Sabato 8 e domenica 9 dicembre si è svolto a Tirrenia un collegamento seminariale nazionale delle Comunità cristiane di base italiane sul tema ”Fare Comunità - Ministeri/servizi: quali? Come esercitarli?": di seguito potete leggere la mia relazione introduttiva al lavoro dei gruppi.
Come contributo all'incontro ho preparato uno scritto in cui ho raccolto alcuni degli interventi da me elaborati in questi ultimi 40 anni sul tema: Ministeri: fare comunità
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ALCUNI PENSIERI PER LA NOSTRA RICERCA
1) Per me parlare di “servizi - ministeri” dentro la comunità cristiana significa ribadire che il senso della vita sta nel situarsi nel magma vitale della condivisione, fuori dalla cultura e dalla prassi o “signorile” o “schiavizzante”. Vivere in un’ottica e pratica fuori dal dominio e dalla schiavitù come “stile” quotidiano, mondano.
In questo “cantiere” faccio esperienza di Dio e vivo la fede.
2) Sul piano “ecclesiale”, nella strutturazione comunitaria, non abbiamo modelli nei quali rientrare, ma modi da inventare, da tentare, da superare…
Gesù non ha fondato nessuna chiesa, non ci ha lasciato una struttura. Ci ha testimoniato una prassi. Il Secondo Testamento ci documenta struttura molto diverse.
3) Penso più ad una chiesa di base che non alle comunità cristiane di base di cui mi sento parte. Interpreto la realtà delle cdb come parte del più vasto mondo della chiesa di base con realtà e pratiche ministeriali anche molto diverse (parrocchie, centri di spiritualità, gruppi, reti, Noi Siamo Chiesa, attività ecumeniche, preti sposati, gruppi di omosessuali-trans-lesbiche credenti, gruppi casalinghi…). Penso a concezioni ministeriali anche molto diverse in cui “fare comunità” sia più coinvolgimento di amore, di condivisone e di vita più che un pur necessario processo sul piano teoretico.
4) Penso a “chiese provvisorie” che si concepiscano sempre di più inserite nei processi storici e culturali del tempo: stare nel presente, trarre lezioni dal passato, lasciare ad altri/e il futuro.
La ministerialità plurale provvisoria significa, a mio avviso, non una destrutturazione della comunità, ma la capacità di inventare, trasformare, cestinare modalità e forme secondo i bisogni attuali della comunità in vista della testimonianza del Vangelo. Intendo la provvisorietà non come sinonimo di “comunità liquida” alla Baumann. E’ la mobilità itinerante per cui il “gioco comunitario resta vivo” se si individuano i doni di Dio e si tentano “spregiudicatamente” le risposte agli interrogativi e ai bisogni che emergono dentro i tempi del creato. E’ la vita che chiama alla vita e Dio rivolge i Suoi appelli al cambiamento dalle Scritture, dal teatro della storia, dai nostri piccoli percorsi personali e comunitari, dalle relazioni che viviamo.
Chiesa provvisoria è per me anche il segno di una grande libertà e di una non minore responsabilità. Se riprodurre un modello è imprigionate, è pur vero che è più facile. Qui si tratta di esperimentare con saggezza ed audacia in un confronto comunitario impegnativo. Guardare oltre, guardare avanti verso un arcobaleno culturale, ministeriale, ecclesiale molto più variegato con albe e tramonti più veloci.
5) Nella mia esperienza teologica e soprattutto ministeriale ritengo utile porre attenzione alla “pontalità”, cioè ad una dinamica e strutturazione - di cui ho ampiamente scritto in questi ultimi 40 anni - che permetta una riconoscibilità da persone che compiono percorsi diversi. Il ponte è uno strumento che permette il passaggio nelle due direzioni, che intercetta nuovi cammini, spazio di viaggio e di incontro e di scambio. Senza questa “pontalità aperta” la comunità rischia di perdere l’ossigeno della vita e di impoverire l’evangelo. Sono le persone che creano i ponti… se mettono in atto questo dono di Dio di essere “costruttori/costruttrici di ponti”. Questa oggi a me sembra una delle forme più preziose del servizio, del ministero, ma anche una delle “arti” più difficili sia all’interno che all’esterno della comunità per intercettare la vita.
Va da sé che, affinché tutti/e si sentano in cammino ma non imbottigliati/e in unica direzione, servono molte idee, molte pratiche e meno ideologie imbutizzanti e gli altri/e non sono maturi se progressivamente entrano nel mio/nostro raggio di pensiero o di azione.
6) Credo che il bello della nostra esperienza non solo italiana sia l’estrema varietà delle nostre “risposte” lungo il corso di questi anni. Ma nemmeno la libertà e la varietà sono garanzie di fecondità.
Resto personalmente convinto che i fermenti più vivi continuano a nascere un po’ in tutta la chiesa di base, spesso fuori dalle comunità di base “recensite”. Penso al recente documento dei domenicani olandesi.
7) Siccome non sono un abbonato al diluvio o un nostalgico del ’68, penso che viviamo un frammento di storia insieme macabro e sorgivo. Tanto fetore di morte, tanta violenza appestano l’aria che respiriamo, ma dai femminismi, dalle lotte per i diritti dei minori, dai movimenti gay, lesbiche, transessuali, dalle pratiche ecumeniche e dalle lotte per la salvaguardia del creato fino alla svolta ermeneutica… ci sono molte albe che salutano i nuovi giorni. Speriamo di esserci dentro con la nostra fiducia in Dio.
8) OGGI Come gli scritti portati a questo seminario documentano, oggi la comunità vive una articolazione di servizi davvero ricca. Sta agli atti e non lo ripeto. Certo, occorre sempre crescere: eccome!
Quanto a me, vivo il mio servizio di presbitero privilegiando alcuni terreni e spazi. Il maggiore numero di ore è dedicato all’ascolto di persone emarginate dalle istituzioni ecclesiali, molti preti, molti gay e lesbiche, molti/e che vogliono riaprire il capitolo della fede. Al primo posto stanno nelle mie relazioni quotidiane tossicodipendenti, sofferenti mentali, genitori disperati, zingari e vagabondi. La richiesta di dialogo è sterminata.
Svolgo poi un piccolo ministero itinerante in Italia e all’estero per corsi biblici, dialoghi ecumenici, dibattiti e lo lego al mio blog.
In comunità mi occupo specialmente delle persone che sono più marginali e animo 2 gruppi biblici e il gruppo “la scala di Giacobbe”. Cerco di fare in modo che non cresca lo scollamento, a volte molto evidente, tra servizio di direzione e comunità reale.
Cerco progressivamente di favorire la crescita e l’assunzione diretta di responsabilità di un sempre maggior numero di persone. Negli undici gruppi che accompagno in modo stabile, sento che siamo in un terra nuova, più popolata, più giovane rispetto alle comunità cristiane di base in generale. Nel silenzio del servizio quotidiano sento le canzoni dell’aurora, sento che tanti cuori palpitano e che le nostre “anime” guariscono. Un rammarico? Beh… mi sembra che il più bello della vita e del ministero cominci proprio quando si arriva alla vecchia.. e bisogna traslocare tra le braccia di Dio. Mi godo, intanto, questo ultimo intervallo con gli occhi dell’attesa dell’aurora.
Come contributo all'incontro ho preparato uno scritto in cui ho raccolto alcuni degli interventi da me elaborati in questi ultimi 40 anni sul tema: Ministeri: fare comunità
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ALCUNI PENSIERI PER LA NOSTRA RICERCA
1) Per me parlare di “servizi - ministeri” dentro la comunità cristiana significa ribadire che il senso della vita sta nel situarsi nel magma vitale della condivisione, fuori dalla cultura e dalla prassi o “signorile” o “schiavizzante”. Vivere in un’ottica e pratica fuori dal dominio e dalla schiavitù come “stile” quotidiano, mondano.
In questo “cantiere” faccio esperienza di Dio e vivo la fede.
2) Sul piano “ecclesiale”, nella strutturazione comunitaria, non abbiamo modelli nei quali rientrare, ma modi da inventare, da tentare, da superare…
Gesù non ha fondato nessuna chiesa, non ci ha lasciato una struttura. Ci ha testimoniato una prassi. Il Secondo Testamento ci documenta struttura molto diverse.
3) Penso più ad una chiesa di base che non alle comunità cristiane di base di cui mi sento parte. Interpreto la realtà delle cdb come parte del più vasto mondo della chiesa di base con realtà e pratiche ministeriali anche molto diverse (parrocchie, centri di spiritualità, gruppi, reti, Noi Siamo Chiesa, attività ecumeniche, preti sposati, gruppi di omosessuali-trans-lesbiche credenti, gruppi casalinghi…). Penso a concezioni ministeriali anche molto diverse in cui “fare comunità” sia più coinvolgimento di amore, di condivisone e di vita più che un pur necessario processo sul piano teoretico.
4) Penso a “chiese provvisorie” che si concepiscano sempre di più inserite nei processi storici e culturali del tempo: stare nel presente, trarre lezioni dal passato, lasciare ad altri/e il futuro.
La ministerialità plurale provvisoria significa, a mio avviso, non una destrutturazione della comunità, ma la capacità di inventare, trasformare, cestinare modalità e forme secondo i bisogni attuali della comunità in vista della testimonianza del Vangelo. Intendo la provvisorietà non come sinonimo di “comunità liquida” alla Baumann. E’ la mobilità itinerante per cui il “gioco comunitario resta vivo” se si individuano i doni di Dio e si tentano “spregiudicatamente” le risposte agli interrogativi e ai bisogni che emergono dentro i tempi del creato. E’ la vita che chiama alla vita e Dio rivolge i Suoi appelli al cambiamento dalle Scritture, dal teatro della storia, dai nostri piccoli percorsi personali e comunitari, dalle relazioni che viviamo.
Chiesa provvisoria è per me anche il segno di una grande libertà e di una non minore responsabilità. Se riprodurre un modello è imprigionate, è pur vero che è più facile. Qui si tratta di esperimentare con saggezza ed audacia in un confronto comunitario impegnativo. Guardare oltre, guardare avanti verso un arcobaleno culturale, ministeriale, ecclesiale molto più variegato con albe e tramonti più veloci.
5) Nella mia esperienza teologica e soprattutto ministeriale ritengo utile porre attenzione alla “pontalità”, cioè ad una dinamica e strutturazione - di cui ho ampiamente scritto in questi ultimi 40 anni - che permetta una riconoscibilità da persone che compiono percorsi diversi. Il ponte è uno strumento che permette il passaggio nelle due direzioni, che intercetta nuovi cammini, spazio di viaggio e di incontro e di scambio. Senza questa “pontalità aperta” la comunità rischia di perdere l’ossigeno della vita e di impoverire l’evangelo. Sono le persone che creano i ponti… se mettono in atto questo dono di Dio di essere “costruttori/costruttrici di ponti”. Questa oggi a me sembra una delle forme più preziose del servizio, del ministero, ma anche una delle “arti” più difficili sia all’interno che all’esterno della comunità per intercettare la vita.
Va da sé che, affinché tutti/e si sentano in cammino ma non imbottigliati/e in unica direzione, servono molte idee, molte pratiche e meno ideologie imbutizzanti e gli altri/e non sono maturi se progressivamente entrano nel mio/nostro raggio di pensiero o di azione.
6) Credo che il bello della nostra esperienza non solo italiana sia l’estrema varietà delle nostre “risposte” lungo il corso di questi anni. Ma nemmeno la libertà e la varietà sono garanzie di fecondità.
Resto personalmente convinto che i fermenti più vivi continuano a nascere un po’ in tutta la chiesa di base, spesso fuori dalle comunità di base “recensite”. Penso al recente documento dei domenicani olandesi.
7) Siccome non sono un abbonato al diluvio o un nostalgico del ’68, penso che viviamo un frammento di storia insieme macabro e sorgivo. Tanto fetore di morte, tanta violenza appestano l’aria che respiriamo, ma dai femminismi, dalle lotte per i diritti dei minori, dai movimenti gay, lesbiche, transessuali, dalle pratiche ecumeniche e dalle lotte per la salvaguardia del creato fino alla svolta ermeneutica… ci sono molte albe che salutano i nuovi giorni. Speriamo di esserci dentro con la nostra fiducia in Dio.
8) OGGI Come gli scritti portati a questo seminario documentano, oggi la comunità vive una articolazione di servizi davvero ricca. Sta agli atti e non lo ripeto. Certo, occorre sempre crescere: eccome!
Quanto a me, vivo il mio servizio di presbitero privilegiando alcuni terreni e spazi. Il maggiore numero di ore è dedicato all’ascolto di persone emarginate dalle istituzioni ecclesiali, molti preti, molti gay e lesbiche, molti/e che vogliono riaprire il capitolo della fede. Al primo posto stanno nelle mie relazioni quotidiane tossicodipendenti, sofferenti mentali, genitori disperati, zingari e vagabondi. La richiesta di dialogo è sterminata.
Svolgo poi un piccolo ministero itinerante in Italia e all’estero per corsi biblici, dialoghi ecumenici, dibattiti e lo lego al mio blog.
In comunità mi occupo specialmente delle persone che sono più marginali e animo 2 gruppi biblici e il gruppo “la scala di Giacobbe”. Cerco di fare in modo che non cresca lo scollamento, a volte molto evidente, tra servizio di direzione e comunità reale.
Cerco progressivamente di favorire la crescita e l’assunzione diretta di responsabilità di un sempre maggior numero di persone. Negli undici gruppi che accompagno in modo stabile, sento che siamo in un terra nuova, più popolata, più giovane rispetto alle comunità cristiane di base in generale. Nel silenzio del servizio quotidiano sento le canzoni dell’aurora, sento che tanti cuori palpitano e che le nostre “anime” guariscono. Un rammarico? Beh… mi sembra che il più bello della vita e del ministero cominci proprio quando si arriva alla vecchia.. e bisogna traslocare tra le braccia di Dio. Mi godo, intanto, questo ultimo intervallo con gli occhi dell’attesa dell’aurora.
Tirrenia, 8 dicembre 2007
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