da Il Fatto Quotidiano del 23/10/2025
Anziani. Nelle case di riposo c’è solo rassegnazione: è ora di aprirle
di Tiziana Michelotto
IN QUESTI GIORNI SI PARLA MOLTO di emergenza di personale nelle case di riposo: mancano infermieri, operatori socio-sanitari, medici. Si parla di stress, malattie, turni massacranti. È un lavoro difficile, certo, ma il vero problema non è solo la fatica o lo stipendio. Il vero problema è l’ambiente chiuso e disumano in cui molti di questi operatori e ospiti vivono ogni giorno. Nella casa di riposo dove vive mia zia, non vedo benessere, nonostante la cura apparente: lenzuola pulite, tre pasti al giorno, ordine. Ma sotto questa superficie c’è un enorme vuoto. Solitudine. Gli anziani passano ore, giornate intere, senza stimoli, senza relazioni. Gli operatori stessi sono spesso demotivati, stanchi, frustrati. Ogni proposta di attività o di progetto viene percepita come un peso in più, non come un’occasione per creare vita e senso. E intanto, là fuori, stiamo andando su Marte. La scienza, la medicina, la tecnologia e perfino la ricerca sull’invecchiamento hanno fatto passi da gigante in gerontologia, geriatria, psicologia dell’età anziana, studi sociali sul benessere.
Eppure nelle case di riposo sembra che il tempo si sia fermato. Qui non c’è quasi traccia di innovazione, di umanità viva, di apertura. Solo solitudine e abbandono. È assurdo pensare che proprio gli anni finali della vita, quelli che dovrebbero essere dedicati alla cura, alla memoria, alla dignità, diventino invece un tempo di isolamento. Non è giusto. Non è umano. Serve un cambio di prospettiva. Le case di riposo devono riaprirsi alla comunità. Gli spazi inutilizzati potrebbero diventare aule, laboratori, centri di vita condivisa. Le scuole e le università potrebbero fare attività e lezioni all’interno delle strutture. Associazioni, artisti, studenti e volontari potrebbero portare stimoli, ascolto, creatività. Chi studia gli anziani dovrebbe poter vivere accanto a loro, non solo leggerli nei libri: solo così nascono idee e progetti capaci di migliorare davvero la qualità della vita. Perché l’invecchiamento non è una malattia, è una fase della vita. E la vita ha bisogno di relazioni. La soluzione non è solo sanitaria, è sociale. Se il personale è poco, la risposta non può essere chiudersi ancora di più. Serve aprirsi al volontariato, alle associazioni, alle scuole, alle famiglie. Solo così possiamo creare un circolo virtuoso di energia positiva, in cui a stare meglio non siano solo gli anziani, ma anche gli operatori, gli infermieri, tutta la comunità. Credo che la dignità e la qualità della vita non siano un lusso, ma un diritto. E che il modo in cui trattiamo i nostri anziani dica molto su chi siamo come società. Apriamo le case di riposo. Facciamole tornare luoghi di vita, non di attesa. Con rispetto e speranza.