È sera quando un migrante rientra da una passeggiata nel centro federale d'asilo di Balerna, a tre chilometri dal confine italiano. Gli
agenti di sicurezza lo perquisiscono, usano modi
particolarmente aggressivi e umilianti.
Il ragazzo si divincola e
si rifiuta di sottoporsi alla pratica. Viene immobilizzato, denudato
e lasciato per diverso tempo in questo stato negli ambienti comuni,
sotto gli occhi di tutti. Poi viene chiuso
sempre nudo e per
almeno un'ora nella "sala di riflessione", un container
senza finestre situato in cortile.
Il
coprifuoco
È
solo una delle tante storie che arrivano dai centri d'asilo ticinesi.
I migranti che popolano queste strutture non sono criminali, si
tratta di persone arrivate nel paese e in attesa di vedere accolta o
rigettata la loro richiesta di permanenza. Possono restare nei
centri
fino a un massimo di 120 giorni e la loro condizione non è tanto
diversa da quella dei detenuti in stato di semilibertà.
Si
può uscire solo alla luce del sole, alle 19 scatta il coprifuoco.
Per mangiare e prendere i medicinali ci sono finestre temporali
prestabilite, guai a violarle. Altre regole ferree, come il divieto
di portare beni di vario tipo all'interno, complicano la
quotidianità. Se
qualcosa non va per il verso giusto nella
migliore delle ipotesi si vedrà sospeso il pocket
money
settimanale e il diritto all'uscita, nella peggiore si dovrà far
fronte alla violenza fisica e psicologica.
Un rapporto di Amnesty
International uscito a maggio denuncia i maltrattamenti e le violenze
subite dai migranti nei centri federali d'asilo della Svizzera
tedesca e francese. Umiliazioni, percosse, forme di contenimento
fisico tali da limitare la respirazione e causare una crisi
epilettica, isolamenti forzati nei container, ricoveri e negazione
delle cure sanitarie, per un totale di decine di casi verificatisi
tra gennaio 2020 e aprile 2021. Dalle testimonianze che abbiamo
raccolto di associazioni locali per i diritti umani, migranti e
di
chi in questi centri ci lavora, emerge però che le violenze
avvengono in modo sistematico anche nei centri d'asilo di Chiasso e
Balerna, situati proprio in prossimità del confine italiano di Como
e popolati da una media di 150 ospiti complessivi.
Violenze
al confine
C’è
il caso di un cane degli addetti alla sicurezza che ha aggredito uno
degli ospiti, poi rinchiuso nella "sala di riflessione" per
aver colpito l'animale nel tentativo di difendersi.
Ci sono
ripetute storie di alterchi tra i controllori e i migranti risolti in
calci e pugni contro questi ultimi, con ricoveri in ospedale,
prognosi di diversi giorni e dolori che si trascinano per
mesi.
Un'altra costante è l'utilizzo di spray al pepe e al
peperoncino all’interno delle sale quando si verificano momenti di
tensione, con problemi respiratori per le persone che ne subiscono
gli effetti. A un ospite con pesanti disturbi psichici è stata
negata l'assunzione dei suoi psicofarmaci perché si è presentato
troppo tardi allo sportello: per quel giorno niente, ne è conseguita
una violenta crisi punita nella solita stanza esterna. Nemmeno le
donne e i minori vengono risparmiati da questa violenza e in
punizione nel container ci sarebbe finito anche chi ha meno di 18
anni. Un'altra testimonianza racconta di un ragazzo chiuso lì dentro
che urlava di dover andare urgentemente in bagno. La sicurezza gli ha
intimato di stare zitto e di farsela nei pantaloni, lo hanno liberato
dopo sei mesi.
Denunce
e silenzi
Alcuni
di questi casi sono finiti in tribunale, un'associazione che si
occupa di diritti umani ha raccolto negli ultimi due anni una decina
di segnalazioni credibili provenienti dai centri ticinesi.
La
maggior parte degli episodi rimangono però silenti. I migranti non
hanno il tempo di denunciare, i tempi della magistratura sono molto
lunghi e la loro permanenza nei centri e più in generale in Svizzera
spesso ha i giorni contati.
Oltre a questo, esporsi proprio nel
momento in cui si è in attesa della concessione dell'asilo rischia
di avere controindicazioni per il proprio status. Gli abusi vanno
allora avanti e chi lavora all'interno
ci descrive un sistema dove
«niente funziona e non c'è dignità di trattamento nei confronti
delle persone».
Il quadro ricorda quello dei terribili centri per
il rimpatrio (Cpr) italiani, dove morti sospette e violenze vengono
denunciate da anni. Nel caso dei centri federali d'asilo del Ticino
il problema avrebbe a
che fare con la società privata che si
occupa della sicurezza,
la Securitas SA.
Come si legge sul
sito, i suoi dipendenti fanno un po' di tutto, dalla sorveglianza
delle case private durante le ferie al presidio di eventi e fiere,
passando per il controllo degli autosilo e della circolazione
stradale.
In questo pacchetto si inserisce anche l'attività nei
centri di accoglienza, svolta dunque da personale con una
preparazione generica e poco adatta al contesto particolarmente
delicato. Contattata per una replica, la società non ha
ri-Sposto.
Come racconta una fonte, quando la cosa è stata fatta
presente all'organo che gestisce i centri, la Segreteria di stato
della migrazione (Sem), la risposta è stata che gli addetti alla
sicurezza svolgono un apposito training di comunicazione
interculturale e prevenzione del rischio.
La sua durata è però
di una giornata, a riprova di come si stia sottovalutando il tema
dell'addestramento.
E se il problema è a monte, anche nella
soluzione delle criticità le cose non vanno meglio. Una
testimonianza racconta di un addetto di sicurezza particolarmente
violento che negli ultimi mesi è stato punito non con il
licenziamento ma con trasferimenti continui
da una struttura
all'altra.
Un'altra costante sono poi gli insulti razzisti contro
i migranti, rivolti in italiano per non farsi capire. In generale,
c’è un clima di ostilità degli addetti contro gli ospiti.
Doppia
faccia
Ma
la situazione è tesa anche tra i lavoratori dei centri d’asilo.
Da
una parte chi tra gli operatori della sicurezza porta avanti un
sistema fatto di abusi di potere e rapporti verticali, dall'altra chi
tra gli educatori e gli assistenti si batte per mettere una pezza a
una situazione definita insopportabile e subisce minacce velate
e
pressioni.
Anne Cesard, portavoce della Sem, ha negato le
accuse di
violazione dei diritti umani:
«Non corrispondono per
nulla alla realtà in uno stato di diritto come la Svizzera».,
Un
assistente impiegato in un centro ticinese si rammarica invece
dell'opposto: «Chi supera il confine penserebbe di trovarsi in un
luogo sicuro. I fatti dimostrano che non è così».