giovedì 18 dicembre 2025

 Cristo, un re? Quale re?

Giuseppe Grampa

 

Confesso che questo titolo regale attribuito a Gesù mi pone qualche problema. E non perché lo spirito repubblicano non mi rende particolarmente favorevole alle teste coronate... Del resto Gesù stesso ha avuto non poche difficoltà con questo titolo. Una sola volta Gesù è fuggito: quando la gente che ha mangiato, grazie a Lui, pane abbondante, lo cerca per farlo re (Gv 6,13). E a Pilato che gli domanda se è re dei Giudei risponde: “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv 18,33ss.). E parlando dei capi delle nazioni e dei re Gesù adopera parole sferzanti: i re delle nazioni le governano e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così, ma chi è il più grande diventi il più piccolo e chi governa come colui che serve” (Lc 12,25ss.). Un antico inno alla Croce così canta: “Avanzano i vessilli del Re, risplende il mistero della croce... Albero luminoso e splendente segnato dal sangue del Re”, L’evangelo ci presenta una immagine paradossale di Cristo re inchiodato alla croce, come recita il cartiglio voluto da Pilato e affisso sulla sommità della croce, trono davvero singolare per un re. Cristo è re ma non ha potere, anzi è l'immagine stessa dell’antipotere. Anche Paolo, nell’Inno di Fil 1,3ss., descrive questo re crocifisso con un verbo che è decisamente estraneo al potere, dice: “Svuotò se stesso prendendo forma di servo”. Davvero quello di re è un titolo che può essergli attribuito ma secondo un'accezione assolutamente singolare. Forse proprio per questo la festa di Cristo re è tardiva nel calendario della Chiesa. Fu Pio XI che, con la lettera enciclica Quas primas dell'11 dicembre 1925, volle la celebrazione di questa festa per contrastare il laicismo ossia l’atteggiamento che voleva estromettere dalla vita sociale ogni riferimento alla signoria di Cristo. Istituendo questa festa il papa arrivava a dire: “Non rifiutino, dungue, i Capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e obbedienza all'impero di Cristo insieme con i loro popoli se vogliono con l'incolumità del loro potere, l’incremento il progresso della Patria”. Preoccupato anche di garantire l'incolumità del potere, il papa afferma: "Allontanato infatti Gesù Cristo dalle leggi e dalla società, l’autorità appare senz’altro come derivata non da Dio ma dagli uomini”. Ancora nell'intenzione del papa la fede nella regalità di Cristo doveva impedire ogni investimenio religioso del potere politico e in particolare di quei regimi totalitari che stavano prendendo piede in Europa. La pericolosa tendenza di certe forme del potere politico di appropriarsi di Dio, pensiamo allo scandaloso Gott mit uns - Dio con noi del nazismo ritorna oggi frequentemente nei discorsi di Donald Trump - si veda la conclusione del discorso al Parlamento ebraico a Gerusalemme il giorno della firma degli accordi di pace (13 ottobre 2023). L’adorazione di Cristo re ci impone leale rispetto per l'autorità costituita ma senza alcun investimento religioso. Nata in un contesto polemico la celebrazione di Cristo re ha trovato la sua giusta collocazione nell'ultima domenica del calendario liturgico. Quel calendario che ci accompagna a vivere il tempo come itinerario verso Cristo, Alfa e Omega, principio e fine della storia (Ap 21,6). Sottratta a contaminazioni con le forme del potere, la regalità di Cristo ritrova il suo valore perenne. L’immagine regale vuole esprimere il primato di Cristo, il suo essere il primogenito dell'umanità, l'uomo nella sua compiutezza, l'uomo pienamenle realizzato. E il luogo di questa realizzazione è la croce, è l’incondizionato dono di sé. Proclamare Cristo re vuol dire proclamare il trionfo di chi sta in mezzo a noi come colui che serve. Guardiamo Cristo, re inchindato a quel paradossale trono che è la croce.

                                                                                                                ROCCA 15 NOVEMBRE 2025