mercoledì 28 luglio 2021

 

La speranza si perde nella giungla


È stato definito la giungla di Calais, un nome che dice tutto. Ma a rendere quell'immenso campo profughi un inferno in piena Europa non sono migliaia di rifugiati asiatici e africani accalcati vicino alla città francese, nella speranza di saltare su un treno e, attraverso il tunnel della Manica, raggiungere di nascosto il Regno Unito. 

È piuttosto la nota spietata della sopravvivenza: le tende di plastica rabberciate, l'ex discarica che diventa un pantano quando piove, il freddo che arriva a 10 sottozero. E poi le violenze della polizia, i cani, i fili spinati... I troppi sogni traditi, perché lì c'è chi è rimasto intrappolato per anni, chi è morto, chi è svanito nel nulla.

Ufficialmente oggi la giungla non c'è più, è stata sgomberata a forza nel 2016. Ma chi non si rassegna ricostruisce mini- giungle, che per lo Stato francese non esistono. E il dramma continua, ignorato. 

A ricordarlo è un intenso e poetico docufilm dello spagnolo Jesús Armesto che, dopo varie rassegne europee, ha appena partecipato al Festival della salute mentale lo Spiraglio, vincendo il premio Samifo: si intitola I Borghesi di Calais come la statua di Auguste Rodin, dedicata ai 6 cittadini che nel 1347, durante la Guerra dei cent'anni, si offrirono ostaggi agli inglesi in cambio della liberazione della città. 

Sottotitolo: L'ultima frontiera, simbolo di mille barriere e campi profughi, dove anche in condizioni disperate continua a scorrere la vita.

Perché in quel baratro sono nati una scuola, una chiesa, una moschea; ci si lava con l'acqua piovana raccolta in un bicchiere; si protesta cucendosi la bocca con ago e filo. Ci sono anche bambini non accompagnati. Volontari che si fanno in quattro. 

C'è un cartello: «Impariamo a vivere insieme, se no finiamo per morire soli, come idioti. (Il film è su vimeo.com/ondemand/iborgouesidicalais)


                                    Antonella Barina, Il Venerdì 16 luglio