Commento alla lettura biblica - domenica 3 febbraio 2008
Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinavano i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
“Beati i poveri di spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo,
diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi” (Matteo 5, 1-12).
Tra tutte le pagine dei Vangeli, il brano delle beatitudini di Luca e Matteo, con le loro somiglianze e con le loro diversità, è tra i più noti. Lo sappiamo a memoria, ma non è detto che il suo messaggio sia penetrato nei nostri cuori.
E’ innegabile che questa ridda di “beati-felici”, con ciò che segue, ci mette un po’ tutti a disagio.
Una storiella raccontata ai bambini per farli crescere positivi ed ottimisti? Uno di quei “manifesti” pubblicitari che dipingono paesaggi tanto luminosi e perfetti quanto impossibili?
Metafore, immagini, linguaggi “colorati” per farci sopravvivere nelle bassure dell’esistenza quotidiana? Dove noi vediamo nei nostri contesti piuttosto grigi, desolati, incolori e privi di prospettive tutta questa esplosione di felicità?
Non sarà poi una “proclamazione” che crea in noi un’illusione che mette le basi per una fede tutta orientata a guardare talmente lontano da farci “saltare” la terra, cioè la vita quotidiana?
Credo che fare i conti con queste domande scomode ed inquietanti sia tanto onesto quanto inevitabile.
Intanto … a nessuno di noi può sfuggire il fatto che non si leggono queste righe senza avvertire un subbuglio del cuore, senza avvertire che in esse c’è uno strano, calamitante fascino…
Tanto più che Matteo e Luca, che pure non disponevano di un moderno registratore, ne fanno risalire il nucleo a Gesù e tutto ci lascia intendere che esse raccolgano e condensino effettivamente alcune “perle” dell’insegnamento del Nazareno.
C’è di più: dopo tante ricerche sul Gesù storico sembra di poter dire che le beatitudini sono, certo, l’insegnamento centrale del profeta di Nazareth, ma ancor prima costituiscono l’ossatura della sua vita, la rilettura che i discepoli fanno dei comportamenti, della prassi e della speranza di Gesù.
Infatti Gesù è un maestro che, prima di insegnare, vive. Il suo primo insegnamento è la sua stessa vita e i discepoli colsero il senso più profondo del suo messaggio a partire dalla sua esistenza quotidiana.
In Matteo le beatitudini sono, come scrive il teologo Douglas Hare, il “discorso inaugurale per i discepoli”, ma non meno esse sono lo specchio che riflette le scelte di vita di Gesù.
Il “manifesto" del regno di Dio
La parola greca sembra ribellarsi ad ogni traduzione con un solo vocabolo: “Beati, felici, fortunati, benedetti …”.
Forse questo “macarioi” è intraducibile con un solo termine. Resta però chiaro che l’evangelo proclama che il sentiero dei deboli, dei poveri, dei miti, dei fautori di pace, dei perseguitati, dei puri di cuore … è la via maestra del regno, ma è anche la via più sicura per dare senso alla propria vita, la via che ci regala la “felicità-beatitudine” profonda.
Senonchè proprio qui sta la sfida: come si può credere che questa strada generi felicità mentre tutte le voci e le proposte vincenti della nostra cultura mercantile dicono esattamente l’opposto?
Ogni giorno sentiamo, da mane a sera, una canzone diversa: è felice chi è ricco, chi è vincente, chi la fa franca, chi si appoggia ai potenti, chi fa bella figura, chi se ne sbatte degli altri, chi pensa solo al proprio granaio…
Qui sta il salto nel buio dove ci possono dare luce solo la parola di Gesù e la parola dei profeti. Prendere o lasciare…
Se guardo la mia piccola vita, devo riconoscere che poche volte mi sono addentrato decisamente e concretamente in questa strada delle beatitudini evangeliche.
Ma, quando ho mosso qualche passo reale in quella direzione, ho constatato che la promessa di Gesù è stata vera per me: ho provato quella gioia profonda che chiamo felicità.
Se ancora oggi leggo con speranza questa pagina evangelica e cerco di deporla nel mio cuore è perché ho fiducia che essa possa smuovere la mia vita.
Come cambierebbero le nostre comunità, come sarebbe diversa la vita della nostra chiesa se le beatitudini diventassero la “magna charta”, il programma, il progetto.
Ma devo cominciare dalla mia vita; devo ridire al mio cuore dove sta di casa la felicità perché anch’io troppe volte la cerco altrove.
Ecco perché leggiamo con assiduità e passione la Bibbia: per trovare lungo i sentieri del quotidiano, tra smarrimenti, nebbie e confusione, alcuni cartelli indicatori che ci aiutino a riprendere la strada, sapendo che Dio ci aspetta con pazienza e sollecita con amore una nostra risposta.
E come pensare un mondo “altro”se non operando questo capovolgimento che il Vangelo ci propone? Vorrei, o Dio, non farTi aspettare troppo.
Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinavano i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
“Beati i poveri di spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo,
diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi” (Matteo 5, 1-12).
Tra tutte le pagine dei Vangeli, il brano delle beatitudini di Luca e Matteo, con le loro somiglianze e con le loro diversità, è tra i più noti. Lo sappiamo a memoria, ma non è detto che il suo messaggio sia penetrato nei nostri cuori.
E’ innegabile che questa ridda di “beati-felici”, con ciò che segue, ci mette un po’ tutti a disagio.
Una storiella raccontata ai bambini per farli crescere positivi ed ottimisti? Uno di quei “manifesti” pubblicitari che dipingono paesaggi tanto luminosi e perfetti quanto impossibili?
Metafore, immagini, linguaggi “colorati” per farci sopravvivere nelle bassure dell’esistenza quotidiana? Dove noi vediamo nei nostri contesti piuttosto grigi, desolati, incolori e privi di prospettive tutta questa esplosione di felicità?
Non sarà poi una “proclamazione” che crea in noi un’illusione che mette le basi per una fede tutta orientata a guardare talmente lontano da farci “saltare” la terra, cioè la vita quotidiana?
Credo che fare i conti con queste domande scomode ed inquietanti sia tanto onesto quanto inevitabile.
Intanto … a nessuno di noi può sfuggire il fatto che non si leggono queste righe senza avvertire un subbuglio del cuore, senza avvertire che in esse c’è uno strano, calamitante fascino…
Tanto più che Matteo e Luca, che pure non disponevano di un moderno registratore, ne fanno risalire il nucleo a Gesù e tutto ci lascia intendere che esse raccolgano e condensino effettivamente alcune “perle” dell’insegnamento del Nazareno.
C’è di più: dopo tante ricerche sul Gesù storico sembra di poter dire che le beatitudini sono, certo, l’insegnamento centrale del profeta di Nazareth, ma ancor prima costituiscono l’ossatura della sua vita, la rilettura che i discepoli fanno dei comportamenti, della prassi e della speranza di Gesù.
Infatti Gesù è un maestro che, prima di insegnare, vive. Il suo primo insegnamento è la sua stessa vita e i discepoli colsero il senso più profondo del suo messaggio a partire dalla sua esistenza quotidiana.
In Matteo le beatitudini sono, come scrive il teologo Douglas Hare, il “discorso inaugurale per i discepoli”, ma non meno esse sono lo specchio che riflette le scelte di vita di Gesù.
Il “manifesto" del regno di Dio
La parola greca sembra ribellarsi ad ogni traduzione con un solo vocabolo: “Beati, felici, fortunati, benedetti …”.
Forse questo “macarioi” è intraducibile con un solo termine. Resta però chiaro che l’evangelo proclama che il sentiero dei deboli, dei poveri, dei miti, dei fautori di pace, dei perseguitati, dei puri di cuore … è la via maestra del regno, ma è anche la via più sicura per dare senso alla propria vita, la via che ci regala la “felicità-beatitudine” profonda.
Senonchè proprio qui sta la sfida: come si può credere che questa strada generi felicità mentre tutte le voci e le proposte vincenti della nostra cultura mercantile dicono esattamente l’opposto?
Ogni giorno sentiamo, da mane a sera, una canzone diversa: è felice chi è ricco, chi è vincente, chi la fa franca, chi si appoggia ai potenti, chi fa bella figura, chi se ne sbatte degli altri, chi pensa solo al proprio granaio…
Qui sta il salto nel buio dove ci possono dare luce solo la parola di Gesù e la parola dei profeti. Prendere o lasciare…
Se guardo la mia piccola vita, devo riconoscere che poche volte mi sono addentrato decisamente e concretamente in questa strada delle beatitudini evangeliche.
Ma, quando ho mosso qualche passo reale in quella direzione, ho constatato che la promessa di Gesù è stata vera per me: ho provato quella gioia profonda che chiamo felicità.
Se ancora oggi leggo con speranza questa pagina evangelica e cerco di deporla nel mio cuore è perché ho fiducia che essa possa smuovere la mia vita.
Come cambierebbero le nostre comunità, come sarebbe diversa la vita della nostra chiesa se le beatitudini diventassero la “magna charta”, il programma, il progetto.
Ma devo cominciare dalla mia vita; devo ridire al mio cuore dove sta di casa la felicità perché anch’io troppe volte la cerco altrove.
Ecco perché leggiamo con assiduità e passione la Bibbia: per trovare lungo i sentieri del quotidiano, tra smarrimenti, nebbie e confusione, alcuni cartelli indicatori che ci aiutino a riprendere la strada, sapendo che Dio ci aspetta con pazienza e sollecita con amore una nostra risposta.
E come pensare un mondo “altro”se non operando questo capovolgimento che il Vangelo ci propone? Vorrei, o Dio, non farTi aspettare troppo.
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