Da molti anni ho eliminato dalla mia vita i regali natalizi, sia perché non sovrabbondo di euro, sia perché preferisco slegare un dono da una scadenza che rischia di renderlo rituale e obbligatorio.
Ognuno di noi, su questi terreni, compie le scelte che ritiene più convenienti. Comunque, in aperta contraddizione con me stesso, mi permetto di suggerire a genitori, educatori, insegnanti, medici, terapeuti, sacerdoti e pastori, un bel regalo di Natale.
Si tratta ancora una volta di un libro. Raffaello Cortina Editore ha immesso da pochi mesi nel circuito librario il volume Gay e lesbiche in psicoterapia (Milano 2006, pagg. 352, € 29), a cura di Paolo Rigliano e Margherita Graglia.
I due studiosi, noti in tutto il mondo della ricerca per le loro competenze sul terreno della psicologia, della psicoterapia e della psichiatria, hanno colmato un vuoto.
Mentre le persone gay e lesbiche si sono rese sempre più visibili e vengono allo scoperto, “gli psicoterapeuti e gli psichiatri sono rimasti in silenzio e al buio e sono come ammutoliti. La riflessione teorica e clinica è misera e il confronto pubblico assente” (pag. IX).
Nella loro introduzione al volume, Rigliano e Graglia si domandano se sia proprio vero che gli psicoterapeuti, abilitati o almeno abituati da una lunga storia di potere a stabilire cosa fossero gli omosessuali, ad indicarne le più intime perversioni e a snidarne le cause morbose, si siano ritirati nell’ombra di un meditativo silenzio.
Con un linguaggio piuttosto tagliente e inconsueto, gli autori parlano di molti “rapporti terapeutici” diventati vera e propria persecuzione.
“Questo libro si rivolge espressamente a tutti gli psicologi, gli psichiatri e gli psicoterapeuti, di ogni scuola e indirizzo, che operano all’interno dei setting e delle istituzioni più diverse. Sono loro, infatti, ad avere un enorme potere di condizionamento e, dunque, un’enorme responsabilità. Come la storia ha dimostrato, troppo spesso sono rimasti acriticamente supini di fronte ai luoghi comuni, ai pregiudizi e all’oppressione sociale. O sono stati promotori di persecuzione” (Ivi, pag. X).
Tutto il volume, nella sua stringatezza e nel suo rigore, nella sobria valorizzazione dei dati acquisiti e nella lucida formulazione delle ipotesi, coinvolge il lettore e la lettrice in un confronto serrato anche con la propria personale cultura, con gli atteggiamenti profondi, le emozioni spesso non riconosciute.
Ma ci sono pagine che mi hanno ricondotto ad una esperienza per me assai ricorrente. Quante volte incontro genitori che, sgomenti, mi parlano con angoscia del loro figlio/a omosessuale, che mi chiedono di convincere il figlio a “farsi curare”, come se dall’omosessualità si dovesse e si potesse guarire….
E spesso, vittime dell’ideologia eterosessuale dominante, gli stessi omosessuali vivono una omofobia interiorizzata: “Gli omosessuali sono talmente indotti da sempre a considerarsi malati che a volte capita che si percepiscano come tali: in ciò consiste la nostra vera malattia, l’illusione di malattia che può anche arrivare a farci ammalare veramente” (Mieli, citato a pag. 52).
Ma il lettore potrà spaziare e documentarsi su tematiche di estremo interesse. Penso alle lunghe e documentatissime pagine (143 – 208) sulle “terapie riparative tra presunzioni curative e persecuzione”, in cui Paolo Rigliano descrive i cardini ideologici e le pratiche terapeutiche che si prefiggono di bloccare la liberata autocoscienza delle persone omosessuali “vestendo con nuovi abiti i vecchi pregiudizi” (pag. 145).
I terapeuti “riparatori” mirano a convertire gli omosessuali alla sana eterosessualità spacciando per scienza tutti i pregiudizi oppressivi sacralizzati da una lettura fondamentalista della Bibbia. Va da sé che simili pratiche hanno purtroppo la ampia benedizione del magistero cattolico.
Ma “è violenza obbligare l’altro a far propri sogni non suoi, a far propria una forma di vita che non gli appartiene e che lo nega radicalmente in ciò che ha di più inalienabile e personale: la libertà di costruire un legame d’amore con chi gli corrisponde” (dalla introduzione).
Nicolosi è in Italia l’Autore che ha promosso da anni le terapie riparative. Per lui l’omosessualità deriva da un difetto di identificazione sessuale. “Essere uomo ed essere donna può e deve significare solo essere eterosessuale. Essere omosessuale significa voler negare la propria intera identità… Ecco perché l’omosessuale deve venire descritto sempre come sofferente, patologico, fallito” (pag. 168). Curare in assenza di malattia non sembra né una allegra prospettiva né un’ onesta terapia.
Nel libro trova posto anche una riflessione sulle persone transessuali che fornisce al lettore imprescindibili informazioni di base. Si tratta di un argomento negletto come pochi altri.
In realtà “Uomini che si sentono donne e donne che si sentono uomini, vogliono vivere ed essere riconosciuti come appartenenti al sesso opposto, costituiscono un fenomeno sempre più diffuso nella nostra epoca. Sono tali le persone che vengono generalmente raggruppate sotto il nome di transessuale” (pag. 281).
Basterà scorrere il titolo dei capitoli per trovare la voglia di leggere questo libro dalla prima all’ultima pagina. A Natale, dunque, potrebbe anche andar bene… un libro in più e un panettone in meno.
Su questi argomenti c’è un livello di colesterolo negativo che circola nella società, nelle chiese e nelle relazioni che esige qualche serio intervento. Si potrebbe, appunto, cominciare da questa buona e impegnativa lettura.
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