da Esodo - 2025
Vivere e morire con dignità
di Jean Louis Ska
Alcuni rari casi di suicidio nelle Scritture
Infine, due parole sul suicidio. Vi sono pochissimi casi di suicidi nelle Scritture e, ogni volta, siamo di fronte a situazioni estreme. Vi sono in tutto tre casi. Il primo è quello del re Saul e del suo scudiero durante una feroce battaglia contro i Filistei: "La battaglia si concentrò intorno a Saul: gli arcieri lo presero di mira con gli archi ed egli fu ferito gravemente dagli arcieri. Allora Saul disse al suo scudiero: ‘Sfodera la spada e trafiggimi, prima che vengano quegli incirconcisi e trafiggermi e a schernirmi’. Ma lo scudiero non volle, perché era troppo spaventato. Allora Saul prese la spada e vi si gettò sopra. Quando lo scudiero vide che Saul era morto, si gettò anche lui sulla sua spada e morì con lui. Così morirono insieme in quel giorno Saul e i suoi tre figli, lo scudiero e anche tutti i suoi uomini (1Sam 31,3-6).
Saul si uccide per non cadere vivo nelle mani dei suoi nemici. Sarebbe stato un disonore intollerabile. Le questioni di onore sono molto importanti del mondo antico, ed è la ragione principale del gesto di Saul.
Un secondo caso è più difficile da spiegare. Si tratta di un consigliere di Assalone, figlio ribelle di Davide. Assalone riesce a organizzare una rivolta contro suo padre e l’obbliga a fuggire da Gerusalemme. Giunto nel palazzo regale, Assalonne discute con i suoi consiglieri sul daffare. Uno di loro, Achitòfel, era stato consigliere di Davide, ed era molto apprezzato: "In quei giorni un consiglio dato da Achitòfel era come se si fosse consultata la parola di Dio. Così era di tutti i consigli di Achitòfel, tanto per Davide che per Assalonne” (2Sam 16,23). Egli consiglia, e con buone ragioni, di cercare di togliere subito Davide di mezzo: “Achitòfel disse ad Assalonne: ‘Sceglierò dodicimila uomini: mi metterò ad inseguire Davide questa notte, gli piomberò addosso mentre egli è stanco e ha le braccia fiacche, lo spaventerò e tutta la gente che è con lui si darà alla fuga; io colpirò solo il re e ricondurrò a te tutto il popolo, come ritorna la sposa al suo uomo. La vita di un solo uomo tu cerchi: la gente rimarrà tranquilla’” (2Sam 17,1-3).
Il suo consiglio, tuttavia, non sarà seguito perché interviene un altro consigliere, rimasto fedele a Davide all’insaputa di tutti, Cusai, e che convince Assalonne di indugiare per attaccare Davide più tardi con un grande esercito. Come sappiamo, Davide approfitterà di questo tempo per riorganizzare il suo esercito e Assalonne sarà sconfitto. Achitòfel, dal canto suo, decide di suicidarsi: “Achitòfel, vedendo che il suo consiglio non era stato seguito, sellò l’asino e partì per andare a casa sua nella sua città. Mise in ordine gli affari della casa e s’impiccò. Così morì e fu sepolto nel sepolcro di suo padre” (2Sam 17,23).
Era solo una questione di onore? Era convinto di fare una brutta fine? Non voleva vedere la fine di Assalonne? Si vergognava di aver tradito il suo re? Abbiamo pochi elementi per individuare la sua vera ragione. Doveva essere seria, tuttavia, per prendere una tale decisione.
Nel Nuovo Testamento, abbiamo il caso ben noto di Giuda l’Iscariota (Mt 27, 3-10). Solo Matteo ne parla, così come gli Atti degli Apostoli (At 1,18-19). Anche in questo caso, non è facile capire il vero motivo del gesto: vergogna, insostenibile sentimento di colpevolezza, rimorso, altra cosa ancora, o un misto di diversi sentimenti schiaccianti? Non lo sapremo mai con certezza. Le ragioni erano sufficienti, tuttavia, per compiere il gesto estremo.
Notiamo una cosa importante a proposito dei casi di suicidio: la Bibbia si accontenta di descrivere il fatto, però si astiene dal giudicarlo. Il giudizio o la reazione sono lasciati al lettore.
A mo’ di conclusione
Un’ultima citazione mutuata dal libro di Giobbe servirà a concludere le nostre brevi riflessioni su un tema molto complesso. Giobbe rivolge a Dio uno dei suoi tanti “perché” nel suo dolore e il suo smarrimento e, termina esprimendo la sua aspirazione a morire: “Perché tu mi hai tratto dal seno materno? Sarei morto e nessun occhio mi avrebbe mai visto! Sarei come uno che non è mai esistito; dal ventre sarei stato portato alla tomba! Non sono poca cosa i miei giorni? Lasciami, che io possa respirare un poco prima che me ne vada, senza ritorno, verso la terra delle tenebre e dell'ombra di morte, terra di oscurità e di disordine, dove la luce è come le tenebre" (Giobbe 10,18-22).
Gli esempi e i testi provenienti dalle Scritture, soprattutto dall'Antico Testamento, attestano che in certe circostanze piuttosto eccezionali la morte può sembrare preferibile alla vita. Solo in tre casi, tuttavia, si fa il passo ulteriore per compiere il gesto che pone fine all’esistenza. Bramare la morte non è, pertanto, una cosa impossibile, neanche nelle nostre Scritture. La questione, ovviamente, è di sapere come vivere una tale situazione.
Infine, vale la pena, forse, ricordare che esiste non solo un'arte di vivere, bensì anche un'arte di morire. Sull'argomento sono stati scritti due testi latini verso il 1415 e il 1450 (Ars moriendi) diventati molto popolari fino alla pubblicazione di un'opera di Erasmo di Rotterdam, intitolata De praeparatione ad mortem (1533).
Una fede che fa vivere, ma non esclude il suicidio.
Nota di don Franco Barbero