PERCHÉ SIAMO QUI
Prieuré, 21 agosto 1923
Per alcuni dei presenti restare qui non ha più senso. Se a costoro si chiedesse perché sono qui, sarebbero totalmente incapaci di rispondere, oppure direbbero delle assurdità, inventandosi tutta una filosofia senza credere essi stessi a una sola parola di ciò che dicono. Forse all'inizio lo sapevano, ma se lo sono dimenticati.
Io do per scontato che chi viene qui ha già capito la necessità di fare qualcosa, e ci ha già provato da solo. Da questi primi tentativi ha tratto la convinzione che, nelle condizioni della vita ordinaria, non si riesce a concludere niente. Allora ha cominciato a informarsi, e si è messo alla ricerca di un posto dove sia possibile lavorare su di sé, grazie a delle condizioni prestabilite: alla fine trova qualcosa, viene a sapere che qui quel lavoro è possibile. E infatti, questo posto è stato creato e organizzato apposta perché colui che cerca possa trovarvi le condizioni desiderate.
Ma alcuni di voi non traggono alcun vantaggio da queste condizioni; anzi, si può dire che nemmeno le notano. E il fatto di non vederle dimostra che, in realtà, essi non le hanno mai cercate, e che non si sono mai sforzati, nella vita di tutti i giorni, di ottenere ciò che credevano di volere. Chi non approfitta delle condizioni create dall’Istituto per lavorare su di sè, e non le nota nemmeno, deve sapere che questo non é il suo posto. Se resta, perde il suo tempo, disturba chi lavora e occupa il posto di qualcun altro. Qui i posti sono limitati e, per mancanza di spazio, sono costretto a rifiutare molti candidati. O mettete a profitto il vostro posto, o fate il piacere di andarvene.
Ripeto, io parto dal principio che chi viene qui ha già fatto un lavoro preparatorio, ha sentito delle conferenze, ha gia tentato qualcosa per conto proprio.
Parto quindi dal fatto che i presenti abbiano già capito la necessità di lavorare su di sé, e sappiano anche vagamente come fare; però non ne sono capaci per ragioni che sfuggono al loro controllo. Di conseguenza, non c’é bisogno di ripetere un’altra volta perché siete qui.
Io posso mandare avanti il lavoro solo se ciò che è già stato indicato viene applicato nella vita pratca. Purtroppo non succede così: qui la gente vive, ma non lavora; agisce soltanto per costrizione, come se fosse pagata alla giornata.
A queste persone io propongo: o di lavorare, a partre da subito, nel modo in cui un tempo ne avevano compreso la necessità, riscoprendo le idee di una volta e mettendosi seriamente al lavoro; oppure di rendersi conto, in questo istante, che la loro presenza qui è inutile. Data la situazione, quand’anche continuassero per dieci anni, non concluderebbero nulla.
Io non rispondo di niente. Costoro devono tentare realmente. Altrimenti sono ancora capaci di chiedere un risarcimento per il tempo perduto. Che risuscitino le loro primitive intenzioni, e così renderanno utile questo soggiorno a sé e agli altri.
Chi, in questa situazione, è capace di essere consapevolmente egoista potrà permettersi di non esserlo nella vita. Qui, essere egoisti significa non avere riguardi per nessuno, nemmeno per me, e vedere in ogni essere e in ogni cosa un mezzo per aiutare se stessi. Non ci dev'essere considerazione per niente e per nessuno, Uno è stupido, l'altro è intelligente: il problema non è questo, lo stupido è un buon soggetto di studio e di lavoro. E così pure l’uomo intelligente, in poche parole, entrambi sono necessari. Lo stesso vale per la canaglia e il bravuomo. Lo stupido, l'intelligente, la canaglia, il brav'uomo, tutti quanti, ciascuno a modo suo, sono utili per fare da specchio e per dare impulso all’osservazione e allo studio di sé.
C'é un’altra cosa che è importante capire. Il nostro Istituto può essere paragonato all’officina di un deposito ferroviario o a una rimessa dove si riparano le automobili. Quando un nuovo arrivato entra nell’officina, vede delle macchine che non aveva mai visto prima. E giustamente: infatti, all'esterno aveva visto solo auto ben carrozzate e verniciate, e quindi non sapeva com'erano fatte all'interno. Gli occhi dell'uomo della strada sono abituati a vedere soltanto la carrozzeria. Ma in officina le vetture sono senza carrozzeria. I pezzi, smontati, ripuliti e bene in vista, non hanno più niente in comune con ciò che si ha l’abitudine di vedere. All'Istituto è la stessa cosa. Quando una persona nuova arriva qui con tutto il suo fardello, viene subito messa a nudo, e tutti i suoi aspetti peggiori, tutte le sue “bellezze” nascoste diventano facilmente visibili.
Chi di voi non si rende conto di questo fenomeno ha l'impressione che qui abbiamo fatto la collezione degli stupidi, degli oziosi, delle persone limitate, insomma, di tutti gli scarti. Ma dimenticate tutti quanti una cosa essenziale: se vedete gli altri come sono, non è merito vostro. Qualcun altro li ha messi a nudo: voi li vedete così, e ve ne attribuite il merito. Vedendo negli altri degli imbecilli, non vi rendete conto di essere voi stessi degli imbecilli. Se qualcun altro non li avesse esposti in piena luce, con ogni probabilità dinanzi ad alcuni di loro vi sareste messi in ginocchio. Voi vedete i vostri vicini spogliati ma dimenticate che anche voi siete nudi. Credete di poter tenere una maschera anche qui, come nella vita. Ma nel momento stesso in cui avete oltrepassato il cancello dell'Istituto, il guardiano ve l'ha tolta. Qui vi ritrovate nudi, e immediatamente vi accorgete di ciò che siete in realtà.
Questo è il motivo per cui, qui, nessuno può permettersi di considerare interiormente gli altri. Se qualcuno si é comportato male nei vostri confronti, non offendetevi, perchè anche voi potreste comportarvi nello stesso modo. Al contrario, dovreste essere molto riconoscenti, e riitenervi fortunati di non aver mai ricevuto qualche ceffone, dal momento che a ogni passo fate del male a qualcuno. Devono essere ben gentili gli altri per non “considerarvi”! Eppure, se qualcuno vi fa il minimo sgarbo, siete subito pronti a rompergli la testa.
Dovete capire bene questa situazione, e comportarvi di conseguenza. Dovete cercare di servirvi degli altri in tutti i loro aspetti, buoni e cattivi; e in cambio dovete aiutarli attraverso i vostri, nessuno escluso. Se l'altro è intelligente, idiota, gentile spregevole, siate certi che in altri momenti voi siete altrettanto stupidi, intelligenti, spregevoli o coscienziosi. Le persone sono tutte uguali, ma si manifestano in modi diversi: secondo i momenti, esattamente come, secondo i momenti, anche voi siete diversi. E come voi, in certe occasioni, avete bisogno dell’aiuto degli altri, così gli altri hanno bisogno del vostro. E voi dovete aiutare gli altri non per gli altri, ma per voi stessi. In primo luogo, se aiutate gli altri, gli altri vi aiuteranno; in secondo luogo, attraverso gli altri è possibile imparare, a tutto vantaggio di coloro che vi stanno accanto.
Ancora una cosa: in molti di voi, certi stati vengono provocati artificialmente dall’Istiuto. Di conseguenza, disturbare lo stato di una persona può ostacolare il lavoro dell'Istituto. L'unica possibilità di salvezza è ricordarvi giorno e notte che siete qui esclusivamente per voi stessi, e che non dovete farvi disturbare da niente e da nessuno; e se vi sentite disturbati, dovete fare in modo di non esserlo. Dovete utilizzare gli altri come mezzo per raggiungere i vostri obiettivi.
Invece qui si fa di tutto, meno che questo. Avete trasformato la vita dell'Istituto in qualcosa di peggio della vita ordinaria. Molto peggio. Nel corso della giornata, i presenti sono tutti presi dagli intrighi, sparlano gli uni degli altri, e quando non si esprimono apertamente pensano male dentro di sé, giudicano e considerano, trovando uno simpatico e l’altro antipatico; ostentano delle amicizie, ma collettivamente o individualmente si giocano dei tiri mancini, lo sguardo sempre puntato sui difetti altrui.
Non serve a nulla pensare che alcuni sono migliori di altri. Non ci sono “altri” qui. Qui, la gente non è né intelligente né stupida, né inglese, né russa, né buona né cattiva. Non ci sono che automobili smontate, come voi. Ed è proprio grazie a queste automobili smontate che ciascuno potrà arrivare dove sperava di arrivare venendo qui. Avevate tutti uno scopo quando siete venuti. Ora è il momento buono perché ve lo facciate tornare in mente, e lo riprendiate in considerazione.
Tutto ciò che ho detto può riassumersi in due domande:
1) Perché sono qui?
2) Val la pena di restare?
Georges I. Gurdjieff
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Georges Ivanovič Gurdjieff è stato un filosofo, scrittore, mistico, esoterista, compositore, musicista e maestro di danze armeno, di origine greco-armena.
Visse a lungo in Turchia e in Francia. Il suo insegnamento combina sufismo, scuola mistica dell'Islam, e altre tradizioni religiose, esoterismo e filosofia, ma non può considerarsi un sistema sincretico. Per alcuni studiosi tuttavia, come la dottoressa Carole M. Cusack (storica delle religioni), il rapporto della Quarta Via con il sufismo è stato notevolmente esagerato,[2] tant'è che Gurdjieff stesso definì la sua Quarta Via come una forma di "cristianesimo esoterico".[3]
Per comprendere meglio questo discorso è necessario far riferimento al significato di "esoterismo" secondo il linguaggio oggettivo peculiare della Quarta Via[4]. L'insegnamento fondamentale di Gurdjieff è che la vita umana è ordinariamente vissuta in uno stato di veglia apparente prossimo al sogno, come il concetto orientale di maya:
«L'uomo moderno vive nel sonno; nato nel sonno, egli muore nel sonno [...] un uomo, se vuole realmente conoscere, deve innanzi tutto riflettere sulla maniera di svegliarsi.[N 2]»
Per trascendere lo stato di sonno ipnotico elaborò uno specifico metodo per ottenere un livello superiore di vitalità, per giungere al Ricordo di Sé, un concetto simile all'anamnesi platonica e all'illuminazione buddhista (o "risveglio").[5]