lunedì 1 dicembre 2025

La grazia disposta da Dio nei confronti di Giobbe

A confronto con l’interpretazione dello psicoanalista Massimo Recalcati

Il giorno di Natale mi è stato regalato il libro di uno psicoanalista, Massimo Recalcati, Il grido di Giobbe, che mi ha costretto a integrare quanto avevo già pensato su Giobbe. Recalcati affronta il libro dal punto di vista psicoterapeutico, dove Giobbe è un giusto, che non ha peccato ma nonostante questo Dio permette a Satana di colpirlo molto duramente, negli affetti, nei beni materiali e nella salute, mettendo in evidenza come la legge del Patto, retributiva, sia falsa. Il terapeuta spiega come Sigmund Freud affronti diversamente il dolore, affrontandolo con la parola, che però  impatta comunque sull'assoluto del male a cui è sottoposto Giobbe.

La discussione dei vari amici di Giobbe evidenzia come essi parlino del dolore in maniera astratta e comunque sempre centrando i loro discorsi partendo dalla legge del Patto per cui Dio punisce i malvagi e premia i giusti, ma Giobbe non ha peccato e quindi la Legge non è vera e non consola. Il problema di Giobbe, il cui nome forse significa “dov'è il padre?”, non è rifiutare Dio (padre) e neanche negarne l’esistenza, ma poterci discutere e capire perché ha ricevuto il male.

Recalcati termina il suo libro riconoscendo che Giobbe si arrende all'immensità insondabile di Dio creatore dell’universo, non lo disconosce e accetta la sua insindacabilità, e Dio si dimostra comunque consapevole della “libertà" dell'agire umano: per questo accetta di parlargli, e per questo Dio non opera un risarcimento per Giobbe, che non ha peccato, ma agisce con la sua potenza e concede piuttosto una grazia gratuita, dando di nuovo figli e beni a Giobbe. Recalcati argomenta che Giobbe non è arrogante ma è solo disperato, e anzi Giobbe scopre che è proprio la fede a dare un senso alle cose, che è la tesi di Paolo nella lettera ai Romani, ripresa con forza da Lutero. Per Recalcati il senso finale del libro di Giobbe è che il dolore viene separato dai sensi di colpa morali.

L'autore, esaminando il libro di Giobbe, non scade in discorsi para-religiosi e usa un linguaggio che a mio sentire sembra molto “protestante", citando più volte Kierkegaard, Lutero, ma anche il tema teologico della grazia gratuita a fronte della legge retributiva (delle opere). È da rimarcare che Recalcati ha avuto da giovane un'educazione cattolica. Concludendo, il mio pensiero è che il rapporto tra Dio e Giobbe è la differenza tra il perfetto e l’imperfetto, che è la condizione perché la vita sia libera e possibile, altrimenti tutto il creato sarebbe in lui e non ci sarebbe la vita.

Nell'approccio religioso il senso di peccato, da cui i sensi di colpa, ci portano continuamente a pensare il rapporto con Dio come una richiesta di riscatto da fallimenti, errori ed altro ancora, ma il peccato va inteso anche come quell'imperfezione del creato di cui facciamo parte; quindi l'imperfezione va intesa come un dono che ci differenzia da Dio, condizione perché noi siamo vivi e liberi e la prima imperfezione è la morte, ma noi siamo stati creati per vivere.

Personalmente non mi aspetto, come Giobbe, una compensazione futura alla mia condizione personale presente di sofferenza. (p.d.p)

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Per quanto ho argomentato, per me l'autore di Giobbe ha vissuto ad Alessandria o nella prossimità della seconda metà del III secolo a.C., influenzato dalla filosofia di Epicuro che morì nel 270 a.C., e forse ha scritto là il libro, o in alternativa a Neftar, un luogo sul lato orientale del mar Morto vicino al torrente Arnon: l'autore di Giobbe deve essere stato molto apprezzato e considerato tra i religiosi giudei tanto da far considerare Giobbe tra i libri “sacri”, libro che nei temi ha ispirato vari salmi, in particolare per me il Salmo 90 di Mosé (non a caso fittiziamente attribuito a un egizio, Mosé).

Riforma, 20 giugno 2025