giovedì 26 luglio 2007

NOI NON SIAMO CHIESA?

Ospito volentieri il chiaro e costruttivo intervento del Pastore valdese Giuseppe Platone comparso su Riforma di venerdì 20 luglio.


Noi non siamo chiesa?


Il documento della Congregazione per la dottrina della fede "Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla chiesa" è esploso come una bomba nel crocevia ecumenico.

Le delegazioni che stanno preparandosi per la terza Assemblea ecumenica europea di Sibiu in Romania (4-9 settembre, 1000 delegati cattolici, ortodossi, protestanti), stanno contando le vittime. E c’è chi comincia seriamente a chiedersi, in casa protestante, se valga ancora la pena dialogare con chi non ti prende realmente sul serio come interlocutore.

Prima del Concilio vaticano II i cattolici affermavano che «la Chiesa di Cristo è la chiesa cattolica»; il Concilio aveva operato in qualche modo una timida apertura sostituendo quell’«est» con un «subsistit», quasi a voler dire che se la verità sussiste nella Chiesa cattolica può sussistere anche in altre chiese.

Ma ora, sull’onda lunga della Dominus Jesus di sette anni fa è giunta, con rinnovata lapidaria enfasi, l’interpretazione autentica: la parola «sussiste» riguarda esclusivamente la sola chiesa cattolica!

Quell’«esclusivamente» romano equivale a un dito nell’occhio dello sguardo ecumenico. E nel caso di ombre residue il documento vaticano illumina ulteriormente la scena affermando che le chiese nate dalla Riforma protestante: «non possono secondo la dottrina cattolica essere chiamate “Chiese” in senso proprio». Sono le stesse parole usate dalla Dominus Jesus.

E qui il cerchio si chiude. In realtà non c’è nulla di nuovo sotto il sole, siamo al déjà vu. Chi si era illuso che quell’elemento di pretesa unicità della verità evangelica espresso dalla gerarchia raccolta intorno al papa fosse ormai sbiadito o messo, in qualche modo, da parte rispetto all’avanzare dell’ecumenismo, dovrà seriamente ricredersi.

Il mondo protestante, offeso in qualche modo da questa pretesa romana di essere l’unica vera chiesa di Cristo, ha subito reagito. L’effetto è stato certamente dirompente.

Ma c’è anche chi, in casa cattolica, corre a gettare acqua sul fuoco. Il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani precisa che i protestanti utilizzano il termine «chiesa» dandogli un significato diverso da quello della chiesa cattolica.

Kasper sostiene che la Dichiarazione non costituirebbe un regresso rispetto al progresso ecumenico già raggiunto ma impegna i cristiani a risolvere i compiti ecumenici che stanno ancora davanti. «Queste differenze – dice Kasper – dovrebbero spronarci e non sconvolgerci perché le chiamiamo per nome». Francamente c’è da rimanere allibiti.

Il decano della Facoltà valdese di Teologia Daniele Garrone, intervistato dal Corriere della Sera (11 luglio), offre una chiave di lettura delle bacchettate ratzingeriane. I diktat, il rimettere in riga, il delimitare i confini ecclesiali tradirebbero debolezza e paura da parte del pontefice.

«Se uno comincia a pensare che, in quanto battezzato, è libero e responsabile davanti a Dio, dove va a finire il fatto che la tua coscienza è vincolata dall’interpretazione autentica del magistero?».

Garrone ritiene che il papa non abbia alcun interesse a sviluppare l’ecumenismo con i protestanti: «meglio per lui far ecumenismo con gli ortodossi per saldare il fronte cristiano-tradizionale contro la modernità».

Insomma il vero bersaglio del papa non sono tanto gli ortodossi quanto i protestanti. Saremmo noi, frequentatori di «comunità ecclesiali», artefici del relativismo, con i conti in deficit riguardo agli attributi romani, ammalati di democrazia e modernità, a inquinare l’ecumenismo.

Per il papa occorre ricompattare le fila recuperando all’interno i «lefebvriani» e gli altri tradizionalisti e all’esterno, in un mondo in rapida trasformazione, dire chiaramente che la chiesa di Roma non cambia. Non si riforma. È uguale a se stessa nei secoli.

Amareggiato dal documento vaticano è anche il teologo valdese Paolo Ricca: «Secondo questo testo non c’è altra unità cristiana possibile se non nella chiesa di Roma così com’è strutturata, perché in lei sola “concretamente si trova la Chiesa di Cristo su questa terra”. Il discorso è fin troppo chiaro: è la vecchia dottrina del ritorno all’ovile romano, perché soltanto lì c’è la pienezza di cui tutte le altre chiese, in misura variabile, sono prive».

Secondo Ricca dichiarazioni come queste logorano la volontà di continuare il dialogo. «Come chiese protestanti – aggiunge Ricca – siamo stanchi di sentirci negati per quello che siamo e per cui viviamo: perché noi viviamo per essere Chiesa di Gesù».

Mai come oggi, conclude Ricca, occorre sapere distinguere tra il dialogo ecumenico di base – in parrocchie e monasteri, con sacerdoti e laici – che è fruttuoso, serio e fraterno, e il dialogo con l’istituzione romana che, per così dire, distribuisce «pagelle» di cristianità.

«Il dialogo ecumenico deve continuare malgrado queste difficoltà – sostiene Domenico Maselli, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia – mettendosi ognuno in discussione per cercare di ascoltare la voce di Cristo che per tutti noi è la via, la verità e la vita».

La presidente dell’Unione battista italiana pastora Anna Maffei ha reagito al documento vaticano scrivendo un contro-documento in cui si sottolinea come nessuna istituzione possa pretendere di avere l’esclusiva del termine chiesa.

L’Alleanza evangelica italiana tramite il pastore Mazzeschi ricorda che i conti, in materia di fede, si fanno con Dio, non con il papa e la gerarchia: «nessuna istituzione umana ha l’autorità di dare patenti di ecclesialità ad altre».

Tra le numerose reazione del protestantesimo internazionale colpisce quella di Wolfgang Huber, presidente della Chiesa evangelica tedesca (Ekd), che ha sostenuto come anche alla chiesa cattolica manchino elementi importanti.

Per esempio il rispetto della capacità di giudizio della comunità dei fedeli o l’accesso delle donne al ministero pastorale: «la comprensione reciproca – dice Huber – è possibile solo quando nessuna delle parti in causa rivendica il monopolio della verità».

Prima la messa in latino, poi l’enfasi sull’essere l’unica vera chiesa di Cristo. I fermenti del Concilio vaticano II via via devitalizzati. La Carta ecumenica sostanzialmente al macero. I giusti e gli eretici. L’opera di demolizione di quarant’anni di ecumenismo continua inesorabile. La chiesa infallibile contro le fallibili.

Ma non facciamoci la guerra. Piuttosto disertiamo gli appuntamenti ecumenici istituzionali, non si può continuare a lavorare per la causa dell’unità con chi non ammette reciprocità nel dialogo. È una questione di dignità umana.

Diciamo no all’arroganza religiosa. Diciamo sì alla laicità dello Stato che ci permette di praticare liberamente una fede che sussiste grazie a Dio e non al papa. Insomma: non solo parole di protesta ma uno strappo che apra una crisi che cova da troppo tempo.

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