martedì 20 giugno 2006

Un catechismo problematico

Ricorre il 28 giugno il primo anniversario della promulgazione del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (Editrice San Paolo – Libreria Editrice Vaticana, pagg. 206, € 9,50).
Fu Giovanni Paolo II a promulgare il grande catechismo nel 1992 approvando il testo che, sotto la direzione dell’allora cardinale Ratzinger, era stato elaborato in quasi dieci anni da un gruppo di cardinali e vescovi. Nel febbraio 2003 papa Wojtila dispose che, ancora sotto la direzione del cardinale Ratzinger, venisse redatto un Compendio che favorisse la divulgazione fedele del testo più esteso.

Possiamo quindi constatare che tanto il Catechismo quanto il Compendio rispecchiano il pensiero teologico del loro principale Autore. Papa Benedetto XVI il 28 giugno 2005 ha promulgato il predetto Compendio con queste parole: “Il Compendio, che ora presento alla Chiesa universale, è una sintesi fedele e sicura del Catechismo della Chiesa Cattolica. Esso contiene, in modo conciso, tutti gli elementi essenziali e fondamentali della fede della Chiesa, così da costituire, come era stato auspicato dal mio Predecessore, una sorta di vademecum, che consenta alle persone, credenti e non, di abbracciare, in uno sguardo d’insieme, l’intero panorama della fede cattolica. Rispecchia fedelmente nella struttura, nei contenuti e nel linguaggio il Catechismo della Chiesa Cattolica, che troverà in questa sintesi un aiuto e uno stimolo per essere maggiormente conosciuto ed approfondito”. Dunque, una stessa mano ha guidato la stesura e la redazione di questo testo di cui, in verità, nessuno sembra essersi accorto.

Domanda e risposta

Lo “scontro con la modernità” e con l’utilizzo dei metodi storici e critici, a mio avviso, risulta evidente appena ci si accosta al testo.

Nel metodo e nel contenuto questo compendio non seppellisce forse molte delle acquisizioni delle scienze bibliche e delle ricerche teologiche e non volta decisamente pagina rispetto al clima del Concilio Vaticano II? Leggendo questo veloce ed incalzante “botta e risposta” non si avverte un ritorno al catechismo di Pio X, scritto contro il modernismo, e ancor più non ci si trova immersi nella costruzione dottrinaria di un mondo tramontato e di un immaginario estraneo alla realtà? Tutto è chiaro, perentorio, impermeabile al dubbio. Dio stesso sembra fotografato in alcune di queste pagine.

Ma c’è un aspetto più drammatico e troppo poco considerato. Nella predicazione, nelle riviste e nei bollettini questo compendio verrà, con la sua chiarezza e perentorietà, a sostituire quel minimo di studio esegetico ed ermeneutico che alcuni preti e operatori pastorali coltivavano. Un prontuario di risposte, pronte all’uso, è una brutta tentazione. Così si dà il colpo di grazia alla ricerca e si predicano pillole dogmatiche pronte all’uso. Le conseguenze, a mio avviso, sono terribili: la propaganda offusca il vangelo, la dottrina cancella il messaggio, lo spazio preso dalla chiesa è tolto a Dio, Gesù è citato di passaggio tra un dogma e l’altro, tra una verità di fede e una devozione mentre la gerarchia sostituisce la comunità.

Con questo catechismo la sartoria vaticana veste Dio di panni cattolici, anzi tridentini. E’ un’operazione che noi cristiani abbiamo più volte compiuto nei secoli. Alla tentazione di “imbracare” Dio, di dipingerlo con i colori della nostra bandiera e di “imbarcarlo” nelle nostre imprese e nelle nostre scorrerie, spesso non sappiamo resistere.

Parecchi leaders politici, proprio quando progettano e realizzano infami nefandezze, come la illegittima ed immorale guerra di occupazione e di devastazione dell’Iraq, parlano e straparlano di un Dio di cui si proclamano “difensori”. A questi “signori” dobbiamo dire: “Giù le mani da Dio, potenti della terra!”. Ma quando una autorità religiosa descrive la realtà di Dio e i “percorsi” della Sua salvezza, come se avesse tra le mani una mappa o una fotografia, non mette forse anch’essa le mani su Dio?

Teologia dell’opinabile

Sono pieno di rispetto per le persone che credono nell’esistenza del diavolo, che ricorrono agli esorcismi, che si affidano all’angelo custode, che “fanno dire messe” di suffragio per i loro defunti, che credono nelle indulgenze, nella verginità di Maria, nell’infallibilità del papa, nella intercessione dei santi. Ma il nucleo della nostra fede è altrove. Posso prendere congedo da queste credenze senza per nulla compromettere la mia esperienza di fede. Possiamo vivere nella stessa chiesa in vera comunione di fede senza dover necessariamente ritrovarci in queste dottrine ecclesiastiche.

Così pure, lasciando a Dante la poetica libertà di descrivere il paradiso, l’inferno e il purgatorio, forse un po’ di sapienza e di umiltà evangelica avrebbe risparmiato agli estensori del compendio la presuntuosa descrizione “della cartina dell’aldilà”, con tutte le ulteriori specificazioni (chi entra, chi resta fuori, come si accede...).

Insomma, mentre la “teologia dell’opinabile” scompare totalmente, si espande a dismisura lo spazio delle granitiche certezze anche sul piano morale: “Fedele al Signore, la chiesa non può riconoscere come matrimonio l’unione dei divorziati risposati civilmente... Verso di loro la Chiesa attua un’attenta sollecitudine, invitandoli ad una vita di fede, alla preghiera, alle opere di carità e all’educazione cristiana dei figli. Ma essi non possono ricevere l’assoluzione sacramentale, né accedere alla Comunione eucaristica, né esercitare certe responsabilità ecclesiali, finché perdura tale situazione, che oggettivamente contrasta con la legge di Dio” (n. 349).

Siccome poi può “ricevere validamente il ministero presbiterale soltanto il battezzato di sesso maschile” (n. 333), anche le donne sono servite!
Una simile teologia non è disumana?

Dov’è il futuro?

Quando poi si parla della chiesa (il pezzo forte del catechismo) e delle prerogative della gerarchia, diventa tutto di origine divina, tutto è stato voluto e precisato dal suo “divin fondatore”. L’idea che Gesù abbia dato vita ad una sua particolare comunità, separata da Israele, è oggi destituita di ogni credibilità presso gli studiosi. Affermare che Gesù abbia fondato, nella previsione di un lungo futuro, una chiesa con ben precise strutture, con un determinato numero di sacramenti... travisa la storia. Piuttosto “ci si deve chiedere e si deve tentare di descrivere come dalla comunità dei discepoli di Gesù sia nata la chiesa” (K.H. Schelkle).

Affermare che un determinato assetto istituzionale e strutturale discenda direttamente dalla volontà “costituente e fondatrice” di Gesù di Nazareth e presentarlo conseguentemente come volontà di Dio, significa mettere tra parentesi tutto un cammino storico e falsare la realtà. Finché non si liberano le forme istituzionali e le strutture della chiesa dalla presunzione di risalire ad un atto costitutivo di Gesù, esse rimarranno avvolte in un’aureola di sacralità e nel tabù della intangibilità.

Anche su questo terreno il Compendio è tutto rivolto al passato (non alle origini!) e lo ha imbalsamato. Non c’è in nessuna pagina di questo catechismo la minima eco del travaglio della modernità, dei sentieri impervi e promettenti delle teologie della liberazione e delle teologie femministe. I risultati di secoli di ricerche cristologiche sono semplicemente nascosti dalla meticolosa ripetizione di formule. Una teologia tutta aggrappata al passato, tutta arroccata nella difesa dei suoi dogmi, come può accompagnare fiduciosamente la comunità credente verso il futuro? Ho ritrovato qui, statuariamente immobili, quei trattati di teologia con i quali mi incontrai esattamente cinquat’anni fa. Questa non è la teologia “perennis”, ma una mummificazione dottrinaria.

Conforta il fatto che molti credenti puntano sul vangelo e guardano oltre la chiesa dei diktat e delle verità infallibili. Forse, nel tentativo di “proteggere la verità”, si è creata una prigione dogmatica. Ma la fede cristiana è troppo bella e audace per intisichire in una prigione, in un mausoleo o in un palazzo. L’eccesso di luminosità accieca e un po’ di penombra fa bene alla vista e alla vita di noi comuni mortali.

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