di quelli che ti fa sentire, nella tragedia, contento di essere cristiano. È anche molto bello che siano entrati in quella striscia di sangue quotidiano, insieme a Teofilo, Patriarca della Chiesa greco-ortodossa di Gerusalemme: due confessioni dell'unica Chiesa di Cristo. E che la solidarietà e la consolazione portata ai feriti e ai congiunti dei morti nell'attacco israeliano alla chiesa caltolica della Sacra Famiglia sia stata accompagnata dalla dichiarazione che la medesirna solidarietà va a tutta la popolazione di Gaza, ai bambini, alle donne, agli anziani in particolare, in quanto primi bersagli di una furia sterminatrice che avviene, sotto gli occhi indifferenti dell’Europa cosiddetta cristiana, dell’America bianca e devota, della comunità internazionale, con poche lodevoli e talvolta pelose eccezioni. D'altra parte, già in numerose occasioni mons. Pizzaballa si era espresso con molta nettezza e senza distinzioni di sorta, usando parole chiare ed evangeliche: “Continuano a ripetermi di essere neutrale su Gaza. Venite con me a Gaza, parlate con la mia gente che ha perso tutto e poi ditemi che devo essere neutrale... A Gaza assistiamo a qualcosa di inaccettabile e inconsolabile... Ci rivolgiamo a tutti coloro che hanno il potere di prendere decisioni per porre fine a tutto questo...” La stessa kefiah palestinese che aveva indossato in alcune circostanze voleva solo dire il collocarsi dalla parte delle vittime civili uccise perfino mentre correvano con una scodella arrugginita a cercare qualcosa per evitare la morte per fame o per sete. Ci sono tante guerre e tanti conflitti oggi nel mondo, molti senza alcun riflettore, di uno di essi, Haiti, parla in questo numero il nostro Maurizio Salvi e continua la raccolta di fondi per sostenere l'impegno umanitario di Fraternità, ma è raro assistere all'abominio del ricorso alla fame come strumento sistematico di guerra, come avrviene nella striscia di Gaza. Assistervi inerti ci caricherà di una colpa inemendabile. Il filo tenue della speranza e della dignità è stretto nelle mani di quanti, infermieri, medici, operatori umanitari, coraggiosi funzionari delle Nazioni unite come Francesca Albanese, si spendono per proteggere, curare, portare sollievo stando con i propri corpi sul terreno in cui convivono l'umanità più autentica e la barbarie più orrenda. È un confronto quasi apocalittico tra dannazione e salvezza dell’umano. Ed è di conforto che molte voci dalla diaspora ebraica e dall'interno di Israele si levino per evitare che il Governo di Netanyahu dia un colpo mortale al futuro del suo popolo, della pace, della possibile convivenza tra due popoli e due Stati e scavi un incolmabile fossato di odio e di violenza. Ci fa piacere essere tra coloro che alcune di queste voci, a cominciare da Anna Foa, le hanno ospitate. Chi ha condannato con totale fermezza, noi tra essi, il crimine orrendo del 7 Ottobre e continua a biasimare la sciagurata via del terrorismo di Hamas non può non condannare con assoluta decione il terrorismo di Stato praticato dal Governo israeliano e la sistematica aggressione dei coloni ebrei alla popolazione araba in Cisgiordania. Non verrà meno il nostro sentirci innestati, come cristiani, nell’olivo buono dell’alleanza mai revocata ma a più forte ragione un dovere di parresia ci impone di alzare la voce con tutte le donne gli uomini che desiderano e amano la pace e la giustizia, contro la pratica e la logica della guerra e della deportazione a Gaza, contro la guerra come soluzione delle controversie internazionali, contro la riconversione riarmista dell'economia è da subito una guerra contro la parte più povera della società e contro il diritto alla vita delle generazioni presenti e future. Ci diranno che questa è un'utopia, in nome della cristianità ci diranno che il Vangelo racconta favole. Bene dobbiamo trasformare questo desiderio di pace e giutizia in una potente, formidabile soggettività politica.