giovedì 26 luglio 2007

LIBRI - LIBRI - LIBRI

AA.VV., Dieci parole chiave su Gesù di Nazareth, Cittadella, Assisi 2002, pagg. 448, € 31,50.

Il volume, a cura del teologo spagnolo Juan José Tamayo-Acosta, riporta alcuni studi di teologia della liberazione e di teologia femminista sempre con una marcata attenzione all’orizzonte etico.
Dopo una veloce rilettura delle tappe della ricerca sul Gesù della storia, gli Autori convergono sul fatto che le “formule” rischiano di imprigionare Gesù in una scatoletta dogmatica.

“Credo che oggi siamo in grado di sapere quanto basta per affermare che Gesù fu agli occhi dei suoi contemporanei, come dice lo studioso M. Quesnell, una personalità fuori dal comune, la cui vita fu guidata da una vocazione eccezionale” (pag. 101). “La maggior parte dei titoli attribuiti a Gesù nei vangeli non provengono dal Gesù della storia, ma sono sviluppi cristologici della comunità primitiva” (pag. 102) che non sono scaturiti dal nulla, ma dal tentativo delle origini cristiane di illustrare, con questi linguaggi e con queste metafore, la funzione di Gesù e la sua singolare intimità con Dio. Quando Gesù “ha fatto riferimento a Dio, lo ha fatto come ragione, fondamento e riferimento ultimo della sua prassi” (pag. 199). In ogni caso si tratta di “una intimità con Dio che non è identità” (pag. 202) con Dio.

In seguito, per indicare questa intimità, la tradizione cristiana, assumendo categorie filosofiche greche, parlò di unione ipostatica: “Espressione che acquisisce senso soltanto nei suoi particolari contesti storici, abbastanza estranei alla nostra mentalità contemporanea. Ai nostri giorni, va detto, tale espressione ha perso come minimo tutto il suo carattere di “vangelo” e solleva il problema che oggi rappresenta una delle maggiori zavorre del cristianesimo e dal quale però le nostre chiese non sembrano disposte a prendere le distanze… la ellenizzazione della fede” (pag. 202).

Non meno significative sono le osservazioni del teologo Jon Sobrino: “Il rapporto di Gesù con Dio è stato come quello di una creatura, e si è espresso in maniera specifica e globalizzante: relazione di fiducia, e per questo motivo Dio è “Abba” per Gesù, e relazione di disponibilità, e perciò per lui l’Abba continua ad essere Dio” (pag. 280), quel Dio che il nazareno prega, come ricorda con vivi accenti di umanità la lettera agli Ebrei (5,7). Egli si pone davanti a Dio con umiltà e nell’oscurità: “pur essendo il figlio imparò l’obbedienza” (Ebrei 5,8).

La teologa Anna Maria Tepedino con grande lucidità riassume alcuni passaggi cristologici che hanno segnato vere e proprie svolte. “Il momento decisivo per la patriarcalizzazione della cristologia è il IV secolo. Nel 312 d.C. la conversione dell’imperatore Costantino al cristianesimo segna il passaggio dalla “religio illicita”, perseguitata e minoritaria… alla religione ufficiale dell’Impero romano. La sua ideologia viene legittimata. L’unità imperiale aveva bisogno dell’unità di fede e teologia. Un cristianesimo insediatosi nel cuore del potere politico sul mondo, si integrava a perfezione con l’aspettativa messianica davidica” (pag. 358). “La dottrina cristologica di Cristo come Logos o fondamento del creato si identifica con le basi del sistema sociale vigente. Cristo come Logos di Dio è rivelazione della mente divina, e offre il governo e il quadro del cosmo sociale costituito. Tutto si integra in un’unica e ampia gerarchia dell’essere”, scriveva già Eusebio di Cesarea nel De vita Costantini.

Si instaura una nefasta coerenza tra impero e teologia: “E’ infatti nello stesso modo in cui il Logos di Dio governa il cosmo che l’imperatore romano cristiano, insieme alla chiesa cristiana, governa il mondo politico. I signori governano gli schiavi e gli uomini governano le donne… Le donne, gli schiavi e i barbari erano alogoi, le persone che non hanno parole proprie, senza mente devono essere guidate dai rapprensentanti del Logos divino. Gesù Cristo diventa così il ritratto dell’imperatore. Il Pantocrator (colui che tutto governa) regna su un nuovo ordine sociale, nel quale le donne non hanno alcuna importanza…Cristo diventa il fondatore e il governatore cosmico della gerarchia sociale esistente” (pag. 359).

Lentamente si cercò di “cancellare” quelle cristologie (anche se l’operazione non riuscì mai completamente) che ponevano l’accento sul significato di Gesù più che sulla struttura del suo essere. Sempre di più gli studi biblici evidenziano un dato plurale, cioè la libertà che le comunità primitive si presero di esprimere diverse cristologie.

Le pagine di Jacques Dupuis approfondiscono altri aspetti. “L’intenzione di Gesù consisteva nel rivitalizzare il vero spirito della religione che egli condivideva con il suo popolo… Egli non intendeva il superamento del giudaismo e la sua sostituzione attraverso l’instaurazione di una nuova religione” (pag. 384). “Poiché incentrato sul Regno di Dio, Gesù lo è anche su Dio stesso…: il ‘regnocentrismo’ e il ‘teocentrismo’ coincidono. Il Dio che Gesù chiama ‘Padre’ è il centro del suo messaggio, della sua vita e della sua persona: Gesù non ha parlato primariamente di sé stesso, ma per annunciare Dio e la venuta del Suo regno e per mettersi al Suo servizio. Dio è al centro, non il messaggero!” (pag. 387). Ecco perché “mentre l’uomo Cristo Gesù viene chiamato mediatore, colui che è il nostro salvatore rimane il Dio che sta aldilà del Cristo risorto, come fonte primaria ed ultima della salvezza dell’umanità. Gesù Cristo non sostituisce il Padre… e la sua funzione lo mantiene in un rapporto di totale dipendenza e relazione nei confronti del Padre suo. Non a Cristo risorto, ma a Dio va attribuita una ‘volontà salvifica’ universale nei riguardi dell’umanità intera” (pag. 148).

Ho dato ampio spazio alla segnalazione di questo volume di cristologia per evidenziare come alcune acquisizioni di teologi e teologhe ufficiali (anche se sospettati e invisi al vaticano) ormai impongono di non fermarci alle formulazioni di Nicea e Calcedonia, ossessivamente ribadite dal magistero. Fare di queste formulazioni il criterio di appartenenza alla chiesa significa “non aver capito che il nome di Gesù non è da usare per definire i limiti della sua compagnia, per imporre dei confini alla sua comunità e per restringere le frontiere della sua attività” (C. S. Song). Era già successo ai discepoli, come ci ricorda il Vangelo di Marco (9, 38 – 39).

Dunque un volume che, per nulla rivoluzionario (le pagine di Dupuis sul dialogo con le altre religioni non sono prive di persistenti chiusure), rappresenta però uno stimolo alla ricerca e documenta in parte il cammino degli ultimi duecento anni di riflessione cristologica.

Le ricerche cristologiche degli ultimi due secoli hanno anche il pregio di far uscire Gesù dalla nicchia dogmatica in cui noi l’avevamo rinchiuso e imprigionato. Gesù torna ad essere “il nazareno”, palpitante di vita e di fede, non un essere astrale, perfetto, etereo.

“La prassi di Gesù è progressiva, o meglio, è processuale nel senso che Gesù è ‘un essere in processo’, una persona radicata nella storia, soggetta a sviluppo e cambiamento nel campo della conoscenza e della coscienza. Si trasforma la sua idea di Dio e il suo modo di rapportarsi a Lui: dalla distanza alla vicinanza, dalla maestà alla relazione filiale e intima… Si traforma egualmente la sua relazione con il popolo e con i discepoli. Cambia la sua percezione della realtà. Cambia la posizione sociale: dalla tranquillità casalinga alla tensione sociale, dal posto fisso all’instabilità. Gesù vive momenti di incertezza, è esposto ai dubbi di fede, si sente indeciso, esperimenta l’oscurità della storia” (Juan Josè Tamayo-Acosta, Per questo lo hanno ucciso, Cittadella, Assisi 2000, pag. 108). Questo è il Gesù vivo, la via che conduce a Dio, testimone di un amore storico che non cessa di coinvolgerci.

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