mercoledì 29 settembre 2021

Il paradosso del lavoro

 

C'è fame di lavoro, ma c'è anche fame di lavoratori. I due fenomeni, invece di compensarsi innescando un processo virtuoso, sembrano svilupparsi in parallelo, dando luogo al paradosso di un tasso di disoccupazione elevato e di decine di migliaia di posti di lavoro che rimangono vacanti. Stando all'ultima rilevazione Unioncamere-Anpal, le imprese in tutti i settori, e in particolare nei servizi, sono pronte a sottoscrivere quasi un milione e mezzo di contratti ma spesso non riescono a trovare le specializzazioni richieste. Per il mese di settembre, come emerge dall'ultimo Bollettino del Sistema informativo Excelsior, le imprese avevano in programma di assumere 526 mila lavoratori, circa 91 mila in più (+20,9%) rispetto allo stesso periodo del 2019, che diventano 1,5 milioni nel trimestre. Ma dichiarano di faticare a trovare la figura giusta per il 36,4% delle figure ricercate. Mancano soprattutto fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori carpenteria metallica, fabbri ferrai, costruttori di utensili e assimilati, artigiani e operai specializzati del tessile e dell'abbigliamento, mentre è facile trovare addetti alle pulizie o impiegati con mansioni di segreteria. E non si trova un ingegnere su due, con percentuali analoghe per le professioni medico-sanitarie. Se per queste ultime può essere, in parte, la conseguenza dei numeri chiusi che, almeno per le lauree in medicina, non hanno tenuto conto dell'invecchiamento della popolazione dei medici e delle richieste di pensionamento anticipato, per le altre qualifiche e professioni il gap tra domanda e offerta è l'esito di fenomeni più complessi.

C'entra sicuramente il progressivo allontanamento dalle professioni manuali, da parte delle generazioni più giovani, non solo per un legittimo rifiuto di intraprendere una vita lavorativa fisicamente pesante, ma anche a causa del basso livello di riconoscimento sociale e di condizioni di lavoro che non sempre garantiscono la sicurezza, come testimoniano i quotidiani incidenti, spesso mortali. C'entra un sistema formativo che propone il lavoro manuale, anche specializzato, come di seconda scelta e destinato vuoi agli "zucconi", vuoi a chi, di famiglia economicamente modesta, è destinato ad andare a lavorare presto, a prescindere da abilità e desideri. Conta anche una scarsa collaborazione tra scuola e imprese, con queste ultime che si aspettano di ricevere lavoratori già formati, senza metterci del loro già nel periodo formativo. Gli esempi al contrario, che pure esistono, mostrano quanto questa collaborazione possa essere feconda per entrambe, e soprattutto per gli studenti.

Infine, contano livelli salariali troppo bassi e percorsi di stabilizzazione lunghi e accidentati. Una questione che non riguarda solo i lavoratori manuali specializzati, ma anche gli ingegneri e che espone a confronti non lusinghieri con Paesi vicini, luoghi di attrazione per i nostri giovani proprio con le specializzazioni di cui le imprese italiane lamentano la mancanza. Ne sono un'indiretta conferma i dati dell'ultima nota trimestrale Istat, ministero, Inps, Inail e Anpal: se è vero che è in atto una forte ripresa sia congiunturale che tendenziale delle occupazioni dipendenti rispetto al 2020, si tratta in maggioranza di posizioni a tempo determinato. Tra queste, Il 35,1% ha una durata prevista fino a 30 giorni, il 37,3% da due a sei mesi, e solo lo 0,6% supera un anno, una situazione simile a quella pre-pandemica.

Non conta invece per nulla, per le difficoltà che incontrano le imprese a trovare le figure di cui avrebbero bisogno, l'esistenza del Reddito di cittadinanza, come vorrebbe una certa vulgata. La stragrande maggioranza dei percettori di Rdc in età da lavoro, infatti, ha qualifiche professionali bassissime o nulle. Anche per questo, come segnalato nell'ultimo rapporto annuale Inps, o non ha avuto alcuna esperienza lavorativa nel mercato del lavoro formale negli ultimi anni o, se la ha avuta o la ha (solo un terzo dei beneficiari), si tratta di occupazioni poco qualificate e temporanee. Per diventare occupabili, o migliorare la loro condizione e aspirare a un salario che consenta di non aver più bisogno del Rdc, devono non solo incontrare una domanda di lavoro non sfruttatoria, che approfitta della debolezza per imporre remunerazioni e condizioni al di sotto della decenza. Hanno anche bisogno di essere inseriti in percorsi formativi che rafforzino le competenze di base e forniscano almeno un minimo di qualificazione.

 

Chiara Saraceno, La Repubblica 21settembre