L’India e la criminalizzazione dei matrimoni
interreligiosi: tra leggi anti-conversioni e
islamofobia
In India, negli stati dell’Uttar Pradesh, Uttarakhand e Madhya Pradesh sono state approvate delle leggi anti-conversioni da parte del BJP, partito della destra nazionalista indù, esacerbando la politica discriminatoria su base religiosa a danno delle minoranze musulmane.
In questi giorni l’India si trova a far fronte ad una seconda ondata di coronavirus, riportando 1,761 morti solo nelle ultime 24 ore, il più alto numero dall’inizio della pandemia, ed eleggendo il paese a nuovo epicentro globale del virus.Per il secondo paese col più fragile sistema sanitario al mondo, la situazione pandemica è aggravata da altre difficoltà che sul fronte interno generano malcontenti e proteste. Si tratta delle recenti leggi anti-conversioni approvate dal Partito Popolare Indiano e presentate come “leggi sulla libertà religiosa”.
Le suddette si propongono, realisticamente, di proibire le libere conversioni, danneggiando la già fragile protezione delle minoranze musulmane, a ragion del vero le più vulnerabili del paese. Ed il loro effetto più evidente è quello di alimentare e promuovere quella cultura dell’odio per il ‘diverso’ tra le varie comunità del paese: è quella “alterizzazione” (in inglese otherization) che è imperativo per un governo proiettato sul nazionalismo spietato…
La teoria della “love jihad” affonda le sue radici in un passato non troppo lontano, quando a partire dagli anni venti, in particolare nello stato del Kerala, gruppi di nazionalisti estremisti costruirono a tavolino questa strategia camuffata da complotto, dando l’avvio ad una campagna contro il “rapimento” di donne indù da parte di uomini musulmani e che nel corso degli anni si sarebbe consolidata e diffusa anche altrove nel paese.
Le leggi contro il “love jihad” sono state messe a punto in virtù di una presunta (senza alcuna evidenza credibile) cospirazione secondo cui i musulmani provino ad adescare le donne indù con lo scopo di sposarle e convertirle all’Islam, al fine di conseguire la cosiddetta “sostituzione demografica”.Secondo il pensiero di molti esponenti della destra, ciò sarebbe parte di un piano più grande finanziato dal vicino Pakistan, paese a maggioranza musulmana.
La legge vieterebbe quindi la conversione anche ai fini del matrimonio, “stabilendo che chiunque si voglia sposare fuori dalla propria comunità religiosa lo debba comunicare prima al governo locale due mesi prima, per permettere ai funzionari di verificare che la relazione sia sincera. Se viene stabilito il contrario, l’uomo rischia fino a cinque anni di carcere. Nel caso, poi, che la donna provenga da un gruppo di casta bassa il massimo della pena aumenta fino a 10 anni di carcere. Il presupposto della legge è che ogni conversione religiosa avvenga senza consenso, e che le donne di casta inferiore siano particolarmente incapaci di decidere per sé”.
E’ evidente l’islamofobia che sottende questa scelta legislativa, e che inizia già ad esplicare il suo meccanismo repressivo attraverso l’arresto di numerosi uomini musulmani considerati un pericolo per le donne del paese. Come se ciò non fosse già abbastanza preoccupante, qualsiasi parente della donna può rivolgersi alla polizia se ritiene ci sia anche il più insignificante sospetto, e per tale motivo gli uomini musulmani spesso si fingono indù.
Anche
lo stato centrale del Madhya Pradesh non è esente dai meccanismi di
esclusione che sagomano spietatamente la vita delle persone, su tutte
le donne e i musulmani. Secondo stato più grande per area e quinto
per popolazione, con oltre 72 milioni di residenti, qui il BJP
risulta essere il partito di maggioranza, ed il governatore Anandibel
Patel ha di recente approvato una delle legge anti-conversioni in
linea di continuità con le policy adottate
anche da altri stati in materia, avallando quelle pratiche di
emarginazione religiosa che l’India
supporta ormai da anni…A conti fatti, con l’approvazione
di suddette leggi, lo Stato si sostituisce con prepotenza alla
libertà del singolo dettando divieti che
minano profondamente il pluralismo religioso sancito
costituzionalmente ed esacerbando i problemi del paese sul fronte
interno.
Come conseguenza di ciò,
molte coppie decidono di lasciare gli stati in cui le leggi sono
vigenti per spostarsi in posti considerati più sicuri, come Delhi,
ove i matrimoni inter-religiosi riescono ad essere facilitati…Un
aspetto da considerare positivo o, almeno in linea teorica
rassicurante, è la recentissima decisione adottata dalla Corte
Suprema indiana, che ha respinto le leggi contro le conversioni
religiose dichiarandole incostituzionali. I cittadini indiani
ripongono speranza nella effettiva forza ed autorevolezza della
sentenza della Corte, auspicando in un cambio di marcia da parte dei
singoli stati che allo stato attuale si pongono di fatto come
contravventori di una serie di garanzie costituzionali inviolabili.
Maria Dalila Di Bartolomeo -
30 Aprile 2021