giovedì 22 marzo 2007

NON ACCETTARE LA PROVOCAZIONE

Credo che l’acuirsi del dibattito sui DI.CO rappresenti per molti credenti gay e lesbiche un passo verso la loro età adulta anche sul piano della fede.

E’ decisamente importante riuscire a costruire una coscienza liberata, a rompere le catene della prigione ideologica che fa dipendere la legittimità della proprio esperienza cristiana dal riconoscimento degli “ufficiali vaticani”.

Essere se stessi senza chiedere permesso, senza invocare approvazioni o benedizioni significa cambiare la qualità della nostra appartenenza alla chiesa, intesa come insieme dei fratelli e delle sorelle che si mettono in viaggio nella direzione indicataci da Gesù.

Quando avviene questa svolta psicologica e teologica si diventa tranquillamente indifferenti alle “mazzate”, alle condanne vaticane. Non nel senso che si rifiuta il dialogo, ma nel senso che cessa la dipendenza da una istanza burocratica esteriore al cammino di fede e si impara a “lasciarli dire e fare”.

Dare troppa importanza ai pronunciamenti dei gerarchi cattolici genera una reazione che evidenzia una certa dose di dipendenza. Dipendere dall’approvazione delle gerarchie è la vera rovina della chiesa cattolica.

E’ decisivo, invece, sapere che nessun pregiudizio può oscurare il sorriso di Dio sulla propria vita.

Questo “rilassamento” e questa pace ci regalano coraggio e gioia. Personalmente non penso più da moltissimi anni che la mia fede, la mia appartenenza alla chiesa e il mio ministero siano legate ad un riconoscimento ufficiale dei gestori della struttura ecclesiastica.

Mi interessano il vangelo e la liberazione delle persone. Il resto per ciascuno di noi può diventare superfluo. Solo così ha senso parlare di un “dialogo” dignitoso nella società e nella chiesa.

I gay e lesbiche cristiane talvolta cadono in questa provocazione e stentano a costruire un percorso di fede libera ed adulta.

Ha ragione un sacerdote gay: “Un altro punto che vale la pena di esporre è che, perfettamente in linea con la loro logica, gli ufficiale del vaticano non trattano noi lesbiche e gay come soggetti a cui si può rivolgere la parola… Nei documenti siamo solo un “loro”, oggetti a cui ci si riferisce. Non si tratta solo di mancanza di finezza estetica. Nella concezione ufficiale… le persone come noi, parlando in senso stretto, non sono soggetti ragionevoli che possono avere qualcosa che li riguarda” (J. Alison, in Fede oltre il risentimento, Transeuro/a, Ancona 2007, pagg. 205).

L’omosessuale diventa soggetto degno di ascolto, in questa chiesa ufficiale, solo quando va a confessarsi per riconoscere i suoi “atti intrinsecamente cattivi” e la sua “tendenza oggettivamente disordinata”.

E’ tempo di cambiare musica e di cantare l’unica canzone degna di un figlio e di una figlia di Dio che considerano la propria vita di omosessuali una realtà, un dono da vivere nella gioia e nella responsabilità.

La menzogna più devastante sta proprio nel pregiudizio di chi nega all’omosessuale la sua sana voglia di amare, la sua profonda capacità di amare.

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