Riporto di seguito una mia intervista rilasciata al blog http://diogneto.splinder.com
D) Cosa significa essere sacerdote oggi?
R) Per me oggi essere prete significa farmi compagno di viaggio delle persone che cercano amore e giustizia seminando nelle vie del mondo, nella chiesa e nei cuori - a partire dal mio - il messaggio e la pratica di vita di Gesù di Nazaret.
Se avessi 25 anni, oggi rifarei la stessa scelta. Il ministero va "inventato" ogni giorno e quindi non ti lascia dormire tranquillo nel senso che è una passione e un impegno, una gioia e una inquietudine crescenti.
D) Quando era sdraiato per terra e venivano cantate le litanie a cosa pensava?
R) Là, steso sul pavimento della cattedrale, pensano poco ma piangevo di gioia e di emozione. In quel momento avevo capito e avevo nel cuore un desiderio solo: diventare un prete appassionato di Dio e dei poveri. La mia concezione culturale, politica e teologica di allora era molto diversa da quella di oggi, ma "il centro" per me è rimasto lo stesso.
Ogni anno ringrazio Dio per quel 29 giugno 1963... Per me aver scelto la strada del ministero è stato semplicemente aver accolto un grande dono di Dio e sono felice, pur con tutti i miei limiti, di vivere questo servizio che dopo 44 anni mi appassiona come il primo giorno.
D) Cosa significa fare comunità oggi?
R) Fare comunità oggi è un "progetto" mai compiuto. Per me significa tentare con altri fratelli e sorelle di superare l'egoismo, l'individualismo esasperato e credere che Dio è sorgente di vita solidale.
Nel fare comunità sulla strada di Gesù ci si trova quasi sempre contro corrente nella chiesa e nella cultura vincente di oggi, ma spesso si fa esperienza di quanto sia tonificante tentare di stare dalla parte dei più deboli, senza nessun transatlantico della verità, con molto semplicità, accogliendo le differenze come una ricchezza e vivendole con convivialità.
Certo, la chiesa cattolica ufficiale spesso non è comunità, ma una struttura emarginante, escludente, espulsiva. Io ci resto, con tanti altri, per allargare gli spazi di accoglienza, di apertura, di dialogo. Non è un'impresa facile, ma vedo tanti cuori che si risvegliano e mettono il vangelo al posto della gerarchia. E allora la speranza si riaccende...
D) Come si può risolvere il problema vocazionale?
R) Il problema vocazionale? In una chiesa-comunità il primo passo sta nel valorizzare tutte le persone, tutti i ministeri. E' ovvio che una chiesa clericale e dirigista, come vogliono nei sacri palazzi vaticani, produce centralizzazione e tutto è nelle mani della gerarchia.
Questo papa, come becchino del Concilio ha soffocato ogni fioritura dei doni di Dio e i laici in stragrande maggioranza sono come mucche che guardano il treno passare. Ora portano nelle nostre diocesi preti tradizionalisti stranieri e così tappano i buchi. Ma la manovra è clericale. Ne hanno a disposizione a migliaia perché farsi prete in India o in Africa spesso rappresenta anche una elevazione sociale.
Sono più che mai convito che il prete resta una figura nodale nella costruzione di una comunità, ma non può né assorbire tutto lo spazio, né può essere mandato alla comunità come un funzionario senza sentire la comunità, né può essere solo maschio se la comunità è fatta di donne e di uomini.
D) Lei crede che un'altra chiesa non è possibile ma necessaria?
R) Io credo, per quanto la cosa non sia né propagandata né appariscente, che una chiesa "altra" (non un'altra chiesa perché c'è ne sono già troppe!) sia già viva, presente e attiva.
E' quella parte della chiesa che lotta contro l'oppressione del mercato, del denaro, dell'apparato, contro le strutture patriarcali e gerarchiche, che ha superato le discriminazioni contro omosessuali, lesbiche, transessuali, che non esclude le seconde nozze, che non caccia Welbi, che accoglie i preti sposati, il ministero delle donne, il testamento biologico e lotta contro i privilegi della chiesa di stato, concordataria... per uno stato laico.
D) Il papa che vorrei…
R) Pensavo che con Woytyla si fosse toccato il fondo e che peggio non potesse esistere. Evidentemente mi sono sbagliato alla grande. Questo "Benedetto" sta superando il peggio di tutti i peggio.
Il mio sogno è che il papa diventi un ente inutile, ma che si realizzi a turno un "servizio " di unità e di dialogo in cui si perdano le caratteristiche ridicole e malsane del "primato romano", cioè l'infallibilità e il potere gerarchico, residui di una concezione assolutistica contraria allo spirito del vangelo.
Ma i cristiani e i cattolici devono cominciare a vivere la loro fede a prescindere dalla gerarchia che canta sempre la stessa canzone. Se poi ce n'è uno che suona una nota diversa, lo bacchettano subito. Insomma è fondamentale passare dalla papolatria all'adorazione di Dio solo, dall'ubbidienza gerarchica all'accoglienza del vangelo.
D) Cosa significa essere sacerdote oggi?
R) Per me oggi essere prete significa farmi compagno di viaggio delle persone che cercano amore e giustizia seminando nelle vie del mondo, nella chiesa e nei cuori - a partire dal mio - il messaggio e la pratica di vita di Gesù di Nazaret.
Se avessi 25 anni, oggi rifarei la stessa scelta. Il ministero va "inventato" ogni giorno e quindi non ti lascia dormire tranquillo nel senso che è una passione e un impegno, una gioia e una inquietudine crescenti.
D) Quando era sdraiato per terra e venivano cantate le litanie a cosa pensava?
R) Là, steso sul pavimento della cattedrale, pensano poco ma piangevo di gioia e di emozione. In quel momento avevo capito e avevo nel cuore un desiderio solo: diventare un prete appassionato di Dio e dei poveri. La mia concezione culturale, politica e teologica di allora era molto diversa da quella di oggi, ma "il centro" per me è rimasto lo stesso.
Ogni anno ringrazio Dio per quel 29 giugno 1963... Per me aver scelto la strada del ministero è stato semplicemente aver accolto un grande dono di Dio e sono felice, pur con tutti i miei limiti, di vivere questo servizio che dopo 44 anni mi appassiona come il primo giorno.
D) Cosa significa fare comunità oggi?
R) Fare comunità oggi è un "progetto" mai compiuto. Per me significa tentare con altri fratelli e sorelle di superare l'egoismo, l'individualismo esasperato e credere che Dio è sorgente di vita solidale.
Nel fare comunità sulla strada di Gesù ci si trova quasi sempre contro corrente nella chiesa e nella cultura vincente di oggi, ma spesso si fa esperienza di quanto sia tonificante tentare di stare dalla parte dei più deboli, senza nessun transatlantico della verità, con molto semplicità, accogliendo le differenze come una ricchezza e vivendole con convivialità.
Certo, la chiesa cattolica ufficiale spesso non è comunità, ma una struttura emarginante, escludente, espulsiva. Io ci resto, con tanti altri, per allargare gli spazi di accoglienza, di apertura, di dialogo. Non è un'impresa facile, ma vedo tanti cuori che si risvegliano e mettono il vangelo al posto della gerarchia. E allora la speranza si riaccende...
D) Come si può risolvere il problema vocazionale?
R) Il problema vocazionale? In una chiesa-comunità il primo passo sta nel valorizzare tutte le persone, tutti i ministeri. E' ovvio che una chiesa clericale e dirigista, come vogliono nei sacri palazzi vaticani, produce centralizzazione e tutto è nelle mani della gerarchia.
Questo papa, come becchino del Concilio ha soffocato ogni fioritura dei doni di Dio e i laici in stragrande maggioranza sono come mucche che guardano il treno passare. Ora portano nelle nostre diocesi preti tradizionalisti stranieri e così tappano i buchi. Ma la manovra è clericale. Ne hanno a disposizione a migliaia perché farsi prete in India o in Africa spesso rappresenta anche una elevazione sociale.
Sono più che mai convito che il prete resta una figura nodale nella costruzione di una comunità, ma non può né assorbire tutto lo spazio, né può essere mandato alla comunità come un funzionario senza sentire la comunità, né può essere solo maschio se la comunità è fatta di donne e di uomini.
D) Lei crede che un'altra chiesa non è possibile ma necessaria?
R) Io credo, per quanto la cosa non sia né propagandata né appariscente, che una chiesa "altra" (non un'altra chiesa perché c'è ne sono già troppe!) sia già viva, presente e attiva.
E' quella parte della chiesa che lotta contro l'oppressione del mercato, del denaro, dell'apparato, contro le strutture patriarcali e gerarchiche, che ha superato le discriminazioni contro omosessuali, lesbiche, transessuali, che non esclude le seconde nozze, che non caccia Welbi, che accoglie i preti sposati, il ministero delle donne, il testamento biologico e lotta contro i privilegi della chiesa di stato, concordataria... per uno stato laico.
D) Il papa che vorrei…
R) Pensavo che con Woytyla si fosse toccato il fondo e che peggio non potesse esistere. Evidentemente mi sono sbagliato alla grande. Questo "Benedetto" sta superando il peggio di tutti i peggio.
Il mio sogno è che il papa diventi un ente inutile, ma che si realizzi a turno un "servizio " di unità e di dialogo in cui si perdano le caratteristiche ridicole e malsane del "primato romano", cioè l'infallibilità e il potere gerarchico, residui di una concezione assolutistica contraria allo spirito del vangelo.
Ma i cristiani e i cattolici devono cominciare a vivere la loro fede a prescindere dalla gerarchia che canta sempre la stessa canzone. Se poi ce n'è uno che suona una nota diversa, lo bacchettano subito. Insomma è fondamentale passare dalla papolatria all'adorazione di Dio solo, dall'ubbidienza gerarchica all'accoglienza del vangelo.
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