mercoledì 28 luglio 2021

 

Mons. Debernardi «Il Burkina è la mia casa»


A Pinerolo per qualche settimana, ma a Ouadadogou mi sento a casa. «Qui la malaria uccide più del Covid»
Mons. Pier Giorgio Debernardi è a Pinerolo, ospite dei padri Oblati. Un rientro dal Burkina Faso di poche settimane: «Per qualche visita di controllo, vista l'età e il desiderio di salutare gli amici. Ho già programmato il ritorno nella prima metà d'agosto. Sento la necessità di tornare perché or-mai quella terra la percepisco come casa mia».

Da tre anni il vescovo emerito vive a Ouadadogou, capitale del Burkina, e qui si trova in famiglia: «Esperienza missionaria tardiva, ma la vita di chiesa che sto facendo qui è entusiasmante. Tantissime le vocazioni. L'ultima ordinazione, nella Diocesi dove risiedo, ha visto ben 22 candidati. Non vocazioni di comodo, ma preti teologicamente preparati, attivi, con grande capacità».


Nonostante gli 81 anni il vescovo emerito è presente su diversi fronti. È animatore spirituale all'Università cattolica Shalom dove risiede: «Qui metto a frutto anche la mia laurea in Lettere, insegnando lingua e letteratura italiana. Una conoscenza dell'italiano che permetterà di fare, soprattutto agli studenti in Scienze della comunicazione, stage anche in Italia presso testate giornalistiche». Affianca il cardinale arcivescovo di Ouadadogou nelle occasioni ufficiali.


"Acqua nel Sahel" (ovvero i 55 pozzi finora già realizzati, grazie all'aiuto di conoscenti, enti, comunità, per fornire acqua potabile nei villaggi) è l'iniziativa che più lo lega agli amici in Italia. Infine è il referente della
Conferenza Episcopale Italiana per i progetti in Burkina.


Qual è la situazione della pandemia in Burkina? La vaccinazione procede a rilento: «Il virus qui ha colpito assai poco e per l'età molto giovane della
popolazione e forse anche per il caldo, mai inferiore ai 30°. Io
stesso mi sono vaccinato la scorsa settimana al Cottolengo di Torino e il richiamo a fine mese. Ma a fare strage qui, soprattutto di bambini, è la malaria. L’ho sperimentata sulla mia pelle lo scorso anno. Ti distrugge, annebbia la mente e se non curata adeguatamente conduce alla morte. Devo la mia salvezza all'ospedale dei padri Camilliani, sono quasi tutti burkinabé, eccezionali e preparati: molti hanno studiato medicina in Francia o al Gemelli di Roma».


Università, ospedali, scuole dimostrano come la Chiesa cattolica sia ben viva in Burkina: «Nel Sud del paese quasi il 50% della popolazione è cattolica. Meno nel Nord, dove c'è una forte prevalenza di musulmani. È una terra ricca di conversioni, in particolare dalle religioni tradizionali. Nella sola Veglia pasquale di quest'anno si sono avuti 5.896 battesimi
di adulti». Costante rimane il dialogo interreligioso, in particolare con l'Islam: «A Pinerolo mi era familiare il dialogo ecumenico, in particolare con i valdesi. Qui avviene tra le religioni, in particolare con l'Islam moderato. Non ci percepiamo in antagonismo, ma come variegata famiglia di Dio»,
La tanta violenza che in nome di Allah flagella soprattutto la fascia del Shael nel nord del Paese non fa certamente parte della cultura di questo popolo: «Anzi, è un vero e proprio martirio dove i più colpiti sono gli
islamici moderati e gli imam che li guidano. Non passa giorno che nei villaggi del nord non avvengano stragi. Tra le più violente quella del 6-7 giugno scorso, quasi sottaciuta dalla stampa occidentale, dove in una sola notte nel villaggio di Solhan sono state uccise 162 persone».

ROMANO ARMANDO, L’Eco del Chisone 14 luglio