lunedì 27 agosto 2007

L'EUCARESTIA ESISTENZIALE

Ricevo e volentieri ospito

L'EUCARESTIA ESISTENZIALE
di Antonio Thellung


Io sono un pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno. Viene subito da pensare a una bellissima immagine simbolica, naturalmente, ma Gesù incalza: darò la mia carne per la vita del mondo. A quel punto com'è possibile credergli ? Come può darci da mangiare la sua carne?

Prendere la frase alla lettera può essere il modo più comodo per non prenderla sul serio, per svalutarne il senso. Gesù però non dice parole a caso, così, tanto per dire. Ripete e ripete che è lui il pane di vita, che per vivere bisogna mangiare la sua carne e bere il suo sangue. La sua insistenza lascia intuire un senso concreto, da mettere in pratica nel contesto quotidiano. Le sue sembrano parole di qualcuno che offre materialmente il proprio corpo, come alimento, per dare energia a chi ne ha bisogno. Interpretarle soltanto come invito a istituire un rito, sia pure un sacramento, sembrerebbe riduttivo.

La sua proposta mostra ben altri orizzonti: Gesù spezza il pane per indicarci la sua totale donazione agli altri, invitando ciascuno a fare altrettanto. Il sacramento può essere uno strumento efficace per noi, che siamo distratti, sempre pronti a lasciarci trascinare lontano dalle circostanze. Per questo mangiare il simbolo eucaristico è la via maestra per accogliere lo spirito di Cristo, farlo vivere in noi, trasformarci in lui, offrirci l'un l'altro, diventare alimento reciproco, mangiare la carne, il corpo, il fisico, consumarlo, metabolizzarlo, trasformarlo in soffio vitale. Perché la carne non serve a nulla, dice ancora Gesù, se non come alimento dello spirito.

Ma fermarsi al rituale sarebbe tradire le sue intenzioni, che invitano invece a creare concretamente eucarestia nel quotidiano, a coinvolgersi con fratelli e sorelle per offrire in nutrimento la propria vita, senza bisogno di farsi materialmente masticare, ma con l'atteggiamento benevolo, il gesto gentile, il lavoro comune, il sorriso incoraggiante, la mano tesa. Vi ho dato l'esempio perché come ho fatto io facciate anche voi.

Un'esortazione a trasformare i conflitti in armonia di pace, gli schieramenti in condivisione fraterna, l'individualismo in coinvolgimento da vivere in pienezza, da vivere in quell'ottica divina che non si riesce a percepire senza donarsi agli altri. Ecco l'eucarestia: fate questo in memoria di me ha detto Gesù, ma con la parola questo non ha inteso riferirsi a gesti formali, da istituzionalizzare in rituali e formule.

Il senso è ben altro: fate anche voi questo che io ho fatto: donate concretamente il vostro essere per la vita del mondo, ciascuno come può, secondo i propri talenti. Una eucarestia esistenziale, da celebrare ogni giorno nei rapporti con sorelle e fratelli: ecco la via per scoprire la verità e trovare la vita.

Ma gli ascoltatori di allora (come anche quelli oggi) tendono a ragionare per linee formali, guardando al di fuori di loro. Non capiscono che il discorso vale per ciascuno, o forse non vogliono capirlo, perché si tratta di un atteggiamento troppo impegnativo da accogliere e fare proprio. Meglio considerare Gesù uno stravagante imbonitore che parla di stregonerie non credibili. Come potrebbe fare queste cose? È forse un mago? Meglio lasciarlo perdere! Non capiscono che fare alimento della propria vita è l'unica occasione disponibile per raggiungere la pienezza umana, per vivere la vera vita.

Un alimento che dilata i limiti: amarsi è coinvolgere insieme le proprie vite, e come Gesù, uomo in pienezza, è tutt'uno con Dio e vive la vita divina, così tutti gli esseri umani che accolgono Cristo senza riserve (che accolgono fratelli e sorelle con tutti i loro limiti e difetti) si fanno tutt'uno con lui, vivendo nella pienezza del reciproco amore. Ecco il pane di vita eterna.

Eucarestia esistenziale, quindi, e non il semplice rito, che per quanto rivestito di profondo spirito devozionale rischia di rivelarsi sterile, se resta fine a se stesso. Senza tuttavia negare che il rito, a patto che sia vissuto come richiamo per andare oltre, possa avere funzione importante per risvegliare le energie, per facilitare l'orientamento sulla via di Cristo. Me ne accorgo quando sento l'affanno quotidiano riproporsi con insistenza, con la sua capacità di annacquare le migliori intenzioni.

Per questo, cosciente che il rituale sarebbe inutile se restasse isolato in se stesso, anzi sarebbe addirittura dannoso se non si traducesse concretamente in quell'eucarestia di vita quotidiana fatta di condivisione e servizio attivo ai fratelli, percepisco che la celebrazione rituale, nell'equilibrio complementare d'una medaglia a due facce, mi offre momenti privilegiati di richiamo dalle distrazioni, che sono sempre abilissime a portarmi fuori strada.

Così, come colui che mangia scegliendo pasti sobri e nutrienti, cadenzati secondo il bisogno per ricavarne l'energia necessaria da spendere poi al meglio nel quotidiano, cerco di alimentarmi frequentemente del simbolo eucaristico, perché lo sento strumento particolarmente adatto a ricaricare gli accumulatori di energia spirituale.

Credo che lasciarsi interpellare dal richiamo di Cristo che continua a farsi presente ogni volta che lo vogliamo incontrare, sia un ottimo trampolino di lancio per non stancarsi di celebrare la vita. Attraverso quell'eucarestia esistenziale che si nutre costantemente per farsi nutrimento agli altri.

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