domenica 28 dicembre 2025

da Le Monde Diplomatique del 16/12/2025

Riforme e pugno di ferro


Sebbene nella società saudita stiano avvenendo dei cambiamenti, criticare la famiglia reale è un reato punibile con pesanti pene detentive. Le discussioni vengono fatte a bassa voce e sui social network si mantiene cautela. <<Sempre più persone scompaiono dopo aver espresso il proprio malcontento>>, avverte l’attivista in esilio Lina al-Hathloul. <<Abbiamo documentato il caso di un autista di Uber che si lamentava del suo basso salario e della crescente disoccupazione dovuta alla riduzione dei posti di lavoro nel settore pubblico. E’ stato arrestato per i suoi tweet e condannato a 10 anni di carcere>>, deplora.

In Arabia Saudita, il dissenso politico è considerato un atto <<terroristico>>, un crimine punibile con la pena di morte. Nel 2024, il paese ha eseguito 345 esecuzioni, un record negli ultimi trent’anni. Nel 2025 la cifra potrebbe essere ancora maggiore: dall'inizio dell'anno scorso sono stati giustiziate 300 persone, tra cui numerosi stranieri condannati per reati legati agli stupefacenti e giovani membri della minoranza sciita che nel 2011 avevano preso parte a manifestazioni antigovernative nell’est del paese. E questo nonostante le dichiarazioni rilasciate nel 2022 dal principe ereditario, secondo cui il regno aveva <<chiuso>> con la pena capitale, tranne nei casi previsti dalla sharia.

Altre persone sono state condannate a pesanti pene detentive per aver espresso le proprie opinioni online, come ha documentato Amnesty International. Nel 2024, l'insegnante Asaad bin Nasser al-Ghamdi è stato condannato a vent'anni di carcere per aver pubblicato messaggi che criticavano gli effetti economici e sociali del piano <<Vision 2030>>, una pena poi ridotta a quindici anni, mentre suo fratello Mohammad ha visto la propria condanna a morte commutata in trent’anni di reclusione per pubblicazioni simili. Manahel al-Otaibi è stata condannata a undici anni di carcere per aver pubblicato delle foto senza abaya e denunciato la tutela maschile; durante la detenzione è stata vittima di rapimento, isolamento e violenze. Salma al-Shehab, dottoranda a Leeds, è stata condannata a quattro anni di reclusione per alcuni tweet in favore dei diritti delle donne, assimilati al terrorismo. Scarcerata all’inizio dell’anno, non ha il diritto di lasciare il paese.

<<E’ un prezzo accettabile in una fase di rapida trasformazione>>, ritiene Bernard Haykel, professore a Princeton, vicino a Mohammad bin Salman e alle cerchie del potere statunitense. Il principe, che egli descrive come un <<riformatore autoritario>>, avrebbe secondo lui il merito di voler smantellare il vecchio sistema saudita basato sulla religione per costruire uno Stato nazionale moderno.