mercoledì 31 dicembre 2025

da Il Fatto Quotidiano del 31/12/2025

Pensionati, la stangata delle tasse sui più poveri

di Roberto Rotunno


Oltre a chi sperava di anticipare il pensionamento, confidando nella parola data dal centrodestra, a essere tradite dal governo Meloni sono anche le persone che in pensione ci sono già andate. Perché stanno per subire un nuovo, implicito aumento di tasse che eroderà il loro potere d’acquisto. Anziani che vivono con assegni bassi, destinatari di promesse elettorali e retorica strappalacrime: sono loro i più penalizzati dalle quattro manovre approvate dal governo Meloni. Pure dall’ultima, passata ieri in via definitiva alla Camera, la quale li colpisce ancora con un incremento di imposte invisibile solo per modo di dire, perché gli interessati se ne accorgeranno eccome. A spanne, per una pensione da appena 900 euro netti al mese, la perdita dovuta alle quattro manovre sarà di circa 800 euro annui, secondo i calcoli della Cgil.

LE RIFORME

fiscali del governo Meloni, anche il nuovo taglio Irpef in vigore da domani, provocano una perdita di potere d’acquisto per i pensionati con assegni sotto i 40 mila euro, soprattutto per chi prende poco più di 10 mila euro lordi annui. Il governo non ha voluto tenere in considerazione l’effetto dell’inflazione su questi redditi. Non è un tecnicismo, ma una scelta politica. Fratelli d’italia, Lega e Forza Italia si erano impegnati nel 2022 a innalzare le minime, ma poi hanno innalzato solo la pressione fiscale effettiva sulle pensioni basse. In modo indiretto, subdolo, ma non per questo indolore.

Si chiama “drenaggio fiscale”: metafora che descrive come i soldi arrivano attraversando un terreno ruvido e appiccicoso, che ne trattiene una parte. Quando c’è inflazione, i redditi da lavoro e pensione tendono a salire, ma subiscono anche un aumento di imposte, che sono progressive. Succede soprattutto per chi salta lo scaglione: per esempio chi, dopo l’aumento, supera i 28 mila euro e vede aumentare l’aliquota per i redditi sopra quella soglia (al 33%, mentre al di sotto è al 23%). Dato il carovita, il reddito lordo non è cresciuto: si è solo adeguato ai prezzi, ma in termini reali è rimasto uguale. L’imposta sul nuovo reddito – salito solo in valore assoluto – è diventata più alta di prima e questo ha fatto perdere potere d'acquisto. Questo è chiaro proprio sui pensionati: le pensioni fino a quattro volte il minimo vengono adeguate automaticamente all’inflazione. Come si vede nell’infografica in alto nell’altra pagina, una pensione lorda di 800 euro nel 2021 è diventata di 936 euro nel 2025; le aliquote Irpef e le detrazioni, però, non sono state anch’esse agganciate all’inflazione. Quindi il fisco ha “drenato” 783 euro annui di imposte a quella bassa pensione, cifra che non sarebbe stata prelevata se – come detto – aliquote e detrazioni fossero state indicizzate.

Il lordo tiene il passo, il netto, no.

Succede a lavoratori e pensionati, ma per questi ultimi la stangata è più evidente. Lo spiegano due economisti di area Cgil: Nadia Garbellini, docente di Economia Politica all’università di Modena e Reggio Emilia, e Roberto Lampa, professore di Storia Economica e Storia del Pensiero Economico all’università di Macerata. “È vero – affermano – che le pensioni sono rivalutate automaticamente in base all’inflazione, utilizzando l’indice Foi al netto dei tabacchi. Ma la rivalutazione è solo parziale. Inoltre, l’indicizzazione opera sul lordo della pensione, mentre il drenaggio fiscale agisce sul netto: scaglioni Irpef, detrazioni e no-tax area restano fermi in termini nominali. Ne deriva un aumento dell’imposta effettiva a parità di potere d’acquisto”.

IL GOVERNO Meloni poteva evitarlo ma non lo ha fatto. Ha cambiato due volte l’irpef: nel 2024 e con l’ultima manovra per il 2026. Pur considerando i due interventi, dice l’ufficio parlamentare di bilancio, i pensionati sotto i 40 mila euro pagheranno aliquote medie più alte rispetto a quelle che avrebbero pagato se il sistema fosse stato adeguato all’inflazione. Paradosso: a beneficiare delle riforme saranno i pensionati benestanti, compresi i più ricchi. “Per i pensionati e i lavoratori autonomi – dice l’upb – gli effetti delle riforme sono di entità più contenuta e prevalentemente concentrati sulle fasce di reddito medio-alte e alte”. Sempre l’upb ha fatto notare che, tra i lavoratori dipendenti, i più penalizzati dal drenaggio fiscale saranno quelli tra 32 mila e 45 mila euro, il ceto medio che pure doveva essere sostenuto è invece è stato beffato. Sotto i 32 mila euro, ci sono i vantaggi del taglio al cuneo fiscale introdotto negli anni scorsi. I pensionati non ne beneficiano e per loro la riforma fiscale è ben più iniqua.

“Dopo il taglio di 7 miliardi di euro del biennio 2023/2024 dovuto al non riconoscimento della piena rivalutazione – dice Lorenzo Mazzoli, segretario nazionale Spi Cgil – con la legge di Bilancio 2026 il governo non ha restituito il fiscal drag subìto dai redditi da pensione, né l’ha neutralizzato per il futuro”. “L’esecutivo – conclude il sindacalista – vede nel capitolo previdenza solo un bancomat per fare cassa mentre pensionati e pensionate fanno sempre più fatica ad arrivare a fine mese”.

Ma il drenaggio non disinnescato è l’ultima beffa del governo Meloni per i pensionati. Si somma a quelle destinate a chi in pensione sperava di andarci, date le promesse soprattutto della Lega di mandare tutti a riposo dopo 41 anni di lavoro. La realtà è stata diversa. La legge Fornero è stata aggravata: aumentato il requisito per la pensione contributiva a 64 anni, tagliate le future pensioni anticipate di alcune categorie del pubblico impiego, abolite Quota 103 e Opzione Donna. Era stata prevista la possibilità di pensionamento a 64 anni mischiando contributi Inps e fondi complementari; la manovra 2026 ha abolito questa opzione e tagliato i fondi per i lavori usuranti. Dal 2027, l’età pensionabile salirà di un mese, nel 2028 di altri due. Il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti ha detto che, se possibile, si tenterà di evitarlo. Un’altra promessa. Più timida, dati i precedenti.