martedì 27 febbraio 2007

VERGOGNARSI DI GESU’

Della quaresima, in questa società postcristiana, non si accorge più nessuno o quasi.

L’itinerario della riflessione biblica che la liturgia di domenica 4 marzo presenta, è aperto da una espressione tanto scultorea quanto pungente.

Il versetto 26 del capitolo 9 di Luca ci è noto: “Chi si sarà vergognato di me e delle mie parole, di costui si vergognerà il figlio dell’uomo, quando verrà nella sua gloria e in quella del Padre e degli angeli santi”. Il testo, con poche varianti, si trova anche nel Vangelo di Marco (8, 38).

Questo versetto mi tocca davvero il cuore. E vi dico il perché. Tra le parole potenti della scienza, della cultura, della politica, le parole di Gesù e tutta la sua esistenza, occupano sempre di più un posto marginale, per nulla altisonante, impotente.

La fede e le parole della fede, di fronte alla grandezza delle nostre città, dell’infinità dei nostri cieli, alle meraviglie della tecnica, alla forza di penetrazione dei mezzi di comunicazione moderni sono davvero un granello di povere.

E in una società dove la produzione conta più di tutto, non è paradossale “perdere tempo” a pregare, a leggere la Bibbia, a celebrare l’eucarestia? La fede è sempre di più questo paradosso.

Lo era già ai tempi dei profeti e ai tempi di Gesù, il mite rabbi della Palestina che inviò i sui discepoli “come agnelli in mezzo ai lupi, senza borsa, senza sacco, senza sandali” (Luca 10).

Il mio amico don Severino Piovanelli, che è parroco a Ivrea, ha scritto un bel libro intitolato “Un Dio scalzo”. Ha ragione: il messaggio di Dio e la Sua voce sono udibili appena nel sibilo del vento, in un soffio leggere (1 Re 17), nel chiasso delle cose, tra il rombo dei motori.

A volte sono turbato e vorrei poter “dimostrare” a me stesso e agli altri, portare le prove documentarie di questa bella fede liberatrice.

Invece, devo accettare quello che dice Paolo ai Corinzi scrivendo testualmente (1 Cor. 1, 2) circa la “debolezza di Dio” (to astenès tou teoŭ) e la “stoltezza” del Suo messaggio. Non è facile.

Ma non è stata questa povertà, questa “piccolezza” di Gesù che ci ha manifestato il volto e la presenza del Dio liberatore?

Nel turbine incessante e nel fascino seduttivo delle cose grandi, o Dio, continuerò a custodire nel mio cure “il granello di senape” e cercare di testimoniare che Tu sei il Dio nascosto, ma non assente.

Continuerò ad attingere l’acqua che disseta ai pozzi della Bibbia perché il mio cuore non inaridisca. Continuerò a tuffarmi tra le Tue braccia perché sei l’oceano che tutti/e accoglie.

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