giovedì 4 settembre 2008

OSSERVATORIO GELMINI

Ricevo da Maura, appassionata docente di filosofia e cara amica, queste note che pubblico molto volentieri

Osservatorio Gelmini: le innovazioni

Risparmiare per innovare, si potrebbe sintetizzare così il programma del Ministro. Tagli alle cattedre e meno stipendi al personale, trovare le risorse finanziarie necessarie per modernizzare la scuola, aggiornare i docenti, rinverdire i programmi e guardare con speranza al futuro.
E infatti, ecco qui con le disposizioni urgenti in materia di istruzione, le innovazioni nuovissime mai viste prima: la valutazione della condotta, il voto al posto dei giudizi, il maestro unico alle elementari, il grembiulino e la finta introduzione di una nuova materia.
Mi consola: le disposizioni urgenti dell'anno scorso erano più raccapriccianti.

Osservatorio Gelmini

Aderisco volentieri all'iniziativa di Paniscus, collega e blogger, che scandagliando per la rete ha già trovato alcune gustose notiziole da diffondere: la prima è che Maria Stella la bresciana è andata a sostenere l'esame di abilitazione da avvocato a Reggio Calabria, perchè a quel tempo ci si andava un po' tutti, aggiunge. Non perchè ci fosse stato qualche scandalo circa il pellegrinaggio di studenti in cerca di facili promozioni, ma perchè superare l'esame al nord era veramente difficile: tutti raccomandati, dice Maria Stella disgustata.
Si sa, alunni e genitori sono bravissimi a trovare giustiicazioni per i loro insuccessi. Sta di fatto che la nostra Maria Stella si abilita in diritto amministrativo senza avere una mezza idea di come funzioni il bilancio del suo ministero.
E non è una svista, attenzione; nemmeno si può imputare l'ultima raffica di gaffes al caldo d'agosto.
Cinzia, la sorella maestra e a dire il vero piuttosto sgrammaticata ("Siamo troppo legate", "Appena può si farà una famiglia", "Io e Maria Stella non siamo ideologiche"; benedetto il cielo, che miracoli vuoi dai professori del sud che ereditano gli alunni di tua sorella del nord!), in una intervista di maggio si diceva assolutamente certa sulla condotta che Maria Stella avrebbe adottato: "Prima di parlare, vuol capire. Per questo da quando è entrata in carica non ha ancora parlato: sono convinta che lo farà soltanto quando potrà parlare con cognizione di causa".
O si è sbilanciata parecchio prima, oppure la situazione è molto più nera del previsto.

Maria Stella e il bilancio di Paperopoli

Capisco che a qualsiasi manager verrebbe un colpo nel vedere un simile bilancio e certo che se il 96% dei fondi servissero a pagare i dipendenti, qualsiasi azienda sarebbe al collasso: tu però stai tranquilla, Maria Stella, per quanto ti sembri strano la situazione è del tutto normale.
Ma sì, fidati: questa è la scuola pubblica e non una ditta privata. Praticamente tutto un altro paio di maniche, credi a me.
E' cosa buona e giusta che la scuola pubblica spenda i suoi soldi nel pagare i dipendenti.
Tanto per cominciare, le spese di funzionamento sono in buona parte a carico di altri enti: dell'edilizia scolastica si occupano comuni e province, molti progetti sono finanziati da fondi europei o borse di studio private e per tirare su un altro po' di soldi ci sono pure i quiz a premi.
Infine alle spese vive (dall'acquisto dei pc alla carta igienica) contribuisce l'utenza col pagamento delle tasse scolastiche; per le attività aggiuntive previste (laboratori e corsi vari che costituiscono l'innovazione e l'ammodernamento dell'offerta formativa di cui vai tanto parlando) la scuola chiede un contributo su base volontaria che molti genitori volontariamente non pagano.
E fin qui lo Stato non ci mette un euro di tasca sua, se non per assicurare il servizio di istruzione pubblica di base; vale a dire appunto il pagamento dei nostri stipendi e la copertura delle spese restanti per garantire la frequenza a tutti, a prescindere dal reddito. Che è esattamente quel che deve fare, contrariamente ad una azienda privata, che non devolve gratuitamente beni e servizi.
Ma l'innovazione, dici tu?
Un'azienda che vuole investire in tecnologia si attrezza in modo da automatizzare i processi e ridurre il numero di lavoratori necessari. E la scuola che dovrebbe fare, videoconferenze? Predisporre un centralino con la voce registrata: "Se non hai capito la lezione premi il tasto 1, se hai fatto i compiti premi il tasto 2"?
Innovazione e riduzione del personale non coincidono, mi pare lampante: anche perchè poi non ci sarebbe nessuno a portare avanti l'innovazione.
Il personale scolastico è indispensabile, non può essere sacrificato in nome dell'efficienza; quanto più ce n'è tanto migliore è il servizio. Una scuola che funziona bene è una scuola con tanti bidelli quanti ne servono per tenere pulito e sorvegliare, gli insegnanti necessari per coprire classi da quindici-venti ragazzi (e non mostruosità da trentadue stipati nella stessa aula), i laboratori con gli assistenti di laboratorio dentro, e segreterie efficienti con a capo un preside che non debba occuparsi di tre istituti diversi contemporaneamente.
Suvvia Maria Stella, non ti crucciare. Ora ti spiego il trucco; la scuola è un servizio pubblico, gli sprechi sono un'altra cosa.

Senz'anima

La scuola pubblica non ha anima e nemmeno ne sente la mancanza; bella frase, ma se non si precisa cosa si intende per anima in questo contesto, non significa nulla la bella frase.
E resta lì sospesa, bella senz'anima, per passare a discutere di autorevolezza. Qui almeno è chiaro che per auterevolezza intendesi la capacità di alimentare amore e rispetto per il Paese, il passato e la tradizione. Ci sono gerarchie culturali, alla cui sommità riposano Dante, Cavour e Galileo quali vertici di intelligenza, verità e vita e termini di confronto ideali ma anche concretissimi.
E io che ho fatto il liceo negli anni '80 un po' di cose me le ricordo: mi ricordo la bellezza vibrante delle terzine dantesche e mi ricordo che chi non la pensava come me non avrebbe mai osato dirlo alla professoressa nè permettersi di non studiare, perchè la prof gli avrebbe fatto il mazzo quadro e i genitori a casa pure. Il massimo di interdisciplinarietà lo sperimentammo un giorno, quando la prof di lettere ci fece notare che in effetti sì, tra Hegel e la letteratura romantica qualche legame c'è.
Mi ricordo che Galieo era il nostro asso nella manica in materia di contestazione religiosa: noi a ringhiare contro l'Inquisizione e il diacono a riempire la lavagna con le dodici tribù di Israele. Più in là di così non s'andava, perchè poi lui usciva sbattendo il registro sulla cattedra e ci accusava di essere polemici.
Di Cavour non ricordo nessun brivido, la storia si studiava fine a se stessa e solo dopo qualche anno abbiamo scoperto che poteva essere una utile metafora per comprendere il presente.
Davvero? Sì, davvero: perchè i grandi del passato sono delle belle cime di intelligenza trascorsa ed è meglio che stiano lì imbalsamati. All'epoca parlare di politica a scuola era raro e quando lo si faceva era per criticare la cultura paninara in chiave marxista. Una bella lotta, perchè ci si dichiarava tutti di sinistra e paninari insieme.
La globalizzazione faceva capolino insieme all'ibridizzazione delle culture e nessuno ce ne sapeva parlare: siamo entrati in un mondo nuovo con strumenti datati e nessuna cognizione di causa, perchè ci sentivamo persone colte. Ci sarà stata l'anima, ma l'attualità mancava del tutto.
Del resto, a volercela infilare oggi, come fai a far crescere nei nostri giovani l'ammirazione per la Costituzione (costantemente aggirata), lo Stato delle Banane e il sistema politico? No, dico: ammirazione per il nostro sistema politico che dovrebbe incutere rispetto e autorevolezza. Meglio parlare di Cavour, viene meno da ridere.
Secondo Galli Della Loggia la scuola pubblica serve a legittimare culturalmente e cioè ideologicamente o storicamente qualcosa: io pensavo che servisse a sviluppare il senso critico per capire il mondo in cui viviamo senza farsi prendere per i fondelli dal prossimo parolaio.
"Un sistema d'istruzione pubblico appartiene sempre a un contesto culturale nazionale. Questo è il punto, dunque qui sta il cuore del problema: alla fine, nella sua sostanza più vera, la crisi della scuola italiana è lo specchio della profonda incertezza circa il senso e il rilievo del suo passato, circa i suoi veri bisogni attuali e quello che dovrebbe essere il suo domani"
E la soluzione? Fare "piazza pulita delle troppe materie e degli orari troppo lunghi che affliggono la nostra scuola, e ricentrando con forza i nostri ordinamenti scolastici intorno a due capisaldi: da un lato la lingua italiana e la storia della sua letteratura, cioè intorno alla voce del nostro passato, e dall'altro le matematiche, cioè il linguaggio generale del presente e del futuro universali".
Togliamo via tutte le troppe materie e i lunghi orari (?!), rimettiamoli a leggere, scrivere, far di conto e indossare il grembiulino: cinquant'anni fa funzionava, magari va bene ancora adesso.

Razionalizzare!

Il ministero della pubblica istruzione spende un sacco di soldi per pagare stipendi bassi a troppi insegnanti, dice Gelmini: meritocrazia è quello che ci vuole.
Tanto per cominciare quest'anno tagliamo altre ottantacinquemila cattedre a casaccio: chi colgo, colgo. Poi con calma progettiamo un piano di sviluppo e qualità del servizio scolastico, investendo i soldi risparmiati per premiare gli insegnanti meritevoli.
Meritevoli secondo quali criteri? Vabbè, non lo so, poi vediamo: tanto si parla da anni di meritocrazia nella scuola, senza indicare i criteri.
E comunque, dicevamo, i soldi risparmiati li investiamo in corsi intensivi per gli insegnanti del meridione, che sono notoriamente meno bravi e abbassano la media nazionale.
Davvero? Mah, può darsi: il rapporto Invalsi dice che gli studenti del sud sono meno preparati, quindi vuol dire che i loro professori sono ignoranti.
Veramente il rapporto non parla degli insegnanti, ma solo degli allievi e non prende in considerazione il loro background familiare e il contesto sociale. Se il contesto sociale è disagiato, i docenti che lavorano nei quartieri a rischio e nelle zone economicamente depresse non possono mica fare i miracoli: fanno i salti mortali per tenere insieme il poco del buono che c'è.
E noi gli facciamo i corsi intensivi, che male non fanno.
Sì, ma i corsi li facciamo solo agli insegnanti del sud che lavorano al sud? O pure a quelli del sud che lavorano al nord?
Uhm, non ci avevo pensato.
Perchè, sa, al nord ci lavorano un sacco di docenti del sud: basta guardare le graduatorie permanenti, che so, di Torino. O delle altre città; sono consultabili sul sito dell'ufficio scolastico di ogni provincia. Vede, accanto al nome c'è il comune di nascita e se contiamo bene di meridionali quassù ce ne sono tanti. Il che tra l'altro inficia l'ipotesi: se i ragazzi del nord sono più bravi di quelli del sud, con tanto di professori meridionali anche loro...
Oh, insomma! Sempre e solo critiche! Io invece sto razionalizzando; non vedete come sto razionalizzando bene? Che mi si lasci razionalizzare in pace!

Sta ancora razionalizzando, lasciatela fare

Gelmini smentisce: «Non ho mai detto che gli insegnanti del Sud abbassano la qualità della scuola italiana», anche se sembrava proprio che lo avesse detto.
Chi riporta così il suo pensiero è in grave malafede, assicura. Tutta colpa dei giornalisti comunisti forse pure meridionali: «Ho sempre ritenuto - aggiunge il Ministro - che esistono bravi professori sia al Nord che al Sud, ma il Sud ha oggi un deficit strutturale e di progettualità che non è certo imputabile al corpo docente».
E chi può darle torto? Professori aggrediti a Palermo mentre tentano di sedare un litigio, violenza contro i commissari di maturità a Castellammare del Golfo per un voto basso e a Salerno minacce di morte se ti salta in mente di bocciare qualcuno. Provaci tu a far lezione nei quartieri a rischio, dove i ragazzini vanno in classe col coltello, i genitori sono pregiudicati e la scuola è percepita come inutile perdita di tempo in vista di un futuro delinquenziale già segnato: alunni che parlano quasi esclusivamente il dialetto, amano i soldi facili e fatalmente abbassano la media scolastica nazionale.
Ma del resto, a ben guardare, su Scuolaviolenta la lista è lunga e copre tutta la penisola da nord a sud.
E che si fa allora per agire su un deficit strutturale non imputabile al corpo docenti? «L'Unione Europea - conclude Gelmini - mette a disposizione delle regioni del Sud dei fondi che io desidero investire nella scuola, destinandoli sia ai professori che agli studenti per elevare la qualità della didattica».
Ottimo; a cosa li destiniamo? Non a chi, che non significa niente: ma a cosa. Che ci possiamo fare con 'sti soldi? A quanto ammontano? Stiamo parlando di una cifra consistente o dei fondi di istituto per comprare le videocassette di inglese?
No, perchè se i finanziamenti fossero adeguati alla bisogna, io un suggerimento ce l'avrei: aumentare il numero dei docenti e diminuire il numero degli alunni per classe. Quando ti trovi una trentina di alunni, di cui un tot stranieri di varia nazionalità che devono ancora perfezionare l'italiano, un paio con disabilità gravi che hanno bisogno di assistenza continua ma i docenti di sostegno non bastano, e il resto che presenta lacune di base assortite, come pensi di imporre a tutti con successo lo stesso programma nazionale senza aver modo di seguirli individualmente?
Ma a quanto pare la cifra dev'essere sull'ordine delle videocassette, se la poverina da mesi apre le braccia allo sconforto: «Voglio rendere pubblici i bilanci del ministero della Pubblica Istruzione. La situazione è drammatica ed io non ho la bacchetta magica per risolverla. I tagli sono ineludibili».
No, davvero, io la capisco. Una si impegna in politica, vuol far carriera, magari sente tutto l'orgoglio di essere una donna ministro, una che ha fatto breccia nella fortezza dei maschi, si è conquistata un posto di prestigio e poi scopre di contare quanto il due di coppe.
Soldi per la scuola non ce n'è, non gliene frega niente a nessuno della scuola, nemmeno si ricordano di te nella finanziaria; non è che Tremonti fa finta di non conoscerti quando gli chiedi attenzione, è che proprio non sa chi sei.
Allora realizzi che agli uomini di potere vengono assegnano i posti chiave; alle donne -ancorchè di potere- ben che vada i posti-chiavica; che se considerassero la scuola e le pari opportunità come ministeri seri, col fischio che ci avrebbero messo a capo una donna.
Però una volta che ti sei seduta comoda lassù, qualcosa devi pur fare. Cavalchi le flautolenze bossiane perchè fanno un gran bel rumore, ti inventi soluzioni svirgolate purchè si dica che ci stai almeno provando, indossi un bel tailleurino elegante e rispondi a muso duro: «Chi critica la riduzione dei professori, indichi una strada diversa»

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