I poveri nostro belletto
Parole e ancora parole
Lungo la strada della costruzione di una fede liberante non possiamo evitare alcune verifiche indilazionabili. Ne cito una sola. Si tratta di verificare se il nostro costante riferirci ai poveri e alle loro lotte di liberazione a livello verbale trova corrispondenza nei fatti, cioè nella pratica quotidiana o se, invece, compensiamo la nostra sostanziale estraneità con una proiezione puramente parolaia. E dal di dentro di una lotta realmente combattuta (non solo contemplata o descritta o nstalgicamente ricordata secondo la diffusa prassi degli ex-combattenti!) che si rigenera una fede nuova e nasce una teologia nuova. Questa è regola inderogabile per ogni comunità, per ogni singolo credente, per ogni operatore pastorale, per il teologo. Altrimenti i poveri e le loro lotte sono la vernice con cui noi nascondiamo la nostra pratica reale e un pericoloso ed imbellettato cianciare dei poveri con l’illusione che basti parlarne per essere collocati sul fronte della lotta. Ma di fatto questo risulterà un battere l'aria perché siamo spiazzati, fuori cioè della loro realtà.
L'atto secondo, cioé la nostra riflessione teologica, diventa malsana e idealistica senza l'atto primo che è inserzione nella prassi storica di liberazione e la riscoperta della Parola in relazione ad essa. Quando invece sul piano dell'esistenza e della operatività si è pressoché estranei ai sentieri che gli oppressi praticano per costruire liberazione, come si potrà penetrare quell’evangelo che il Padre tiene nascoslo ai sapienti e rende manifesto ai piccoli (Mt. 11:25)?
Si tratta davvero di una fede e di una riflessione teologica che nasce dai sotterranei della storia, dal rovescio della storia? «Ciò che deve essere distrutto è l’intelligenza dell'intellettuale svincolato dalla vita e dalla lotta dei poveri», dice il teologo Gutierrez. In tale contesto il teologo sarà un «intellettuale organico», organicamente collegato al progetto popolare di liberazione, inserito egli stesso in tale lavoro e collegato alle comunità che camminano in tale pratica.
Ricordo tutto questo perché. all'interno delle nostre esperienze ecclesiali, la tentazione dell'imbellettatura è seducente e diffusa ai vertici ed alla base.
Proprio dalle comunità di base dell'America Latina ci giunge un segnale che ci aiuta a snidare le diverse pratiche «imbellettanti» che s’infileranno tra noi.
«Una riflessione teologica in contesto di liberazione parte dalla percezione che questo contesto ci obbliga a ripensare radicalmente il nostro essere cristiani e il nostro modo di essere chiesa... Ciò indica la sua divergenza da ogni tentativo di imbellettare con preoccupazione sociale o con terminologia di “liberazione” vecchi atteggiamenti pastorali e teologici. Atteggiamenti facili e una certa moda hanno portato di fatto alcuni a parlare delle cose di sempre aggiungendo ad esse l’aggettivo "liberatore” e a vendere in tal modo una mercanzia che cominciava a riempire i magazzini» (1).
«C’è in questo momento un grande sforzo inteso ad addomesticare la Teologia della Liberazione adottando, per esempio, i termini che essa usa, ma svuotandoli del lore significato... In questo modo le si toglie tutto il suo spessore umano e storico, rendendola accettabile al sistema politico ed ecclesiastico nella stessa misura in cui non mette più nulla in queéstione...» (2).
Da noi il rischio è quello di una chiesa che si modernizza, che si lava la bocca parlando continuamente dei poveri e degli emarginati o che impianta una grossa industria assistenzialistica per gestire in proprio l'area del bisogno con grande efficienza. Ma convertirsi è un'altra cosa. Le stesse comunità cristiane di base su questo punto debbono ancora compiere molti passi per essere una realtà popolare. Quando si è realmente inseriti nei processi di liberazione (e non se ne ragiona soltanto ideologicamente) cambiano le stesse priorità teologiche, le questioni centrali diventano altre e la stessa vita comunitaria riceve un'impostazione profondamente diversa.
Invece certi gruppi di lettura biblica mi sembrano piuttosto cacio biblico su maccheroni borghesi, per dirla con il proverbio. Quando non si è realmente inseriti in un processo di liberazione la lettura della bibbia diventa ozioso passatempo religioso, malsano circolotto di amici, che si illudono di leggere la Parola di Dio mentre si divertono dopo cena con alcuni giochetti di interpretazione biblica.