FATTI E SEGNI
una speranza ribelle
Enrico Peyretti
In questa primavera triste, viene il timore di avere ragione nel lamentarci sempre del momento brutto. Solo gli alberi e le siepi fioriscono in bellezza, senza la nostra paura. Guerre continue e paci impossibili, rozze politiche imperiali, bombe intente ad uccidere bambini in quantità, democrazie che eleggono autocrazie, disfacimento delle istituzioni internazionali, nazionalismi, linguaggi triviali nelle sale governative, abbandonata la cura dell’ambiente. Papa Francesco ci ha lasciato incoraggiati del suo esempio di uomo della speranza. Molti hanno sentito questo valore profondo. È giusto essere ostinati, scontenti esigenti, per tenere aperto il desiderio, l’attesa, l'anelito. Siamo davvero solo ciò che attendiamo. Tu esisti solo se sei sete, nel dolore del bene che non hai. Bisogna diventare come bambini, dice Gesù, tesi a ciò che non siamo ancora. Il desiderio è uscire dalla morsa del duro presente, stretto tra il non ancora e il non più.
Ci vogliono anche momenti di festa, il riposo sacro, l'estasi sopra il tempo, il piacere alto, il momento mistico... Ma non bisogna restare contenti, perché allora si è fermi: meglio tribolare di lavoro, di affanno, di ricerca, di stanchezza, per essere tesi nella speranza del “tempo nuovo”. Anche la solitudine è preziosa, anche la tristezza: così sai che non sei ancora tu, e quindi speri. La povertà è speranza: benedetta mancanza. Forse l'eremita non va nella solitudine per spegnere i desideri, ma per sentire l’acutezza del desiderio, la potenza della mancanza. Se anche mi vuoi dimostrare che Dio non c'è, allora c'è, perché lo speriamo, siamo speranza. Dio è colui che manca, perciò è il più presente. Le chiese non vendano consolazione, ma desiderio. Se il bene, la giustizia, la pace non ci sono, noi li speriamo, quindi ci sono. Dove? Nel non-luogo, che è anche il buon luogo, il luogo e il tempo della verità, il lavoro da fare.
La speranza è fuga, è ribellione superba contro il destino chiuso? Abbandona questo tempo brutto alla rovina? No: la speranza è pazienza del bene che non abbiamo, ma la sua impronta è stampata in noi, per questo mondo dolente. È svincolarci dal potere del male, dal male del potere: dal governo assoluto del capitale; dalla politica imperiale aulocratica; dal potere delle armi omicide, a suon di miliardi; dalla pubblicità adescatrice; dal pensiero dell’adattamento. È ribellione al potere della guerra, dell’uccidere e dominare, che non salva mai nessuno, ma uccide le anime sottomesse al terrore, prima di uccidere i corpi e le case in cui abita la vita. La speranza ripudia la superbia culturale, il suprematismo, il razzismo, la divisione tra super-umani e sotto-umani. Ripudia il fascino malefico, iniettato negli oppressi, indotti a obbedire e imitare gli oppressori, e così resi ancora più vittime. Fino al loro risveglio, come fu il 25 aprile.
Una speranza ribelle, cioè libera e creativa, sa che tutto ciò deve finire, che pace e giustizia sono possibili e doverose, e sono fuori dalla misera illusione venduta dai padroni ai sottomessi. Questa speranza resiste al fallimento, resiste e insiste perché vede che il vero e il giusto sono più reali del falso-ingiusto che ora impera. È il pensiero u-topico, eu-topico, non una laterale zona di riposo, ma un passo sfrontato, ribelle, accusatore, propositivo, soccorritore, benefico. Questo pensiero è “esperienze” di verità-bene, è lotta non-violenta: contro la violenza senza combatterla con il “guerra alla guerra”, che imita conferma e riproduce la guerra. Questa speranza ricorre a forze di vita, opposte alla violenza, perché creative e liberatrici di vita. Ogni tanto queste forze pasquali si manifestano.
ROCCA 1 GIUGNO 2025